5 marzo 2014

RENZI E LA VOGLIA DI NUOVA RAPPRESENTANZA


L’avvento di Renzi e delle sue giovani ministre è avvenuto rimuovendo senza troppi complimenti il quasi coetaneo Enrico Letta, che appariva come un giovane precocemente invecchiato sia per l’aspetto fisico sia per metodi di gestione ossequiosa e rallentate di un potere ereditario. Matteo Renzi si pone come il rappresentante politico di una nuova generazione che chiede senza troppe cerimonie spazio come portatore di valori di rottura, dalla rottamazione alla sfrontatezza dei modi e del linguaggio, alfiere, per dirla con Sartori, del “velocismo” molto più che del “decisionismo” di stampo craxiano. Ma è davvero così, dietro Renzi c’è una generazione, un gruppo di riferimento o il suo non è un brillante tentativo individuale?

03dalfonso09FBLa critica al sistema politico parlamentare, alle lentezze burocratiche, alla mancata sintonia tra politica e società, la voglia di pensionare una classe politica al potere è molto simile, nella diversità delle epoche, a quella che animava il Bettino Craxi che arriva da outsider assoluto a essere Primo ministro con un Parlamento che si piega a dargli il passo ma che resta sempre ostile e in attesa di cogliere l’occasione per prendersi una rivincita. La similitudine, a mio parere, si ferma qui. L’immagine di outsider del premier è essenzialmente basata su un esibito vitalismo e sull’uso ostentato di tweet, web, blog, che fa tanto modernità e rinnovamento ma soprattutto è in sintonia con una generazione che ha basi e riferimenti culturali veramente diversi, formatesi più con la rete che con i libri, più con le sensazioni che con le meditazioni.

La faglia che esiste tra la generazione politica dei trentenni – quarantenni e quelle precedenti è profondissima, più profonda di quanto non sia, per esempio, tra la mia di cinquanta – sessantenni e quelle precedenti. La lotta generazionale – sempre esistita! – di noi post-sessantottini è stata ed è tutta politica contro un potere che prima era autoritario e conservatore e che adesso è autoreferenziale e conservatore, con una dose di ingenerosità rilevabile negli ottantenni che resistono abbarbicati alle presidenze effettive od onorarie e che si ritrovano alla prima della Scala attorno a signore di fuggita beltà cui il silicone rovina un glorioso passato e che solo la buona educazione che i nostri genitori ci hanno comunque dato impedisce di rimetterli al centro del mirino almeno del lancio di uova e pomodori. Con presunzione e coscienza di sé non inferiore a quella di Renzi, abbiamo iniziato a chiedere spazio e potere sin dalla più giovane età (ottenendolo peraltro poco e tardi …) , con metodi spesso ben più tragicamente violenti, in nome di una pretesa maggiore capacità e purezza di ideale politico , ma leggendo gli stessi libri e utilizzando gli stessi codici comportamentali dei nostri avversari .

La nostra generazione non è stata e non è diversamente innovativa rispetto all’attuale: Steve Jobs e Bill Gates sono i simboli del cambiamento proprio perché hanno favorito e indicato il salto culturale verso il mondo virtuale partendo dalla critica radicale alla realtà che conoscevano e vivevano (“stay hungry, stay foolish”). Abbiamo cercato il nuovo modo di fare impresa, di lavorare, di avere relazioni, ma soprattutto abbiamo cercato di avere una visione “globale”, di avere un quadro di assieme, di ricondurre tutto a una razionalità complessiva, quasi mai trovata ma sempre inseguita, il più delle volte con risultati quantomeno rivedibili.

La generazione “web-nativa”, di cui Renzi si pone come volto politico, ha parametri diversi. I creatori di start – up web, tipo Zuckerberg di Facebook, non hanno cultura o visione di impresa, di obiettivi collettivi, come i fondatori di Apple e Microsoft: sono dei “gambler”, dei giocatori geniali che puntano alla fortuna individuale. È difficile trovare giovani provenienti da esperienze di questo tipo disponibili a impegni sociali e politici collettivi in prima persona, non fa parte della loro cultura e del loro modo di essere: per questo non si curano di avere una rappresentanza politica e geniali imprenditori di se stessi come il nostro Matteo possono ambire a dargliela, magari loro malgrado .

E così il mazzo è in mano a Matteo Renzi e a lui tocca ora distribuire le carte. Sono certo che sa e si ricorda che è seduto a un tavolo al quale, volenti o nolenti, siamo seduti insieme con qualche decina di milioni di italiani, che per troppe volte hanno sperato invano nell’uomo solo al comando … .

 

Franco D’Alfonso



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