13 luglio 2009

IL VADEMECUM MILANESE. COSA È BENE SAPERE DELL’INFLUENZA


Recentemente il Comune di Milano, per iniziativa dell’assessore alla Salute Giampaolo Landi di Chiavenna, ha aggiornato un Vademecum per il viaggiatore che era già stato stampato nel 2008, completandolo con raccomandazioni riguardanti la recente epidemia di influenza cosiddetta “suina”. Questo Vademecum è un’opera meritoria, in quanto elenca una serie di raccomandazioni per evitare una varietà di infezioni, dall’epatite virale alla tubercolosi, dalla diarrea del viaggiatore alla malaria, che possono essere contratte recandosi in località esotiche.

 

Ma quanto aggiunto a questa riedizione dice ben poco su come tenersi al riparo dalla nuova forma di influenza, se non le solite raccomandazioni sull’opportunità di evitare i luoghi affollati e di lavarsi spesso le mani. La colpa non è dell’assessore, ma della peculiarità dell’influenza che è molto contagiosa, tanto che nel medio evo la sua propagazione era attribuita a un’occulta influenza del cielo (onde il suo nome). Forse sarebbe più utile avere regolarmente aggiornata, come si sta facendo negli Stati Uniti, una mappa dei nuovi casi accertati nelle varie località del mondo e, se possibile, evitare di recarsi nei luoghi di massima diffusione.

 

Ma per prevenire le malattie è meglio conoscerle e perciò, cercando di evitare i tecnicismi, vorrei dire qualcosa su questa malattia. Esistono tre varianti del virus influenzale, indicate con le lettere A, B e C, ma solo la A è importante, in quanto tende a mutare, anche radicalmente, nel tempo così che l’immunità acquisita quando si viene infettati da un ceppo, o vaccinati, non vale più per un ceppo mutato. Se non fosse così, la influenza si comporterebbe come il morbillo e altre malattie prevalenti nell’infanzia che, una volta fatte, lasciano un’immunità molto prolungata, tanto che è raro che si ripetano. La ragione di questa propensione a cambiare da parte del virus dell’influenza A dipende da tre fattori.

Il primo è rappresentato dal fatto che questo virus, in versioni differenti e adatte alle singole specie che infetta, è diffuso non solo tra gli esseri umani, ma anche in molte specie animali, quali maiali, uccelli ed equini. La regola è che l’infezione avviene tra membri della stessa specie, ma possono esserci delle eccezioni. Queste dipendono dal secondo fattore, che riguarda la sistemazione particolare del materiale genetico all’interno del virus, che è fatto di una sostanza che s’indica con la sigla RNA e che non è distribuito in un solo lungo filamento, ma in otto segmenti separati.

 

Perciò, se delle cellule di un animale sono infettate simultaneamente da un virus proprio di quella specie e da un virus di una specie differente, per esempio umana, può avvenire un rimescolamento dei segmenti di RNA e nascere un nuovo tipo di virus che può passare da una specie all’altra. I virus così generati sono una novità assoluta per il sistema immunitario delle specie nelle quali possono propagarsi e sono all’origine delle grandi pandemie influenzali che si sono osservate in campo umano. Si è temuto che qualcosa di simile potesse verificarsi con il virus dell’influenza aviaria, dopo che si erano osservati alcuni casi di contagio di esseri umani a contatto stretto con uccelli domestici, ma, per fortuna, il contagio interumano non si è avvenuto e la pandemia temuta non ha avuto luogo.

 

Infine, come se non bastasse, anche indipendentemente da questi rimescolamenti genetici, errori nella duplicazione del materiale genetico del virus possono avvenire casualmente. Sono queste variazioni minori che sono all’origine delle forme di cosiddetta influenza stagionale, che è endemica nei nostri climi nella stagione fredda.

Per capire se queste alterazioni genetiche si sono verificate i microbiologi debbono riconoscere dei segnali, i principali dei quali sono rappresentati dalla costituzione di due molecole poste alla superficie del virus e che sono importanti nel sollecitare delle reazioni immunitarie. Queste sono indicate con le lettere dell’alfabeto H (che sta per Haemagglutinin, una sostanza che serve al virus per attaccarsi alle cellule da infettare) e N (che sta per Neuraminidase, che permette al virus di passare da una cellula all’altra). Alle lettere H e N viene fatto seguire un numero, che muta per indicare un radicale cambiamento della molecola, anche se nell’ambito di una stessa variante indicata con un dato numero, si possono avere diverse costituzioni molecolari.

 

E’ anche importante ricordare che la comparsa di un nuovo tipo di virus influenzale provoca una pandemia che tende poi a esaurirsi e questo dipende dal fatto che la maggior parte della popolazione viene infettata e sviluppa immunità. I casi di influenza che seguono sono dovuti a quelle alterazioni minori del materiale genetico del virus che si verificano casualmente. Questo avviene finché non arriva un virus nuovo, totalmente mutato, che provoca una nuova pandemia.

