26 febbraio 2014

arte – ADDIO A CARLA ACCARDI, DONNA D’ARTE E DI IMPEGNO


ADDIO A CARLA ACCARDI, DONNA D’ARTE E DI IMPEGNO

Il mondo dell’arte perde una delle più significative artiste italiane. Si è spenta il 23 febbraio scorso, ad 89 anni, la pittrice Carla Accardi. Il decesso, dopo un ricovero in ospedale, è avvenuto a Roma, città che l’aveva accolta dopo che, giovanissima, aveva lasciato la sua Sicilia, era originaria di Trapani, per raggiungere la capitale ed esordire in un periodo ricco di sperimentazioni artistiche.

arte08FBVentenne, unica donna, è tra i fondatori del gruppo «Forma 1», che nasce nel 1947 per iniziativa di Dorazio, Perilli, Consagra, Turcato e di Antonio Sanfilippo, che diventerà suo marito nel 1949. Il gruppo era solito riunirsi intorno alla Libreria Age d’Or di via del Babuino, nel cuore di Roma, e proprio questo indirizzo sarà quello in cui la Accardi vivrà per tutta la sua vita, senza mai smettere di lavorare. Poco prima della morte l’artista, quasi 90enne, stava preparando opere per una futura mostra in Belgio.

Regina dell’informale, sulla scia di quegli “irascibili” americani che amava tanto, Pollock, Kline e Rothko, elabora una sua cifra stilistica caratterizzata da segni bianchi su fondi neri, poi colorati in tinte e forme diverse sul fondo della tela. Nel 1965 la Accardi abbandona i colori classici a favore di vernici colorate e fluorescenti che applica su supporti plastici trasparenti, il sicofoil, uscendo così dalla dimensione bidimensionale del quadro e coinvolgendo lo spazio, con opere che diventano installazioni. Modello che sarà guardato come imprescindibile dagli artisti della futura Arte Povera.

Notata a livello internazionale nel 1964 alla Biennale di Venezia, a cui tornerà in anni recenti come Consigliere, la Accardi è stata anche militante e pioniera del femminismo italiano, insieme a un’altra grande presenza a cavallo tra politica e arte: Carla Lonzi. Entrambe fecero parte del gruppo “Rivolta femminile”.

La ricerca di Carla Accardi, portata vanti soprattutto nella direzione dell’automatismo segnico, rimane una tappa fondamentale della pittura italiana del secondo Novecento. Arte astratta dunque, ma con un’idea bene precisa: «Io sono per una pittura che è veramente astratta, però con un contenuto attuale», ha detto una volta.

Addio dunque a questa grande artista, che possiamo scoprire o riscoprire dal vivo andando al Museo del 900, dove sono esposti alcuni dei suoi lavori segnici e gestuali.

 

 

WUNDERKAMMER – LE STANZE DELLE MERAVIGLIE

C’erano una volta le Wunderkammer: stanze delle meraviglie, vanto di sovrani e signori d’Europa in epoca rinascimentale, che non contenti di collezionare opere d’arte tradizionali, misero insieme stupefacenti collezioni di pezzi rari, curiosi ed esotici, naturalia et artificialia, per la gioia degli occhi e lo stupore dei visitatori ammirati.

Oggi le Wunderkammer ritornano, a Milano, grazie a una mostra divisa tra due importanti musei, uno storico e uno recente, a pochi passi di distanza. Le Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo e il Museo Poldi Pezzoli, in collaborazione con la Fondazione Antonio Mazzotta, presentano infatti Wunderkammer. Arte, Natura, Meraviglia ieri e oggi.

L’esposizione racconta i rapporti tra arte, natura e meraviglia, spaziando dall’antico al contemporaneo con un approccio multidisciplinare. Accostando a opere e manufatti cinque – seicenteschi di collezioni italiane opere d’arte contemporanea, la mostra intende stimolare il visitatore a rintracciare analogie, rimandi e corrispondenze tra i significati implicati nel complesso fenomeno delle Wunderkammern, tema già affrontato dalla storica dell’arte Adalgisa Lugli nella Biennale veneziana su arte e scienza del 1986.

In principio fu l’Italia, Paese in cui scienziati, principi e regnanti, seguiti dai loro colleghi austriaci, tedeschi e boemi iniziarono a costituire delle raccolte in cui le scienze, la natura e le creazioni artistiche trovavano un equilibrio di reciproca compenetrazione.

