9 aprile 2014

ARIA EUROPEA: RICORDANDO IL ‘15-‘18. E SE OGGI LA GUERRA ECONOMICA DIVENTA MILITARE?


1914. È il titolo del libro di Barbara Mac Millan (Rizzoli 2013) che ci aiuta a capire l’oggi alla luce del disastro di cent’anni fa. Detonatore della guerra fu l’inettitudine dei leader civili che non studiarono mai le implicazioni dei piani di guerra dei loro stati maggiori e accettarono la guerra, senza cercare alternative [p. 376]. Nel 1962, con le testate nucleari russe installate a Cuba, John F. Kennedy fu assediato dai militari per indurlo a agire anche a costo di una guerra nucleare. Ma dal fiasco della Baia dei porci, dimostrazione che i militari possono sbagliare, e dalla lettura de I cannoni d’agosto, lo studio di Barbara Tuchman allora pubblicato sugli errori che portarono alla Grande guerra, fu indotto a negoziare con l’URSS, indietreggiando dall’orlo del baratro [p. 696].

08gario14FBEra in corso il concilio Vaticano II voluto da Giovanni XXIII, che lavorò a scongiurare la prima guerra nucleare della storia. Sarebbero morti poco dopo, Kennedy assassinato a Dallas, piena di manifesti con la sua foto segnaletica di traditore da punire. In numero incalcolabile dobbiamo loro la vita: contemporanei, figli, nipoti, pronipoti. Non fu così nel 1914. Rudyard Kipling, che nel 1895 aveva dedicato al figlio la poesia If (“Tua sarà la Terra e tutto ciò che è in essa, / E – quel che più conta – sarai un Uomo, figlio mio“), lo spinse a arruolarsi nonostante la forte miopia, e nel 1918 ne cercò invano i resti, facendogli infine dire: “Se qualcuno vuole sapere perché siamo morti / Ditegli: perché i nostri padri ci hanno mentito” (Le Monde des Livres, 21/02/14, p. 2).

Inettitudine e menzogna portarono i “crimini senza guerra” del 1939 – 1945, brutalità e disumanità premeditate e sistematiche a prescindere dalla guerra (Michail Burleigh, Il Terzo Reich, Rizzoli 2003, p. 570). Nel 1944, nel rapporto Axis Rule in Occupied Europe, il giurista polacco Raphaël Lemkin coniò genocidio, dal greco génos (stirpe) e latino (homi)cidium: la disintegrazione (politica sociale culturale linguistica nazionale religiosa economica) dei popoli dei quali si vogliono le terre e i beni, ‘ripuliti’ della loro presenza. Previsto e pianificato, nel 1994 quello dei tutsi in Rwanda avvenne perché l’Onu e il mondo guardarono altrove (Il Sole 24 Ore, 30/4/14, p. 40).

Oggi i governi nazionali fanno guerra ai loro popoli, le banche globali al mondo. Thomas Hoenig (vicepresidente FDIC, fondo di garanzia dei depositi bancari USA) avverte che le maggiori banche mondiali possiedono solo il 4% dei loro attivi, pari a 3.700 miliardi di $ per JPMorgan Chase, 3.000 per Bank of America, 2.700 per Citigroup (il nostro prodotto interno lordo è sui 2.000). Perdere il 4% le porterebbe sull’orlo del fallimento e, se anche una sola fallisse, il crollo di una montagna di soldi devasterebbe mercati e economia con un panico istantaneo e universale (Le Monde Èconomie & Entreprise, 29/3/14, p. 8). Giorni fa Citigroup non ha superato lo stress test della Federal Bank (ivi, 28/3/14 p. 5).

La formula cambia, la sostanza no: conquistare cose, non persone, tanto meno con la democrazia.

Per avere abbastanza volontari nella guerra in Iraq, Rumsfeld e Pentagono hanno abolito i criteri di arruolamento stabiliti dopo il Vietnam. «Alcuni lo sono stati esplicitamente (peso e quoziente di intelligenza, ad esempio), altri completamente ignorati (esclusione di neonazisti e criminali) o messi a tacere, ad esempio arruolando un gran numero di giovani americani con turbe mentali non curate. Le popolazioni occupate sono state sacrificate, e fiumi di sangue versati. Le peggiori atrocità sono spesso direttamente connesse all’abolizione dei divieti di arruolare malfattori, estremisti razzisti e criminali organizzati, tra altri. Le conseguenze si sentiranno per decenni» (Matt Kennard, Irregular Army, Verso, London-New York 2012, p. 11).

In questi giorni, in Europa, «la crisi di Crimea è a un passo dal creare tra i Russi e gli Occidentali un momento di tensione non più visto dalla fine dell’Unione sovietica» (Le Monde, 22/03/2014, p. 1). «Secondo alcune fonti, un fondo investimenti americano specializzato in debiti in sofferenza, Franklin Templeton Investment, ha di recente acquistato oltre il 20% del debito sovrano ucraino»; «se non si fa qualcosa, i fondi di investimento americani esigeranno rimborsi enormi (miliardi di $) a un futuro governo ucraino già fragile sul piano interno. Il che sarà non solo un incubo in termini di relazioni pubbliche, ma accelererà un disastro geostrategico a fronte di una Russia in agguato» (Le Monde Économie&Entreprise, 22/03/14, p. 8).

«È il segno del passaggio prossimo dalla poliarchia pretoriana, in cui siamo immersi, a una lotta senza quartiere tra Behemoth e Leviathan, tra il caos in cui trionfa il più forte e la dittatura in cui solo la parvenza della legalità s’intravede nel ghigno dell’oligarca disvelato? L’interrogativo è troppo drastico e inquietante per essere sviluppato realisticamente. Valga come ammonimento». Lo scriveva un anno fa Giulio Sapelli (Chi comanda in Italia, Guerini e Associati, 2013, p. 137) di un mondo fondato solo sulla forza, di soldi e armi. La cronaca oggi dà basi concrete all’ammonimento. Nella frammentazione di interessi e cacofonia di menzogne dettate dalla paranoia degli egoismi, si perde la ragione, ma nelle prossime elezioni europee possiamo darci finalmente un vero governo europeo responsabile verso noi europei, anche per ricostruire il bene comune sempre più raro che è l’ordine internazionale. Le successive sono tra cinque anni, troppi, mentre elezioni nazionali sempre più di protesta confermano, per chi vuole vedere e sentire, che la presunta sovranità nazionale è una trappola micidiale, come Hans Kelsen ha dimostrato subito dopo la Grande guerra.

La posta in gioco è la pace, nella guerra fredda che non è finita e rischia ancora una volta di finire fuori controllo. It’s peace, stupid! È in gioco la pace, stella!

 

Giuseppe Gario



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