2 aprile 2014

ARREDO URBANO: DOPO IL DIBATTITO L’ORDINE DEGLI ARCHITETTI PROPONE


Proviamo a osservare Milano attraverso uno zoom stretto sull’arredo urbano: un esercizio di inabissamento nella trama della città alla ricerca di tutto ciò che compone uno strato specifico oggetto del convegno: “tutto il visibile da 0 a 5 metri”. Alla ricerca di una metafora utile e visivamente immediata anche per un pubblico di non addetti ai lavori, ci è venuto spontaneo rivolgerci a una lettura “linguistica” del tessuto urbano e conseguentemente dell’arredo urbano come punteggiatura nel testo della città: anche al fine di comprendere quanti piani interpretativi si concentrino in questo tema.

06bottelli13FBI piani di studio del tema sono infatti molteplici, da quelli funzionali, di servizio a quelli di comunicazione, lettura e branding della città: procedurali, gestionali, manutentivi, ma anche percettivi, di appropriazione dello spazio urbano per sentirlo familiare, proprio, adatto a usi liberi e diversi e pronto a svilupparsi e modificarsi nel tempo.

Alla luce di questa lettura, l’arredo urbano è parte intrinseca del testo, della narrazione dello spazio pubblico, e va quindi affrontato con un progetto complessivo, oppure è un linguaggio indipendente dallo spazio pubblico nel quale esiste, ha una sotto-narrazione autonoma e dotata di senso proprio?

I molti interventi raccolti da ArcipelagoMilano in questi mesi ci indicano infatti due linee di pensiero prevalenti, tra chi a vario titolo nega all’arredo urbano una autonomia disciplinare che lo ridurrebbe a mero elemento di decoro, difendendo la coerenza del progetto site-specific di spazi urbani, e chi al contrario ne rivendica la natura prevalente “di servizio” nel rispondere a funzioni specifiche per i cittadini e a un senso di identità e ordine generale.

Noi crediamo che le due tesi debbano forzatamente convivere; sono due poli tra i quali il tema si colloca ed è necessario coglierle in tutte le loro articolazioni, con un obiettivo chiaro e ineludibile: la coerenza di lettura e d’uso della città.

Se proviamo dunque a immaginare Milano, il suo tessuto cresciuto e sedimentato nel tempo, come a un testo, l’arredo urbano ne è indubbiamente parte integrante, in forte e inscindibile connessione con la trama e la narrazione, ma con una autonomia di regole e d’uso tale da configurarlo anche come sotto-ordine specifico: la punteggiatura urbana per l’appunto, necessaria per l’orientamento e la buona lettura da parte del cittadino-lettore. Se poi consideriamo quanto nei prossimi anni accadrà nella direzione della smart city, ecco che agli strati della città fisica se ne aggiunge anche uno virtuale, trasformando il testo in iper-testo: l’arredo urbano assume così anche la valenza di punteggiatura ipertestuale, che rimanda continuamente dalla città reale a contenuti di realtà aumentata, acquistando una ulteriore dimensione di orientamento e comunicazione.

Lo stato di fatto dello spazio pubblico in città oggi, in questa lettura, appare pertanto carente, deludente e fonte di frustrazione perché oltre a servirci in modo insufficiente, comunica in modo poco leggibile, sovrabbondante, inefficace: una cacofonia simbolica di difficile uso in cui emerge un disagio diffuso per l’assenza di progetto globale, di coerenza, di regia narrativa. Si sovrappongono infatti senza nessuna gerarchia o regola apparente oggetti, manufatti, segnaletiche, recinzioni, pali, pensiline, chioschi di diverse tipologie e generazioni, con vari livelli manutentivi. Un po’ come un testo nel quale si affastellino caratteri e stili tipografici di molte epoche, con un risultato per certi versi libero e allegro, in linea con lo sviluppo storico di questa città, ma giunto a un livello di illeggibilità e sciatteria tale da creare disappunto e straniamento anziché tranquillità e senso di appropriazione da parte dei cittadini.

Le cause di questa situazione sono certamente ascrivibili, tra gli altri motivi, a una eccessiva frammentazione del processo decisionale, a una legislazione sugli appalti pubblici complessa e spesso auto riferita che non aiuta a premiare la qualità, la carenza di protocolli e capitolati sulla manutenzione, a molti decenni nei quali si è perso il senso di spazio pubblico come di spazio condiviso, di bene comune.

Ecco allora che un’attenzione e un riordino di ciò che c’è appare ancora più importante, anche in vista di EXPO, per offrire uno spazio pubblico di chiara e comoda fruizione per tutti.

Quali possono essere le linee di intervento per provare a disinnescare questa situazione di groviglio linguistico cercando di dipanare alcune criticità? E quale può essere il ruolo dell’Ordine che, non lo si ricorda mai abbastanza, esiste a difesa dei consumatori di architettura, i cittadini, e non degli architetti?

Abbiamo provato a immaginare alcune linee di azione, che cerchiamo di sintetizzare come punti:

1. avere un buon insieme di regole, chiare e semplici, risultato dell’armonizzazione dei vari soggetti coinvolti, indirizzato alla trama “ordinaria” della città, ma che ammetta eccezioni;

2. l’identificazione di luoghi “sensibili” che, per la loro configurazione spaziale o per la loro specificità ambientale, si possano configurare come eccezioni, nei quali il progetto dello spazio pubblico prevale sull’autonomia dell’arredo urbano;

3. a discendere da una norma specifica la redazione di linee guida chiare e semplici che guidino la selezione degli specifici oggetti che andranno a costituire le soluzioni alle varie parti di arredo urbano. A questo proposito si apre un’interessante discussione su quali manufatti abbiano necessità di un catalogo univoco di prodotti standardizzati (sistemi di segnaletica, pensiline di attesa alle fermate dei mezzi ATM, ecc.) e quali beneficino della maggiore libertà offerta da un sistema di linee guida.

4. a monte di tutto, una semplificazione e uno sfoltimento di tutti i manufatti ridondanti presenti oggi in città

5. l’attivazione di una sperimentazione, in un luogo sensibile in vista di EXPO, attraverso un tavolo con presenti tutti gli attori coinvolti, per porre in atto quanto possibile dei punti di cui sopra. L’Ordine, attraverso i suoi consiglieri e i suoi gruppi di lavoro, è disponibile a:

– collaborare a sviluppare un dibattito sul tema aperto a architetti e cittadini;

– collaborare all’identificazione degli spazi di progettualità, ossia quelli che identificano le eccezioni alla regola e che idealmente rientrano in progetti dello spazio pubblico preferibilmente selezionabili con concorsi di progettazione,

– partecipare al tavolo dedicato alla definizione della sperimentazione da attivare.

Riteniamo che un’azione chiara e visibile a cittadini e visitatori anche in vista di EXPO possa rappresentare un tassello importante nella costruzione di identità e riappropriazione dello spazio pubblico e che l’identificazione di una zona di sperimentazione pratica possa costituire un test dal quale partire per un riordino complessivo.

 

Valeria Bottelli

Presidente dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Milano



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