Al Museo Poldi Pezzoli, tempio del collezionismo privato e custode di oggetti da Wunderkammer esso stesso, sono riunite per la prima volta insieme le raccolte enciclopediche dei bolognesi Ulisse Aldrovandi e Ferdinando Cospi e del milanese Manfredo Settala, possessori di alcune tra le raccolte più ricche e curiose del tempo. Veri detentori del “mondo in una stanza”, elementi del mondo minerale, vegetale e animale venivano combinati tra loro o integrati in raffinati capolavori di oreficeria e arti decorative – gli artificialia – o addirittura accostati a oggetti stupefacenti e curiosità esotiche provenienti dal Nuovo Mondo. Pesci palla, denti di narvalo, nautilus, coccodrilli, coralli e teschi sono solo alcuni degli oggetti più apprezzati dal collezionismo dell’epoca.

Se al Poldi Pezzoli prevalgono dunque i pezzi “d’epoca”, alle Gallerie d’Italia ecco invece che alla storia si integra anche, in maniera curiosa, l’arte contemporanea. Le stanze delle meraviglie vennero smantellate e i pezzi dispersi nel corso degli anni, ed è proprio questo fenomeno che vanno a indagare artisti come Emilio Isgrò ed Elisa Sighicelli, che aprono il percorso ad altri grandi, uno su tutti Marchel Duchamp, che affrontarono nelle loro opere la presenza del meraviglioso attraverso l’utilizzo di materiali eterogenei o accostamenti di naturalia e artificialia.

Due sono i grandi temi che guidano il visitatore: una prima sezione permette di illustrare il desiderio di contenere “entro quattro pareti” (che si tratti di uno stipo, scatola, valigia o stanza), il repertorio esaustivo di un mondo. In questa sezione, sono presentate opere di Alik Cavaliere, Giuliana Cuneaz, Marcel Duchamp e Emilio Isgrò. Una seconda sezione indaga invece il rapporto dialettico che intercorre tra arte e natura nella contemporaneità, tra homo faber e mondo naturale, che pone la natura come alternativa nella creazione d’arte e per superare la dimensione a volte troppo scientifica del quotidiano. Ed è questa la natura indagata dalle magnifiche e allo stesso tempo macabre ali di farfalle di Damien Hirst, dai reperti di Jannis Kounellis, dalle ricostruzioni di Piero Manzoni, Mario Merz e Studio Azzurro.

Wunderkammer. Arte, Natura, Meraviglia ieri e oggi fino al 2 marzo Sedi: Gallerie d’Italia e Museo Poldi Pezzoli Costi: Gallerie d’Italia ingresso gratuito, Poldi Pezzoli ingresso ridotto presentando il tagliando delle Gallerie d’Italia. Orari: Poldi Pezzoli: 10.00 alle 18.00, martedì chiuso. Gallerie d’Italia: Da martedì a domenica dalle 9.30 alle 19.30, Giovedì dalle 9.30 alle 22.30

 

 

 

VAN GOGH ALIVE

Appassionati di Van Gogh? In attesa, forse, della retrospettiva dedicata all’artista prevista per l’autunno 2014, si potrà prender confidenza con le opere del grande maestro olandese già da oggi, attraverso una esperienza sensoriale che ha già avuto un incredibile successo di pubblico.

Van Gogh Alive è un progetto ambizioso e itinerante. Chiamarlo mostra è sicuramente fuorviante perché di dipinti, disegni, carte o creazioni originali non ce ne sono. Ci sono però grandi megaschermi che proiettano oltre tremila immagini in altissima definizione grazie al sistema Sensory4, e che permettono una visione ravvicinata di dipinti, lettere, disegni, appunti e particolari di opere, in alcuni casi non facilmente godibili con la classica esposizione museale.

Quello che si compone davanti agli occhi del visitatore è un museo impossibile nella realtà, che raggruppa per nuclei tematici le fasi della vita dell’artista, con i suoi viaggi e i suoi periodi: dagli esordi “contadini” di Van Gogh, agli autoritratti, dalla passione per le stampe giapponesi alle lettere scambiate con l’amato fratello Theo, fino naturalmente ai capolavori più noti, amati e soprattutto sofferti durante la creazione stessa.

Alcuni effetti sono di grande impatto: le luci delle finestre della “Terrazza del caffè di notte” che si accendono pian piano, le stelle meravigliose della “Notte stellata” che prendono vita, i rami di mandorlo in fiore che scorrono tutti intorno allo spettatore come in un rullo continuo, i corvi che prendono il volo e scappano dopo l’assordante sparo nei campi di grano, segno della parabola finale della vita di Van Gogh.

Musiche, luci e proiezioni, per la durata di un’ora circa, serviranno per suggestionare lo spettatore, che magari digiuno dell’opera di Van Gogh, potrà gradatamente avvicinarsi al suo mondo, così tormentato e a volte infelice, ma dal quale, grazie anche alle citazioni proiettate, potrà scoprire un uomo turbato ma vitale, amante della pittura, innamorato della sua arte e a volte sognatore.

