30 aprile 2014

musica – MUSICA DI PASQUA


MUSICA DI PASQUA

La grande musica è stata benedetta durante le ultime due settimane, prima e dopo Pasqua; concerti e opere fantastici, non solo nei luoghi canonici ma ovunque, musica dappertutto.

musica16FBCiò che mi ha più colpito sono stati indubbiamente la conclusione del ciclo dei Quartetti di Beethoven, al Conservatorio, e l’opera “Les Troyens” di Berlioz alla Scala; due eventi tra loro non paragonabili, tutti e due ai massimi livelli di qualità e – benché in modo assai diverso – entrambi sorprendenti.

Cominciamo da Beethoven per ringraziare la Società del Quartetto che in questa stagione, a poca distanza uno dall’altro, ha portato a termine i due cicli straordinari delle Sonate per pianoforte (per mani di Andras Schiff) e dei Quartetti d’archi (a opera del magnifico Quartetto di Cremona).

Sentire così ravvicinate le ultime tre Sonate (opere 109, 110 e 111) e gli ultimi tre Quartetti (opere 130, 131 e 132) di quel gigante che – alla fine di una vita tanto tormentata e tutt’altro che serena – ha voluto e saputo esprimere una sorta di quint’essenza del pensiero musicale, libero da ogni genere di patinatura, musica che diventa puro pensiero filosofico, sentimenti di cui si intuisce l’immensa profondità ma che non possono essere banalmente classificati come gioia o dolore, serenità o tormento, calma o agitazione … sono emozioni che si possono provare solo quando si impegnano grandissimi interpreti che hanno raggiunto la maturità necessaria per affrontarli. E nonostante le riserve che spesso ho avanzato sul carattere e sull’approccio di Schiff, e non avendo però nascosto la grandissima ammirazione per il relativamente giovane Quartetto di Cremona (Cristiano Gualco, Paolo Andreoli, Simone Gramaglia, Giovanni Scaglione), devo dire che in queste due occasioni sono state raggiunte vette talmente alte – o abissi così profondi (curiosamente le due immagini possono essere considerate parimenti appropriate) – da far venire le vertigini.

Nessuno come Beethoven ha tracciato un percorso di crescita musicale tanto evidente e riconoscibile nell’arco della vita; per nessun altro compositore è altrettanto appropriata la scansione delle opere in periodi successivi, tanto da poter dire le opere “giovanili”, della “maturità”, le “ultime” (e come si sente che sono proprio le “ultime”!). Nel caso di Beethoven si deve anche aggiungere che, nonostante la sua grande vocazione sinfonica, il meglio di sé lo ha dato proprio nelle Sonate e nei Quartetti che non a caso sono stati i generi cui si è dedicato negli anni estremi, dal 1820 al 1827; le eccezioni delle Variazioni Diabelli opera 120, della Missa Solemnis opera 123, e soprattutto della Nona Sinfonia opera 125 – ultimata nel 1824 ma iniziata otto anni prima – sono proprio quelle che confermano la regola. Vale la pena ascoltare una di seguito all’altra la Canzona (l’Heiliger Dankesang ecc.) dell’ultimo quartetto e l’Arietta dell’ultima Sonata per avere contezza della imminente conclusione della sua esistenza, per sentire le sue ultime parole e percepirle come indirizzate personalmente a noi, una sorta di testamento ma anche di confessione, di riflessione definitiva sul senso della vita e sulla cognizione della morte.

Il 15 aprile si chiudeva il ciclo dei Quartetti ma già l’8 c’era stata la prima di Les Troyens alla Scala; un capolavoro che pochi di noi ricordano di aver ascoltato nel 1960 (diretto da Rafael Kubelik), nel 1982 (Georges Prêtre) o nel 1996 (Sir Colin Davis), per un totale di sole 13 recite.

Dice Massimo Mila, e non vi è motivo di dubitarne, che questa gigantesca opera il cui libretto è tratto liberamente ma scrupolosamente dall’Eneide di Virgilio, è stata pensata da Hector Berlioz come risposta sottilmente polemica alla tetralogia wagneriana: la mitologia nata nelle acque del mediterraneo contrapposta a quella nordica, le leggende sulle origini di Roma (Enea dopo la sconfitta di Troia e la lunga pausa d’amore a Cartagine, costretto dal Fato a lasciare Didone per mettere la prua delle sue navi verso l’Italia) a confronto con il mondo fantastico dei Nibelunghi sulle acque assai diverse del Reno. Ma anche per contrapporre l’amore di Didone ed Enea – già prima di allora tanto celebrati dalla musica – a quello di Tristano e Isotta di quattro anni precedente Les Troyens. Wagner era un personaggio molto ingombrante nel panorama musicale della seconda metà dell’ottocento, Francia e Germania erano in competizione su molti fronti ma Berlino, Lipsia, Weimar, Vienna erano le indiscusse capitali della musica; Berlioz ha voluto dimostrare che la cultura mediterranea non era da meno ed ha scritto questo capolavoro di rara bellezza, che dura più di cinque ore ma non ci si accorge del tempo che passa. (Seduto accanto a me un ascoltatore confessava di essere venuto a riascoltarlo dopo aver assistito alla prima, un altro – arrossendo un poco – ha rivelato di essere tornato a tutte le repliche, ed era già alla quarta …)

Forse non tutto era perfetto: se bravissima è stata l’Antonacci (Cassandra) e brava la Barcellona (Didone), non erano proprio in stato di grazia né Gregory Kunde (Enea) né la Radner (Anna); ma la perfezione assoluta e la musicalità di Pappano da una parte, e la bellissima regìa di David Mc Vicar dall’altra, hanno fatto il miracolo. Perché ci sbracciamo tanto per la serata di apertura della stagione e poi facciamo passare quasi inosservato un evento tanto importante? Perché in queste così rare occasioni non proviamo a ripetere le proiezioni in contemporanea sugli schermi in piazza, in galleria, nei cinematografi?

Infine vorrei fare un accenno a un terzo evento, tanto significativo e attraente per le intenzioni quanto discutibile nell’esito. Nei giorni intorno a Pasqua l’orchestra cosiddetta “barocca” della Verdi (confesso che non mi è del tutto chiara la differenza “concreta” fra le due compagini) diretta da Ruben Jais ha eseguito sia all’Auditorium che in Duomo la Passione secondo Giovanni e l’Oratorio di Pasqua di Johann Sebastian Bach. Non si può non essere favorevoli a questa tradizione di eseguire a Capodanno la Nona Sinfonia di Beethoven e a Pasqua e a Natale gli Oratori, bachiani e non solo. Inoltre, essendo un dichiarato fan dell’Orchestra Verdi e dei suoi programmi, mi fa particolarmente piacere che per queste iniziative essa riscuota ampi consensi e trovi i giusti riscontri sulla stampa nazionale e internazionale. Questa volta ho fatto però fatica a seguire Paolo Isotta “il manicheo” (ogni sua recensione battezza un immenso capolavoro o una tragica nefandezza!) che nel Corriere del 19 scorso ha affermato perentoriamente, ripetuto e sottolineato, che la Johannes Passion sia stata eseguita in modo straordinario. Io credo che avrebbe potuto essere un po’ meno asettica, più commossa e soprattutto più commovente.

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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