19 marzo 2014

NUOVO PREMIER NUOVE ISTITUZIONI


Qualsiasi cosa pensiamo delle prime “cento ore” di Matteo Renzi a palazzo Chigi non possiamo non riconoscere che ha già cambiato i tempi e i termini della comunicazione e del dibattito politico e ha segnato una rottura con la tradizione democristiana che pure è stata in più giovane età anche la sua: tanto per dirne una, se Forlani poteva parlare per ore senza dire nulla, Renzi può parlare per ore dicendo di tutto … .

02dalfonso11FBLo stile chiaro e diretto del premier deve indurre tutti a tagliare corto sui preliminari e a esprimersi sulle questioni sul tappeto con altrettanta chiarezza, a partire da quelle che egli stesso ha messo sul tappeto come il riassetto istituzionale e la legge elettorale .

Abolire il Senato, fare una legge elettorale maggioritaria, riformare in senso centralistico il Titolo V della Costituzione, sono tutte misure che non possono essere legate solo all’opportunità del momento devono essere inquadrate in un disegno chiaro e complessivo che non può essere disvelato solo a posteriori.

Renzi ha , come credo, una visione fortemente presidenziale dell’azione di Governo? Ha un’idea, come non credo, federalista dell’amministrazione? Pensa che i partiti siano il luogo dell’organizzazione della democrazia, in una misura che non riesco francamente a stimare, o no? Non ci costringa a intuire e a fare i dietrologi, usi il suo linguaggio chiaro e diretto anche in questa occasione così ci regoliamo tutti meglio.

Ci tranquillizzi sul fatto che non intende proseguire nel perseguire un “presidenzialismo di fatto” inventandosi improbabili e dannosi pasticci per fare leggi perché “si sappia chi ha vinto la sera stessa” pensando di sostituire la tecnica elettorale alla politica, distaccandosi dalla dottrina socialista che ha confermato di aver abbracciato e mantenendosi invece nel solco della dissimulazione comunista teorizzata dal fondatore della Ddr Walter Ulbricht (“dobbiamo dirci favorevoli alla democrazia, ma dobbiamo controllare tutto noi”). Se presidenzialismo deve essere, lo sia in maniera ordinata e coerente, adottando nella sua interezza un modello esistente e funzionante, senza invenzioni e inutili improvvisazioni: un presidenzialismo puro modello Usa, che però non potrebbe essere staccato da un sistema federale e un Senato eletto su base non proporzionale, piuttosto lontano dalle nostre tradizioni e soprattutto dalla nostra realtà; o un più vicino e più adatto semipresidenzialismo modello francese, con un sistema elettorale maggioritario uninominale a doppio turno, che potrebbe funzionare meglio e in un tempo più ristretto.

Penso che quest’ultima scelta sia ormai maggioritaria tra i cittadini, compresi quelli come me che restano convinti che il sistema parlamentare eletto su base proporzionale è indice di uno stato più avanzato della democrazia matura rispetto al presidenzialismo, ma che sono pronti a prendere atto che lo stato di salute della democrazia in Italia è tale da non permetterne il funzionamento.

Il premier vuole perseguire il giusto obiettivo della riduzione dei costi della politica, meglio, dell’apparato politico e della semplificazione burocratica e amministrativa e dei suoi ingenti costi occulti? Giusto, allora non ceda al populismo imperante e non se la prenda solamente con gli organi elettivi delle Province e non venda come riforma epocale il risparmio (teorico) di 160 – 200 milioni di euro l’anno di compensi, senza toccare e incidere sull’assetto istituzionale stesso dello Stato.

Il sistema delle autonomie locali basato su una fiscalità centralizzata e un sistema di redistribuzione dei fondi che ha caratterizzato il nostro Paese nello scorso secolo non funziona più da tempo, ma gli interventi di “manutenzione” del nuovo millennio, caratteristici del centrosinistra, così come quelli di “cambiamento” spesso sconfinanti nel “sovvertimento”, caratteristici invece del ventennio Berlusconi – Bossi, hanno peggiorato la situazione rendendola ormai quasi irrimediabile.

L’inserimento di un neocentralismo regionale inteso come un ulteriore livello di intermediazione e perequazione territoriale cui non è seguita alcuna capacità innovativa da parte di un ente che, come certificato dai recenti dati del Siope governativo (Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici), si è rivelato addirittura meno efficiente delle vituperate Province, ha finito per essere un danno e non un aiuto al funzionamento del sistema.

E poi metta fine all’egalitarismo comunale, a questa strana teoria tra il pauperistico e il populistico secondo la quale gli strumenti di governo, controllo e responsabilità della nobile e antica città di Pizzighettone sono esattamente gli stessi di quelli imposti al Comune di Milano ma non a quello di Roma, almeno in parte, grazie alla legge Roma capitale e nemmeno a quelli di Catania o Napoli , dove leggi – mancia dell’ultimo minuto salvano bilanci devastati e malgestiti.

Un nuovo sistema semplificato e almeno parzialmente flessibile che abolisca le Regioni (è duro e difficile ammetterlo, ma quello delle Regioni è il più clamoroso e dannoso fallimento riformatore del dopoguerra) e si basi su un rapporto diretto con le Città metropolitane e su un sistema di nuove Province basate sull’aggregazione di Comuni di territori omogenei non per tradizione o, peggio, per tracciamento su antiche carte militari del Regio Esercito, ma per numero di connessioni di mobilità, di distretto economico e produttivo, di territorio montano o di pianura, di legami di tradizione storica e culturale, è necessario per non ancorare tutta la colonna alla velocità minima e non, almeno, a quella media!

La sola realizzazione amministrativa della città metropolitana di Milano, per esempio, su un bilancio aggregato di tutte le entità pubbliche coinvolte di circa 6 miliardi di euro porterebbe un risparmio di almeno 600 milioni di euro all’anno (più del doppio della sbandierata eliminazione degli organi elettivi delle Province attuali) pur prevedendo di riuscire a realizzare con il 10% di riduzione costi la peggior performance di interventi di razionalizzazione di entità pubbliche degli ultimi trenta anni.

Matteo Renzi dichiari e sostenga questa scelta o un’altra, purché chiara e coerente, e ci risparmi il calvario di leggi ridicolmente appellate in latinorum, la serietà della politica si recupera anche in questo modo.

 

Franco D’Alfonso

 

 

 



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