30 aprile 2014

ORA CON LA FINANZA ETICA SI PUO’ ANCHE GUADAGNARE (E MOLTO)


Scriveva il Corriere della Sera (L. Ferrarella) il 17 settembre 2013: “In Gran Bretagna c’è un carcere, quello di Peterborough, dove se nel 2014 scenderà almeno del 7,5% il tasso di recidiva di 3 mila detenuti – ammessi nel 2010 a un programma di reinserimento sociale attraverso lavori finanziati con 5 milioni di sterline da 17 investitori privati – costoro incasseranno un rendimento annuo del 13% per 8 anni (meglio di qualunque titolo in Borsa), pagato dal ministero della Giustizia inglese con una quota dei soldi di una lotteria nazionale. Negli Stati Uniti c’è un carcere, quello di Rikers Island,dove la banca d’affari Goldman Sachs – che con la garanzia della fondazione del sindaco newyorkese Bloomberg ha messo 9,6 milioni di dollari in un progetto di riabilitazione attraverso il lavoro e lo studio di 3 mila detenuti -guadagnerà 2,1 milioni di dollari di interessi pagati dal governo americano se la recidiva dei detenuti sarà scesa almeno del 10%.”.

08murelliFB16Non si tratta di fantascienza buonista ma di serissima sperimentazione all’estero dei social impact bond, conosciuti anche come Pay for Success Bond, cioè strumenti finanziari finalizzati alla raccolta, da parte del settore pubblico, di finanziamenti privati. La remunerazione del capitale investito tramite questi strumenti è agganciata al raggiungimento di un determinato risultato sociale. In un modello di Social Impact Bond (SIB) realizzato correttamente, il raggiungimento del risultato sociale previsto produrrà infatti un risparmio per la Pubblica Amministrazione e quindi un margine che potrà essere utilizzato per la remunerazione degli investitori.

L’idea che sta alla base dei SIB è che l’ente pubblico attraverso programmi sociali realizzati e gestiti da enti non profit, tendenzialmente atti a evitare l’emergere di situazioni di disagio sociale, possa risparmiare denaro e ottenere risultati più soddisfacenti di quelli che avrebbe agendo autonomamente. Infatti il pagamento del debito che lo Stato ha acquisito nei confronti degli investitori attraverso i SIB è legato al livello di successo raggiunto dal progetto cui essi fanno riferimento. Il saldo del debito, infatti, avviene unicamente se gli standard stabiliti nel momento in cui SIB sono stati emessi risultano essere stati raggiunti. L’ente pubblico, dunque, spende denaro solo in caso di successo del progetto.

Nella pratica il funzionamento avviene così:

1) Un intermediario, tendenzialmente coincidente con un istituto bancario, in accordo con l’ente pubblico emette social bonds collocandoli presso investitori privati, che forniscono i capitali necessari a sostenere un progetto a carattere sociale.

2) L’ente intermediario gira il denaro ottenuto attraverso i SIB agli enti non profit che si occupano di fornire i servizi previsti dal progetto.

3) Attraverso le proprie attività i soggetti non profit dovrebbero garantire risultati sociali tali da sgravare il settore pubblico dall’obbligo di rispondere a bisogni potenzialmente legati all’evolversi dei rischi sociali, su cui operano preventivamente proprio gli enti non profit.

4) Se il progetto, a seguito di una valutazione fornita da un ente indipendente, risponde agli standard qualitativi imposti nel momento di emissione dei bonds, l’ente pubblico è tenuto a versare quanto dovuto più una percentuale pre-stabilita all’intermediario,

5) l’intermediario provvederà a sua volta a pagare gli investitori che hanno fornito i capitali iniziali. In caso il progetto non risponda agli standard previsti l’ente pubblico non è tenuto al versamento di alcuna somma di denaro : spende denaro solo in caso di successo del progetto.

Già, ma chi misura il risultato finale (performance) e certifica il raggiungimento dell’obiettivo? Fondamentale la presenza di un valutatore indipendente (indipendent assessor) che sappia misurare l’impatto sociale creato attraverso la selezione di un gruppo di trattamento all’interno di una popolazione obiettivo. Il risultato deve essere ottenuto estrapolando i mutamenti introdotti dallo specifico intervento da quelli che, in un determinato lasso di tempo, si sono verificati nel gruppo/territorio oggetto dell’intervento.

La PA deve poi essere in grado di misurare i costi dei servizi già esistenti che possono essere abbattuti e di valutare la liquidabilità e la tempistica di questi risparmi (il costo totale del servizio fornito dalla impresa sociale deve risultare inferiore al risparmio che la PA ottiene dalla riduzione della spesa per programmi esistenti). Stante la complessità del calcolo è necessaria, almeno in una prima fase, l’esistenza di investitori più interessati al valore sociale che al rendimento finanziario tout court.

Ma allora questi Sib sono rischiosi per gli investitori? In linea di principio si: Il SIB è uno strumento finanziario sofisticato, al pari dei derivati: ma qui il sottostante è rappresentato dall’andamento di un’attività nel campo dell’innovazione sociale (l’investitore scommette sulla capacità di una attività di generare valore sociale e non più sull’andamento aleatorio di un certo valore tipo azione, valuta, ecc.).

Al “rischio finanziario” si aggiunge la variabile “fiducia” tra i partner che prendono parte al gioco. Tutto il sistema si regge quindi sulla reputazione mancando clausole di tipi legale a tutela della posizione degli investitori che rischiano capitale e interessi e per di più sono i soggetti meno coinvolti nell’operatività e meno dotati di poteri di influenza sulle scelte degli altri attori. (Quaderno n°11 dell’osservatorio Fondazione Cariplo).

Forse se invece di rincorrere gli irrealistici rendimenti a due cifre della Gran Bretagna, si operasse una accurata selezione dei progetti da finanziare da parte di Enti di provata affidabilità (es. Fondazioni bancarie) il rischio dell’investitore, quantomeno in capitale, sarebbe attenuato.

E in Italia a che punto siamo? Con una Pubblica Amministrazione che non è in grado di entrare in gioco per i noti problemi di inefficienza, i Social bond “all’italiana” sono obbligazioni tradizionali, di cui una parte destinata alle attività sociali. Ma da qui può nascere un nuovo mercato molto fiorente in grado di sostenere i costi del welfare: è solo questione di tempo, spiega Roberto Randazzo, professore di Non profit law all’Università Bocconi di Milano. Servirebbe comunque una maggiore informazione mediatica dello strumento.

Tra l’altro, all’interno della task force sulla finanza sociale del G7 fra breve il tavolo di lavoro italiano dovrà presentare una propria ipotesi di Social Impact Bond. Un modello ibrido fra versione italiana e anglosassone è allo studio dello staff di San Patrignano. Un Social Impact Bond sulle carceri, che metta a frutto la capacità da loro sviluppata nell’aiutare i ragazzi a non cadere di nuovo nell’illegalità e a non tornare dentro. San Patrignano come service provider e, come emittente, una fondazione bancaria o lo Stato o una banca.

Ma molte altre applicazioni si possono ipotizzare nei diversi settori, dal sanitario all’ospedaliero, dallo scolastico al ricreativo. In un mondo nel quale le risorse pubbliche e quelle private nonprofit (filantropiche) sono insufficienti per affrontare i problemi sociali globali, l’utopia di usare la finanza in modo “utile” – sganciandola dalla sola remunerazione del capitale – appare oggi alla portata degli stakeholder .

 

Sergio Murelli

 

Fondazione Sodalitas

*la presente nota è un estratto dal materiale di studio di commissione interna sul tema della finanza sociale.




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