26 febbraio 2014

PAESAGGI URBANI E GROVIGLI BUROCRATICI: ARREDO URBANO


L’arredo urbano è sempre un tema di grande interesse che suscita discussioni e dibattiti sia tra i cittadini che sulle pagine di ArcipelagoMilano. Rileggendo tutti gli interventi di quest’ultimo periodo si notano alcune costanti comuni a vari articoli, ad esempio prevale l’insofferenza per il termine “arredo urbano”, considerato limitativo e con aspetti kitsch intrinseci alla parola stessa, dovuti alla piccolezza della problematica rispetto a quello che Gregotti chiama il disegno degli spazi pubblici legato alla pianificazione e al progetto globale.

07francorepellinoi08FBÈ strano però questo spregio in una città dove l’arredo (non urbano) costituisce uno degli aspetti trainanti dell’economia e dell’immagine trascinando aziende, architetti, designer di tutto il mondo e che sarebbe buona cosa si applicasse con ugual portata anche agli spazi pubblici. Per altro la definizione è uguale nelle altre lingue, mobilier urbain, urban furnishings, ma la diffidenza è condivisibile e tutti noi sicuramente preferiamo il concetto più completo di paesaggio urbano o di qualità urbana che suggeriscono un’immagine unitaria dei luoghi e tutta la complessità degli elementi sia materiali che simbolici che concorrono a definire uno spazio pubblico.

Le nostre città sono quasi completamente costruite ed è difficile avere la possibilità di interventi sostanziali: l’arredo urbano o in qualsiasi modo lo si voglia chiamare, si occupa del software, della pelle delle aree pubbliche, in particolare modo quelle pedonali. Se una piazza è circondata da edifici orrendi o se ci sono cataste di rifiuti accumulati per strada non è certo l’arredo urbano o il design del cassonetto lo strumento di intervento. Il software comporta parecchie voci specifiche e tecniche che devono essere ben conosciute da chi se ne occupa: Offelee’ fa el to meste’.

Questo è un altro problema spesso rimarcato dagli interventi: l’Offelee’ fa male il suo mestiere e le scelte di arredo appaiono casuali, inesistenti e a volte pacchiane. Punto chiave perché nel pubblico l’estetica, che è un giudizio molto individuale legato ai sensi, si deve trasformare in norma applicabile in cento diversi casi da cento persone diverse, scontrandosi con altre norme che spesso sono in contrasto come il codice della strada, il regolamento edilizio, il regolamento di igiene ecc. Molti si domandano ad esempio perché a Milano i dehors dei bar siano metà in vetro metà in fogli di plastica svolazzanti con un effetto che non sta né in cielo né in terra. Semplice, la collocazione del dehor aumenta la superficie del locale, cosa quasi sempre vietata che poi, se ottenuta, comporta la presenza di servizi separati per donne, uomini e disabili difficilmente organizzabili in piccoli spazi. Così la plastica serve a dimostrare che l’ambiente non è chiuso e il groviglio burocratico genera sciatteria.

Eppure la definizione della normativa, la stesura di semplici piani di intervento, la capacità di intervenire con precisione, la formazione di personale specializzato, la possibilità di avvalersi di professionisti competenti con la finalità di prendersi cura dei luoghi è uno degli scopi principali di una amministrazione, come suggeriscono nei loro interventi Nicolin e Tognoli; una modalità di lavoro continuativa e spesso ripetitiva che non inficia la possibilità di interventi più sostanziali o originali, anzi li facilita.

Il prendersi cura dell’aspetto degli spazi non significa trattare tematiche decorative e superflue, decorativo sarà se mai il nuovo canale EXPO che, alla ricerca di un improbabile effetto pittoresco, si prende novanta milioni con cui la città avrebbe potuto rimettersi a nuovo per anni.

Innanzi tutto occorre sapere cosa si vuole (quanti progetti sbagliati sono nati da richieste sbagliate degli enti!) esaminare con attenzione le parti in gioco, tracciare le filiere delle questioni specifiche e dare delle direttive.

