9 aprile 2014

libri – IN DIFESA DI PADRE DAMIANO


 

ROBERT LOUIS STEVENSON

IN DIFESA DI PADRE DAMIANO

Preazione Roberto Beretta

Edizioni Medusa, settembre 2013

pp.192, euro12

Mercoledì 9 aprile, ore 18,15, il libro verrà presentato a Palazzo Sormani, nella Sala del Grechetto con Richard Ambrosini, Roberto Beretta, Roberto Mussapi a cura di Unione Lettori Italiani

Nel gennaio 1889 Robert Louis Stevenson arriva a Honolulu, terza tappa della crociera del Pacifico finanziata da un pool di editori che si aspettavano da lui delle corrispondenze romantiche dai Mari del Sud. Tre mesi dopo gli giunge notizia della morte del missionario cattolico padre Damiano de Veuster, nel lebbrosario dell’isola di Molokai dove il religioso belga aveva scelto di vivere per sedici anni, finché non aveva contratto anch’egli il morbo. Non esita, e va a Molokai per vedere il cuore di tenebra delle Isole Felici. “Non ho mai ammirato così tanto la mia razza”, scriverà dopo, “e nemmeno (per quanto strano possa sembrare) amato la vita più che in quel lebbrosario”.

Non era materiale buono per un pezzo di colore esotico: erano esperienze da serbare nella memoria, in silenzio. Poi però gli capita tra le mani una lettera, piena di insulti e di (false) allusioni pruriginose contro padre Damiano, scritta da un reverendo di Honolulu, di nome Hyde, come il doppio bestiale del dottor Jekyll, e presbiteriano come gli Stevenson. D’istinto, verga una risposta di fuoco, una Lettera aperta in difesa di padre Damiano in confronto alla quale l’altra famosa “Lettera aperta” di fine ‘800, il J’Accuse…! di Émile Zola, suona smielata. La scrive di getto, ma la pubblica a freddo: prima si premura di ottenere il consenso dei famigliari, tanto inevitabile gli sembrava una querela per diffamazione che li avrebbe rovinati; poi, quando gli editori contattati si rifiutano di pubblicarla lo fa lui a sue spese, per poi mandarla a quanti più giornali possibile. Hyde ebbe l’intelligenza di non querelarlo, e col tempo l’episodio finì per essere assorbito entro quella sequenza di storie, una più colorita e appassionante dell’altra, che fu la vita di Stevenson. Oggi capiamo che è stato un peccato, grazie all’edizione mirabilmente curata da Roberto Beretta.

Beretta ha reso un importante servizio alla conoscenza dell’uomo e dello scrittore Stevenson, incorniciando la sua ottima traduzione della Lettera con una lunga introduzione e una scelta ragionata di fonti epistolari e memorialistiche e un’appendice in cui vengono riportati estratti dalle omelie tenute dai papi Giovanni XXIII e Benedetto XI in occasione della beatificazione e successiva canonizzazione di San Damiano nel 2009. Questa edizione ci impone di ripensare la rilevanza della Lettera, tanto da chiederci se essa non abbia avuto una posizione strategica nei cambiamenti occorsi nella scrittura stevensoniana dopo Molokai.

Nelle isole dove approdò, gli apparvero chiari i segni della “ingiusta (e tuttavia, evidentemente, inevitabile) estinzione della popolazione polinesiana a opera della nostra mediocre civiltà” (che nelle Hawaii tra l’altro aveva portato con sé la lebbra e le piantagioni di zucchero che arricchirono innanzitutto i missionari americani). Scrivere per gli editori divenne allora impossibile, e Stevenson si reinventò scrittore realista. Tra i principali catalizzatori di questa scelta vi fu senz’altro la Lettera, perché è qui che attraverso Hyde annuncia a tutti: “Se ho imparato a usare le parole per comunicare la verità e per suscitare l’emozione, voi mi avete fornito infine un soggetto”. Sarebbe stato sacrilego fare dell’eroismo di Damiano il soggetto di un romanzo; ma nel difendere il modo in cui si era fatto “servo dell’umanità” il romanziere evidentemente si sentì incoraggiato a tentare di raccontare, con verità ed emozione, come un’unica umanità, i bianchi e gli indigeni che da allora in poi avrebbero popolato le sue storie.

Richard Ambrosini

questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero

rubriche@arcipelagomilano.org



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