 

La prima pandemia influenzale registrata storicamente è quella della cosiddetta “Spagnola” che si verificò tra il 1918 e il 1919 e che provocò più morti che per cause belliche nella prima guerra mondiali (6 milioni di morti in guerra, 20 milioni per l’influenza). Il virus di questa epidemia fu chiamato, a posteriori, H1N1, ma studi sierologici in coloro che erano stati infettati dimostrarono che nella molecola H1 doveva esserci una componente di origine suin

 

Il virus H1N1, in una forma molto più benigna di quella che aveva provocato la “Spagnola” rimase endemico fino al 1956, quando comparve una nuova pandemia, la cosiddetta “Asiatica”, provocata da un virus mutato radicalmente in entrambe le sue componenti più importanti e chiamato perciò H2N2. Nel 1968 vi fu una nuova pandemia dovuta a una virus indicato come H3N2 e chiamato A Hong-Kong.

Cosa era successo nel frattempo del virus H1N1? Sembrava scomparso e sostituito dai virus H2N2 e H3N2 quando, nel 1978, inaspettatamente ricomparve. Il fatto interessante è che furono colpiti soprattutto giovani, nati prevalentemente poco prima o dopo il 1956. La spiegazione che fu data è che quelli nati prima avevano quasi tutti già sperimentato l’infezione con il virus H1N1 ed erano immuni.

 

Adesso però, dalle prime due settimane di aprile, sembra delinearsi una nuova pandemia, provocata sempre dal virus H1N1, ma con caratteristiche diverse da quelle prevalenti tra la fine della “Spagnola” e l’inizio della “Asiatica” e da quelle dello stesso virus che aveva provocato l’epidemia tra i giovani nel 1978. Questa volta il virus è una tripla combinazione di virus influenzale umano, degli uccelli e suino e rappresenta una novità per il sistema immunitario degli umani. E’ sempre classificato come H1N1, ma con una specificazione sua propria indicata con la sigla S-OIV (swine-origin influenza A virus). Dal 15 aprile al 5 maggio 2009 ne sono stati accertati in 41 stati degli Stati Uniti 642 casi con 2 decessi: un bambino di 22 mesi affetto dalla nascita da una grave malattia muscolare e una donna gravida di 33 anni. Sembra che le malattie croniche persistenti e lo stato di gravidanza rendano più grave questa infezione. Tutti gli altri pazienti guarirono perfettamente, ma almeno 36 richiesero una ospedalizzazione per problemi respiratori. Non sembra che i soggetti più anziani, che avevano già sperimentato contatti con il virus H1N1 del passato, fossero immuni da questa nuova infezione, com’era successo nel 1979, in quanto l’età dei pazienti colpiti da questa forma di influenza era compresa tra 3 mesi e 81 anni, anche se prevalevano i soggetti giovani.

 

Il quadro clinico della malattia è risultato simile a quello della comune influenza stagionale, con un periodo di incubazione di 1-7 giorni, con febbre, tosse e mal di gola, ma in aggiunta nel 38% dei casi anche con sintomi gastroenterici, come vomito e diarrea. L’eliminazione del virus e la contagiosità attraverso le goccioline di saliva o materiale contaminato avveniva tra 1 giorno prima e 5-7 giorni dopo la comparsa dei sintomi.

Anche se questo nuovo virus minaccia un’importante pandemia non bisogna temere una ripetizione dell’ecatombe del 1918-19. A quei tempi non esistevano gli antibiotici e la maggior parte delle morti era provocata da polmoniti causate da microbi diversi dai virus influenzali, ma che intervenivano a dare complicanze della malattia. E poi oggi esistono dei farmaci, come l’oseltamivir e lo zanamivir, che agiscono direttamente sul virus influenzale. L’importante è riconoscere tempestivamente l’infezione da parte del nuovo virus e questo è reso possibile con tecniche di biologia molecolare che sono estremamente rapide e riproducibili.

 

Deve anche essere detto che le autorità sanitarie mondiali si sono mosse tempestivamente per circoscrivere i focolai di infezione e questo ha limitato molto la diffusione della malattia. I 642 casi descritti negli Stati Uniti in meno di un mese non debbono indurre a estrapolazioni catastrofiche per i mesi seguenti, perché questi sono stati i casi che hanno permesso il riconoscimento e la caratterizzazione della malattia. Attualmente sono in atto negli Stati Uniti e nel mondo misure d’isolamento degli infetti e dei cosiddetti contatti (persone che sono venute in contatto con gli ammalati) che sono di una certa efficacia. In Italia sono finora pochi i casi di influenza da virus S-OIV (meglio non chiamarlo semplicemente H1N1 perché, come abbiamo visto, non tutti gli H1N1 sono ugualmente pericolosi). In Lombardia dal 15 aprile se ne sono avuti in tutto 15, dei quali tutti tranne 2 avevano contratto la malattia in viaggi all’estero.

E tuttavia è difficile che, con l’arrivo della stagione fredda, anche questo virus non arrivi ad avere anche da noi un’importante diffusione. Ma è in atto una gara contro il tempo per la produzione di un vaccino specifico contro il virus S-OIV ed è sperabile che in futuro si possa contrastarlo con una efficace prevenzione.

Claudio Rugarli



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