5 marzo 2014

LA VERA STORIA DELLE FINTE VIE D’ACQUA. IN BREVE


La parabola della cosiddetta via d’Acqua Expo nasce e muore nel campo degradato della politica. Questa è l’unica spiegazione di quanto avvenuto in questi anni. Formigoni la volle nel dossier di candidatura Expo, tutto a vantaggio degli interessi del Consorzio Villoresi. Nel dossier di candidatura la via d’acqua era una (al singolare!) ed era presentata come un progetto paesaggistico, fatto per riunire i parchi della zona ovest in un unico grande sistema “simile a Tiergarten, Hyde Park e Central Park”!.

09lipparini09FBCome ulteriore rassicurazione, nel 2009, ai cittadini contrari veniva addirittura presentata come una delle vie d’accesso al sito, navigabile in alcune delle sue parti. La strategia comunicativa dell’intera vicenda Expo è sempre stata la stessa: evocare cose fatte bene da altri per tranquillizzare i cittadini e muovere montagne di soldi senza alcun supporto progettuale serio, al massimo qualche furbo rendering come quello tragicomico con le tendine e le barchette prodotto dalla così chiamata Consulta Architettonica.

Arrivò poi Pisapia, e il progetto fu presentato alla città il 5 febbraio 2012 al Teatro Dal Verme da Formigoni, Pisapia e Sala. Titolo: “La Darsena ritrovata, le Vie D’acqua“. La Darsena, che mezzo milione di cittadini avevano chiesto di recuperare insieme ai Navigli milanesi con il referendum del 2011, viene quindi affiancata all’opera che dovrà fare defluire le acque dalle fontane di Expo. Le vie diventano plurali, si fa richiamo ai Navigli, il cui rilancio aspetta da decenni e non avverrà nemmeno questa volta, e a un percorso ciclabile di 125 km affiancato dall’acqua. Fotografie di imbarcazioni e biciclette vengono presentate con approvazione nei consigli di zona.

Il sette febbraio dello stesso anno i responsabili del comitato promotore dei referendum, Cappato, Croci e Rosti, incontrano i dirigenti Expo con il rappresentante del sindaco Confalonieri, in un estremo tentativo di fermare l’opera per sostituirla con un progetto alternativo, dieci volte meno costoso, dove l’acqua (necessaria sia per gli usi geotermici dei padiglioni che per le scenografie del sito) sarebbe stata prelevata da semplici pozzi, in parte esistenti.

Niente. Le nuove finte vie d’acqua non si toccano. Sono un elemento imprescindibile del progetto voluto dal BIE. Senza Vie d’Acqua, hanno detto allora i responsabili, non ci può essere Expo. Infatti arrivano i primi progetti per conferire i primi appalti: La Via, perché di una sola Via si tratta, è per un quarto interrata in tubatura e trasporta solo due metricubi di acqua al secondo. Impossibile navigarla.

È in cemento, in alcuni tratti in superficie assomiglia a una trincea di 8 metri che spappolerà i parchi che attraversa e divide. E costa oltre 2 milioni di euro al chilometro. In giugno partono quindi le diffide alla Corte dei Conti del Comitato MilanoSìMuove per danno erariale: Il Consiglio Superiore dei lavori pubblici e poi la Corte dei conti confermano tutte le criticità del progetto, dal suo nome alla realizzazione, fino ai costi. La “via d’acqua” è in realtà un costoso fosso irriguo.

La politica deve però difendere un progetto su cui ha messo la faccia. Serve dimostrare che l’amministrazione è in grado di mantenere gli impegni nei tempi, realizzare opere. Poco importa se discutibili. E per fare digerire la cosa si creano crescenti mistificazioni: “è il BIE che ce lo chiede, impossibile una nuova Darsena senza la Via d’Acqua, l’agricoltura di Milano Sud aspetta questa opera, non possiamo più tornare indietro”. Nulla di vero. Ma un accordo politico tra i soci di Expo e “i tempi stretti” (costruire emergenze e ritardi appare sempre più come una disciplina specifica della politica) giustificavano questa linea.

La cosa è rimasta rubricata tra ironia e sufficienza fino a che le prime ruspe non hanno allarmato i residenti dei quartieri interessati, che le hanno subito bloccate. Solo allora sono arrivati i negoziati, con i “responsabili” dei partiti di maggioranza che tentavano di dare rassicurazioni ai cittadini su un progetto a loro sconosciuto e i “furbi” passati nel frattempo all’opposizione che scaricavano quella che era stata una loro primogenitura.

La politica del fatto compiuto, la mistificazione per “ragion di stato” il predominio dell’immagine sugli atti concreti si sono dimostrati, ancora una volta, una costante per la politica di palazzo. Questo, prima di altro, ha generato il disastro delle cosiddette “vie d’acqua”. La verità è che si sono persi due anni, un sacco di soldi, realizzato opere inutile e comunque incompiute e nessuno si sente responsabile. Si poteva dare ascolto a chi proponeva progetti alternativi quando c’era tutto il tempo per realizzarli.

E intanto, le vie d’acqua vere, cioè i navigli da riscoprire, le conche da restaurare, le sponde da consolidare, il porto e la navigazione da Locarno a Venezia da rilanciare, in sintesi la nostra storia e il nostro futuro, aspettano finanziamenti che forse non si troveranno mai. Peccato.

 

Lorenzo Lipparini e Francesco Spadaro



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