12 marzo 2014
12 ANNI SCHIAVO
Di Steve McQueen [Usa, 2013, 134′]
con Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Benedict Lumberbatch, Lupita Niongo’o, Brad Pitt
Dopo ‘Lincoln‘ di Spielberg, e ‘Django‘ di Tarantino, l’America nell’era di Obama, continua a fare i conti con il fantasmi del passato: le atrocità della schiavitù. Le colpe da espiare sono tante per questo grande paese che almeno ha la forza di interrogarsi sul tragici eventi irrisolti della sua storia.
Il film racconta la storia vera di Solomon Northup, nero nato libero nell’America della prima metà dell’Ottocento, venduto come schiavo in Georgia attraverso un inganno. Violinista, uomo colto e raffinato si trova improvvisamente a vivere la atroce vita da schiavo. Lo schiavo é una cosa nelle mani del padrone e non deve sapere né leggere né scrivere e per dodici anni Solomon passerà attraverso le mani di vari padroni, la testa sempre bassa e le frustate dietro l’angolo.
Ora il film è un tentativo iperrealistico di raccontare una verità non completamente interiorizzata dagli autori. Tanto è bella e intensa la scena della falsa impiccagione di Solomon, quanto poco credibili, fredde e didascaliche le scene di vita degli schiavi ridotte a pure stereotipo. In fondo noi spettatori, per quanto sicuramente colpiti dalle scene cruente, dalle pelle lacerate dalle frustate, dalle urla strazianti non riusciamo a essere coinvolti da quello che resta uno svolgimento fin troppo prevedibile della sceneggiatura. Restiamo con un sentimento di compassione per la vicenda di Solomon ma senza una reale immedesimazione.
La denuncia dell’ingiustizia rimane troppo legata alla figura del protagonista, uomo ingiustamente schiavizzato, mentre la schiavitù in generale al Sud è quasi un dato di fatto. In questo grande affresco solo il personaggio di Patsy, le sue urla laceranti, il suo sguardo disperato e dolcissimo, interpretata da una intensa Lupita Nyongo’o, esce dal luogo comune per dar vita a un personaggio complesso e vero.
Bella la regia di McQueen quando apre ampi squarci sul Mississipi e sulla natura silenziosa e indifferente della Georgia. Suggestive la riprese del lavoro nei campi di cotone, sembra di sentire il caldo soffocante dell’afa che toglie il respiro e che fa ansimare gli schiavi.
Un cast con attori d’eccezione, anche in piccoli ma significativi ruoli, in particolare quello di Padron Ford dove Benedict Cumberbatch riesce perfettamente nel doppio ruolo di uomo buono ma debole e schiacciato dalla violenza delle convenzioni. Un ruolo più significativo e giocato con magistrale e istrionica presenza è quello di Edwin Epps, ultimo padrone di Salomon, uomo dall’occhio azzurro di ghiaccio, gelido, psicotico, simbolo del disfacimento della società schiavista interpretato da uno straordinario Michael Fassbender, attore molto amato da McQueen.
La poca verosimiglianza del film è forse causata anche dall’impossibilità di sentire le vere voci degli attori. Il doppiaggio, in questo film, come in altri, ci toglie l’occasione di aderire all’opera come gli autori avrebbero voluto. Sarebbe stato, probabilmente, ben più emozionante sentire la voce dei neri del sud o la voce traslucida del grande Fassbnder piuttosto che l’accento nazional padano dei nostri pur bravi attori italiani.
Premio Oscar 2014 l miglior film, migliore attrice non protagonista (Lupita Nyongo’o) e migliore sceneggiatura non originale (John Ridley).
La strana coppia
questa rubrica è a cura di Anonimi Milanesi