2 aprile 2014

libri – FIABA D’AMORE


 

ANTONIO MORESCO

FIABA D’AMORE

Libellule Mondadori, 2014

p. 160, euro 12

 

Mercoledì 2 aprile, ORE 20,30, il libro verrà presentato a Palazzo Sormani, sala del Grechetto, via F. Sforza 7, Milano, con Piersandro Pallavicini e Marilena Poletti Pasero a cura di Unione Lettori Italiani

libri_13Della fiaba il romanzo ha l’indeterminatezza, non si sa quando o dove si svolga, e come nelle fiabe racconta fatti inverosimili slegati dal principio causa effetto, e dalla fiaba mutua la reiterazione delle situazioni che qui compaiono speculari nella prima e nella seconda parte, fino all’apoteosi finale, il lieto fine proprio delle fiabe. Ma è un lieto fine in un altrove misterioso, come se l’autore avesse dovuto cambiare passo, cambiare mondo, perché in questo non è dato essere felici.

Manca una morale dichiarata e uno scopo didattico come nelle fiabe dell’ottocento, perché la radice del narrare parte da un proposito diverso, dal profondo di un’anima inquieta, quella dell’autore, che mai ha fatto mistero della sua difficoltà del vivere, dai tempi di un collegio vessatorio, all’onta del rifiuto, per quindici anni, di pubblicazione dei suoi primi romanzi, come Clandestinità, La cipolla, da parte di tutti gli editori, ai quali dedica in seguito il saggio al vetriolo Lettera a nessuno.

È la storia di un male del vivere senza speranza, di una rinuncia radicale alla vita nella società, sentita come nemica e non degna di attenzione da parte di un uomo, chissà forse un tempo importante, che però un giorno ha deciso di cambiare radicalmente stile di vita e diventare un barbone. D’ora in poi un cartone reperito alla discarica dei supermercati gli farà da letto e solo una logora coperta lo riscalderà dalle intemperie dell’inverno, noncurante del sottile strato di neve che lo ricopre di notte, attorniato da plastiche ripiene di croste di pane e avanzi di cibo trovato nei rifiuti fuori dai ristoranti. E sentire, senza vedere, i passanti che ti camminano accanto, tracciando un ansa per evitare la tua massa informe maleodorante e piena di croste, i capelli ispessiti in una selva informe.

Una rinuncia alla vita che solo in apparenza è simile a quella del Budda, perché manca del nobile obiettivo dell’illuminazione, è fine a se stessa, una rinuncia più assimilabile al nichilismo, una tensione verso il nulla, all’annullamento della coscienza di sé, perché nulla vale la pena di essere considerato.

Fino all’avverarsi di un fatto assurdo, che solo nelle fiabe può accadere, una meravigliosa ragazza incrocia il suo sguardo, lo prende per mano e lo porta nella sua piccola casa, piccola come nelle fiabe più accreditate, lo spoglia, lo mette nella doccia, si spoglia anch’ella e lo lava da tutte le sue croste. Non ci risparmia l’autore la crudezza di osceni particolari corporei, forse un eco dell’antica ferocia delle fiabe germaniche, e, udite udite, poi lo ama.

E lui, il “vecchio pazzo”, muto, osserva allibito gli accadimenti, e quando nel tempo riacquista la favella, e pur vecchio ripercorre il cammino inverso verso la scoperta delle mollezze del vivere, come i bambini delle fiabe, ripiomba nel suo antico incubo, ributtato sulla strada dalla volubilità della meravigliosa ragazza. E qui inizia l’attesa, e una nuova discesa agli inferi. E tutto intorno i barboni commentano, vecchio pazzo ti sei illuso e lo prendono in giro, come in un coro greco.

E poi inizia la seconda parte del romanzo la più perturbante, perché andiamo con il vecchio pazzo nella città dei morti, dove tutto è buio anche se si vede meglio che nella città dei vivi e dove tutto è fermo, i treni non partono, le case hanno le finestre chiuse ed emanano un rumore di sottofondo misterioso. Fino a un nuovo inaspettato incontro del destino, che cambierà ancora la sorte del vecchio, che vecchio forse non è.

Come nello spiazzante romanzo La Lucina, che inizia “sono venuto qui per sparire”, l’autore ripropone come protagonista un vecchio, manca solo il bambino, ma lui stesso è diventato un bambino nell’annullamento di sé, e solo grazie all’aiuto della sua salvatrice ,riuscirà per un breve tempo a risalire la china della conoscenza perduta.

Alla fine si scopre che il romanzo, iniziato come una rinuncia disperata alla vita, è un’invettiva contro l’inaffidabilità delle donne dalle parole mendaci, ma anche un inno all’amore, faticosamente conquistato, perduto,e forse vissuto solo in un altrove.

Moresco sta per terminare con Gli increati anche la sua potente trilogia, che comprende già l’oceanico e visionario Canti del caos e Gli incendiati, e si rivela come uno dei più grandi romanzieri dei nostri tempi, per potenza di immagini, capacità di costruire narrazioni ricche di personaggi dissonanti, luminosi o perversi, ove persino Dio ha una sua parte, quando cerca di vendere il mondo a una agenzia di pubblicità.

questa rubrica è a cura di Marilena Poletti Pasero

rubriche@arcipelagomilano.org



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali



Sullo stesso tema


16 maggio 2023

DAL GIARDINO ALL’INFERNO

Oreste Pivetta



19 marzo 2021

L’ULTIMO TRENO

Dario Balotta









21 febbraio 2021

I NON-LUOGHI DEL CORONAVIRUS

Cristina Bellon



11 febbraio 2021

ATTUALITÀ DI UN MODELLO URBANO

Michele Caja


Ultimi commenti