9 aprile 2014

la posta dei lettori_09.04.2014


Scrive Vincenzo Dittrich a Emilio Vimercati sulle case popolari – La gestione dell’edilizia residenziale da parte dei Comuni può forse mostrarsi adeguata per realtà di piccole o medie dimensioni. Per aree metropolitane le cose stanno diversamente. Un grande salto quantitativo esige sempre un salto qualitativo. Di ciò prendendo atto, il Comune di Milano aveva affidato la gestione a operatori gestionali privati per il periodo ottobre 2003 – settembre 2009, con risultati disastrosi. È poi stato costretto ad affidarsi nuovamente all’ALER. Non credo proprio che la burocrazia del Comune di Milano sia attrezzata adeguatamente per la gestione del patrimonio pubblico di alloggi o che possa diventarlo in avvenire con gli attuali indirizzi di gestione della legge regionale n.27/2009 che andrebbe invece riformata. Senza contare l’esposizione alle influenze politiche di parte alle quali la gestione municipale è per sua natura esposta. Sono quindi i criteri e le modalità di gestione che vanno modificati. È questo il nodo politico e sociale. Non è la girandola dei soggetti gestori o lo spezzatino del patrimonio che è in grado di scioglierlo.

 

Scrive Sergio D’Agostini a Emilio Vimercati sulle case popolari – Caro Emilio, sì tutto bene, …. in un comune del Monferrato o dell’Oltrepò. Ma cosa cambierebbe a Milano con 80.000 alloggi da gestire? Resta il problema di rompere il monolite burocratico e consociativo dell’Erp e di avvicinarne la gestione agli utenti e ai loro problemi, intensificando la sperimentazione, avviata ad esempio alle Quattro Corti di Stadera, di affidare porzioni di patrimonio al privato sociale. Solo così si può avviare il recupero dell’enorme sfitto e occupato senza titolo, stimolare la mobilità e giungere al pieno ed equo impiego dello stock. Certo, è vero che anche un processo del genere forse lo gestirebbe meglio il comune (o, chissà, il governo metropolitano) piuttosto della regione.

 

Scrive Alessandra Nannei a Luca Beltrami Gadola – Perfettamente d’accordo: ormai le “parti sociali” sono solo gli iscritti ai sindacati. Bisognerebbe creare un’istituzione che difenda le “parti asociali” (o “non sociali”). Per quanto riguarda la spartizione politica dei posti, mi sembra molto, molto difficile superarla. È qualcosa che sfugge a qualsiasi regolamentazione, qualsiasi legge.

 



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