26 febbraio 2014

DESIDERI SPARSI PER LE NOMINE ALLE PARTECIPATE DEL COMUNE


Il tempo, si sa, scorre veloce. Così nella prossima primavera molte delle società partecipate dal Comune di Milano, saranno chiamate a rinnovare il proprio organo amministrativo o di controllo. Si va dalle società interamente (o quasi) controllate ATM S.p.A., Milano Ristorazione S.p.A., Sogemi S.p.A. ed AMAT S.r.l. (per indicare le più rilevanti) sino alla quotata A2A S.p.A., di cui attualmente il Comune di Milano, al pari di quello di Brescia, detiene il 27,4% del capitale sociale. Quest’ultima, per altro, sarà teatro di un grande mutamento da celebrasi nell’assemblea in programma a giugno, come convenuto con la firma del nuovo patto parasociale tra i due Comuni, siglato l’ultimo giorno del 2013. In particolare, la partecipazione congiunta di Milano e Brescia scenderà sino al 50% più due azioni, e la governance muterà, tornado al sistema tradizione (Consiglio di Amministrazione e Collegio Sindacale), con l’abbandono del dualistico.

12liva08FBStagione di nomine, dunque, alcune anche piuttosto rilevanti. La via indicata dal Sindaco Pisapia sembra quella giusta: diminuirà il numero dei consiglieri di amministrazione e per alcune società incomincerà il tempo degli amministratori unici (Sogemi, ad esempio, passerà da un Consiglio di Amministrazione di cinque membri a un amministratore unico). Risparmio e snellezza, quindi, sembrano le parole chiave individuate e l’obiettivo da perseguire.

Tuttavia, i rischi sono dietro l’angolo e mai come in questi casi un’opinione pubblica attenta, coinvolta e informata può fare la differenza. Il primo passo è stato senza dubbio significativo: il Comune di Milano ha aperto un bando pubblico per ricevere candidature alle cariche societarie vacanti, prevedendo la possibilità che la proposta di un candidato possa giungere anche dalla sottoscrizione di almeno 100 cittadini milanesi. Certo, poi le candidature saranno vagliate dal Gabinetto del Sindaco e le nomine fatte nel rispetto dei vincoli statutari delle società coinvolte, ma dar voce ai cittadini, seppur in una fase preliminare, non è mai del tutto errato. Una efficace disclosure sui criteri di nomina (e poi di verifica) resta, infatti, un imprescindibile punto di partenza.

Senza voler poi cedere a facili demagogie o inseguire slogan ad effetto ma imprecisi («le partecipate sono dei cittadini» o «siamo noi che paghiamo i managers pubblici»), alle società a capitale pubblico (totale o parziale che sia), ai loro amministratori e agli Enti che li nominano si può domandare o ribadire, da cittadini, qualche cosa. Ma cosa, esattamente?

Agli amministratori, inizialmente, anche se banale, ricordare che le norme, le regole ci sono e sono una variabile da prendere in considerazione ex ante nella condotta, nella scelta, nella programmazione, non un dato con qui confrontarsi a cose fatte ex post. Norme che, per altro, non sono un ostacolo all’intraprendenza manageriale ma al contrario si ergono come garanzia di competitività. Anzi, ricordava bene Piergaetano Marchetti parlando nell’aula magna della Bocconi, come negli ultimi anni l’impresa abbia dato «troppo spazio al governo degli uomini, al capo azienda, alla retorica dell’efficienza manageriale» con il risultato di «un’eclisse del governo delle legge, delle norme, delle regole». Talvolta potranno sembrare anche regole banali, come i conflitti di interesse o una serrata dialettica, nel rispetto dei ruoli, tra organi collegiali e organi delegati, così come tra controllori e controllati, ma comunque necessarie. Citando, ancora, Piergaetano Marchetti, verrebbe da chiedere quella che in definitiva potrebbe essere definita come «una banalità del buongoverno tutta da scoprire, da applicare con un lavoro di riflessione e irrobustimento etico e culturale delle nostre classi dirigenti».

Poi, ma questo vale sia per il Comune, nelle scelte, che per gli amministratori, nella gestione, privilegiare le competenze e il senso di appartenenza. Il primo, evidentemente, è elemento imprescindibile, sia per la generazione di utili che per lo svolgimento efficiente del business.

Inoltre, quanto ad A2A, essendo società quotata in borsa che ambisce a reperire tra il pubblico e gli investitori istituzionali risorse economiche, non può concedersi sconti in merito alla ponderatezza e alla serietà dei processi decisionali, che, come noto, stanno alla base della fiducia di chi investe. Il grado di attrattività di un’impresa, infatti, passa anche da un CdA professionale, in un’epoca dove, per dirla con il titolo di un libro Ed Michaels, la «guerra per i talenti» è accesa e serrata.

Ma alla competenza e alla professionalità, si aggiunga un richiamo a un senso di appartenenza. Alla città, innanzitutto, nella consapevolezza che il “modello Milano” si fonda sul fecondo intreccio e contaminazione tra le best practices del privato e del pubblico e sulla capacità di fare squadra. Senso di appartenenza poiché anche l’amministratore di nomina pubblica, infatti, con una scelta gestionale o un “no” espresso (che non si concretizza solo in un voto contrario in consiglio, ma può significare anche un progetto sbagliato abortito) contribuisce a sviluppare la città, a renderla vivibile, competitiva, attrattiva. E quanto più egli è legato al territorio e ne conosce le dinamiche, tanto più può dare un serio contributo. Senza chiudersi nel provincialismo, è ovvio. Ma nemmeno affidando le chiavi delle casseforti comunali a presunti managers interessati soprattutto alle stock options o ai dividendi di una o due stagioni e poi pronti ad andare a far fortuna altrove. Magari lasciando buchi nel bilancio e dipendenti in cassa integrazione.

Infine, ultimo ma non meno importante, tenere a portata di mano il libretto pubblicato proprio da ArcipelagoMilano, dal titolo emblematico «La buona governance. Piccolo manuale per amministratori di società ed enti a partecipazione pubblica». Un ottimo appiglio, davanti alle sfide quotidiane.

 

Martino Liva



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