19 marzo 2014

IL TASSISTA UCCISO A MILANO: TRA GIUSTIZIA E COSTUME


L’aggressore di Alfredo Famoso, il tassista morto dopo due giorni di coma a Milano, è stato scarcerato. Il Giudice per le indagini preliminari gli ha concesso gli arresti domiciliari e ha derubricato il reato da omicidio volontario a omicidio preterintenzionale, riconoscendo a Righi l’attenuante della provocazione ed escludendo l’aggravante, contestata dal Pubblico Ministero, dei motivi abietti e futili.

10livigni11FBLa ricostruzione è confermata da quattro testimoni oculari ascoltati dalla polizia, tutti abbastanza concordi: Righi, 48 anni, e sua moglie, incinta di 9 mesi, stanno rincasando in via Morgagni, zona est di Milano, attraversano sulle strisce pedonali quando il taxi guidato da Famoso passa senza rispettare la precedenza. Righi, spaventato e stizzito, sferra un colpo all’auto con una confezione di quattro bottiglie d’acqua colpendo il mezzo nella parte anteriore, Famoso inchioda, scende dal taxi, inveisce contro l’uomo e gli va incontro.

Righi a quel punto, forse sentendosi minacciato, gli sferra un colpo con la stessa confezione, colpendolo al volto: l’uomo impatta contro la ruota posteriore di un’auto in sosta e cade a terra. A questo punto Righi e la compagna si allontanano, ma vengono fermati da un maresciallo della Guardia di finanza fuori servizio ad oltre 100 metri dal luogo dell’accaduto, forniscono l’indirizzo di residenza e vengono poi rintracciati il giorno dopo, a causa della concitazione del momento. Il tassista, dopo aver perso conoscenza, muore dopo due giorni di ospedale in cui mai si è risvegliato dal coma per cause che solo l’autopsia chiarirà.

Questi i fatti, in estrema sintesi, con qualche ovvia divergenza tra quanto dichiarato dai testimoni e quanto affermato dall’indagato nel corso dell’interrogatorio di garanzia. La Procura di Milano aveva chiesto che Righi rimanesse in carcere con l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale, ovvero l’accettazione della possibilità e del rischio di uccidere. Nell’interrogatorio davanti al Giudice per le indagini preliminari Righi ha sostenuto, tra le altre cose, che quando il tassista è sceso dalla macchina ha avuto un atteggiamento aggressivo nei suoi confronti. Il giudice ha riconosciuto all’indagato l’attenuante della provocazione perché, da quanto si è saputo, Righi stava per essere investito insieme alla sua compagna incinta e perché il tassista sarebbe sceso dalla macchina con fare minaccioso e aggressivo.

Al di là della valutazione giuridica di cui si occuperà la Magistratura, in questa fase ed in quelle successive, ritengo che due siano gli aspetti fondamentali che questo fatto drammatico ci insegna e su cui ci fa riflettere. Il primo: il traffico, soprattutto in una grande città quale Milano, è causa di tensione e di violenza. Sono all’ordine del giorno tensioni e liti fra utenti della strada che spesso sfociano in gravissimi fatti di cronaca. Ricordiamo, non certo molto tempo fa, il brutale omicidio di un altro tassista, Luca Massari, anche in questo caso per un banale diverbio nato sulla strada.

Occorre davvero un’educazione alla convivenza anche nell’ambito della viabilità urbana che, soprattutto in orari di punta ed in realtà complesse quale Milano, è congestionata. Come si parla di educazione al rispetto dell’ambiente, al rispetto dei diritti dei deboli e di educazione alla legalità, occorre che i giovani, sin dal percorso scolastico, imparino il rispetto delle regole del traffico e a mantenere la calma nella viabilità cittadina anche da un punto di vista comportamentale.

Il secondo spunto di riflessione, che qui accenniamo soltanto ma si presenta come una delle problematiche a mio avviso più complesse dell’odierna società civile, attiene al rapporto tra cronaca, giustizia e media. Troppo spesso i giornali e la televisione – e, di conseguenza, la gente comune, leggendo e ascoltando – sulla base di emozioni a caldo e incontrollate, sono portati a parteggiare per qualcuno senza avere contezza dei fatti e, soprattutto, a ritenere che la custodia cautelare in carcere sia l’unica forma risolutiva in presenza di fatti di particolare gravità.

Non è sempre così e la giustizia deve tenere in considerazione molte peculiarità del fatto, fornendone una cornice giuridica il più possibile equa e verosimile, al di là di facili petizioni di retorica.

Ritengo che questi due spunti di riflessione, se ben analizzati da ciascuno di noi, possano contribuire a che tragedie simili non abbiano più a verificarsi e ad un corretto rapporto tra i mezzi di informazione ed il cittadino, nell’ottica di una vera convivenza civile.

 

Ilaria Li Vigni

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 

 

 

 

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