Nel mio precedente articolo ho accennato al tema delle pavimentazioni, dei monumenti e dei manufatti di arredo vero e proprio, vediamo adesso la situazione relativa all’illuminazione. Il problema fondamentale oggi è legato all’abbattimento dei costi dell’energia che in questi ultimi anni è salita a picco: questo comporta introduzione di apparecchi a led e l’eliminazione di quelli a scarica. Per Milano il progetto è ambizioso (una volta tanto parliamo bene dell’amministrazione) e riguarda la sostituzione del cento per cento degli impianti che sono centoquarantamila. Un programma di parecchi milioni (non si sa ancora quanti di preciso) che dovrebbe essere realizzati in due anni e che vedrà parecchie gare divise per lotti legati alla tipologia dei corpi illuminanti: lampade a sospensione, pali funzionali, pali da giardino e ornamentali, illuminazione monumentale. Si cercherà di sostituire unicamente l’apparecchio illuminante perché la sostituzione di tutto l’elemento, palo compreso, sarebbe ingestibile. La forma di questi nuovi corpi sarà soprattutto legata alla funzionalità e alla tradizione: ad esempio le sospensioni sono rotonde e gli elementi su palo a dieci metri di altezza sono esclusivamente tecnici. Di certo spariranno i globi perché fonte di inquinamento luminoso, molto sporchevoli e di difficile manutenzione. I cittadini sono di media più sensibili alla qualità e alla funzionalità dell’illuminazione che alla tipologia del corpo illuminante.

Alcune illuminazioni particolari di piazze o di monumenti contribuiscono sicuramente alla qualità e all’identità del sito. I monumenti fondamentali sono stati in buona parte illuminati, resta da vedere se si vuole dare forza ad alcuni luoghi non centrali: una proposta di illuminare i ponti sui Navigli al momento è arenata e sempre bello sarebbe riprendere i progetti sulle porte della città con degli effetti luminosi speciali .

Infine un ultimo punto del dibattito su ArcipelagoMilano, sottolineato da Saibene che con la sua organizzazione Esterni ha organizzato eventi e allestimenti a cui hanno partecipato migliaia di giovani, ovvero il fatto che non si deve per forza pensare solo a interventi fissi ed eterni (comunque un manufatto di arredo urbano ha vita breve) perché le strade e le piazze sono i luoghi dove la vita urbana si mette in scena con un movimento continuo.

A questo proposito mi limito a ricordare, perché ne ho visti alcuni realizzati in giro per l’Europa, gli orti provvisori urbani costruiti in piazze anche centrali con grandi casse mobili. Allego foto con immagini di Vienna. Esperienze simili sono state sperimentate a Milano con buoni risultati ad esempio ai giardini di via Montello e potrebbero essere riprese in modo più organizzato proprio in vista di un EXPO che vuole nutrire il pianeta e potrebbe nutrire visivamente la città.

 

Giovanna Franco Repellini

 

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IL DIBATTITO SULL’ARREDO URBANO 

Vittorio Gregotti ARREDO URBANO NO. PROGETTO DI SUOLO SÌ

Pier Luigi Nicolin  SE “ARREDO” URBANO FOSSE UN NEOLOGISMO PER SOTTRAZIONE

Giovanna Franco Repellini ARREDO URBANO: PER L’EXPO MILANO DOVRÀ ESSERE MAGNIFICA

Luciano Crespi ARREDO URBANO O “INTERNI URBANI”?

Mario Bisson ARREDO URBANO: IL TEMPO E IL LUOGO NEL PROGETTO

Carlo Tognoli ARREDO URBANO: AVERE CURA DELLA CITTÀ

Beniamino Saibene (esterni) DALL’ARREDO URBANO ALL’ARREDO UMANO: PUBLIC DESIGN

Guya Bertelli, Michele Roda Pasquale Mei  ARREDO URBANO: SPAZI PUBBLICI E LUOGHI CONDIVISI

Marianella Sclavi ARREDO URBANO, SPAZI PUBBLICI E DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA

Marco Romano ARREDO URBANO: L’INERZIA NELLE PICCOLE COSE. E NELLE GRANDI?

Andreas Kipar MILANO CHE CAMBIA: OLTRE L’ARREDO URBANO

Emilio Battisti L’ARREDO URBANO A MILANO TRA DETTAGLIO E SCENARIO

Gianni Zenoni ARREDO URBANO, ANCORA PIAZZA SAN BABILA!

Renzo Riboldazzi PER LA BELLEZZA DI MILANO L’ARREDO URBANO NON BASTA

Dede Mussato L’ARREDO URBANO E L’ATTENTO PASSANTE



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