Certo è che il biglietto d’ingresso non è tra i più economici. Forse, una maggiore oscurità della sala e un’atmosfera più raccolta nel complesso, avrebbe reso il tutto ancora più suggestivo.

Van Gogh Alive. The experience, Milano Fino al 9 Marzo, presso la Fabbrica del Vapore via Procaccini Orari: lunedì, martedì, mercoledì, venerdì e domenica dalle 10:00 alle 20:00; giovedì e sabato dalle 10:00 alle 23:00 Costo del biglietto: intero € 12, ridotto € 10, scuole € 6

 

 

105 DISEGNI DI GRANDI ARTISTI PER IL MUSEO DIOCESANO

Una nuova collezione arricchirà il già nutrito percorso artistico del Museo Diocesano di Milano. Da venerdì 24 gennaio sarà infatti possibile ammirare un nuovo lascito, esposto insieme alla collezioni vescovili e della diocesi, donato al Museo dal grande collezionista e uomo d’affari Antonio Sozzani. Centocinque disegni, perlopiù inediti, saranno esposti in maniera permanente dopo un lungo restauro che ha visto protagonisti non solo queste preziose e delicate opere, ma anche le loro cornici originali.

Sozzani, uomo di spicco della finanza milanese e grande collezionista di arte dell’Ottocento francese, su consiglio di Giovanni Testori, amico e consigliere, inizia a comprare e collezionare disegni su carta di molti significativi maestri, italiani e non, mettendo insieme una ricca collezione di cui Testori stesso assunse la guida scientifica.

Forse fu su consiglio di un altro amico, quell’Alberto Crespi già donatore dell’omonima collezione Crespi di fondi oro italiani, depositata presso lo stesso Diocesano, che Sozzani decise di donare anche i suoi disegni al Museo. Con delle clausole ben precise: i disegni dovevano essere esposti tutti e tutti insieme, con le loro cornici, e mai conservati o esposti diversamente.

La raccolta Sozzani è costituita da disegni databili dal XV al XX secolo, eseguiti da artisti principalmente italiani e stranieri, soprattutto francesi, offrendo una ricca varietà di fogli riconducibili a ‘scuole’ diverse, per epoca e geografia. Tra questi, per la sezione antica, spiccano i nomi di Matteo Rosselli, Luca Cambiaso, Bartolomeo Passarotti, Ludovico Carracci, Guercino, Elisabetta Sirani, Gian Lorenzo Bernini, Carlo Francesco Nuvolone, Francisco Goya, e altri ancora.

Cospicuo è anche il nucleo di disegni attribuiti a maestri dell’Ottocento francese e dell’Impressionismo, come Jacques Louis David, Jean-Auguste-Dominique Ingres, Camille Corot, Eugène Delacroix, Théodore Gericault, Gustave Courbet, Édouard Manet, Auguste Rodin, Edgar Degas, Pierre-Auguste Renoir, Camille Pisarro, Paul Gauguin, Vincent van Gogh.

Per il Novecento sono presenti alcuni lavori di autori quali Lucio Fontana, Jaques Lipchitz, Marcello Dudovich, Jean Cocteau, Balthus, Toti Scialoja, Graham Sutherland.

L’apertura di questa nuova sezione sarà accompagnata da un catalogo scientifico, a cura di Paolo Biscottini e Giulio Bora, che propone, oltre ai saggi introduttivi sulla storia e sullo studio scientifico della collezione Sozzani, la pubblicazione integrale dei disegni, quasi tutti inediti, corredata da una documentazione fotografica e da schede scientifiche.

La collezione Antonio Sozzani – Museo Diocesano di Milano (Milano, c.so Porta Ticinese 95) Dal 24 gennaio 2014 Orari di apertura: martedì – domenica, 10.00-18.00 (la biglietteria chiude alle ore 17.30) Ingresso: intero: € 8.00, Ridotto: € 5.00, martedì 4 euro

 

 

KANDINSKY E LA NASCITA DELLA PITTURA ASTRATTA

Che cos’è l’astrattismo? Che significato hanno cerchi, linee, macchie di colori a prima vista casuali ma di gran impatto visivo? C’è qualcosa oltre la superficie del quadro? Per rispondere a questi leciti interrogativi arriva a Milano una grande retrospettiva dedicata a uno degli artisti più significativi del secolo scorso: Vassily Kandinsky.

Sono oltre 80 le opere in mostra, tutte provenienti dal Centre Pompidou di Parigi e tutte firmate dal padre dell’astrattismo. Una esposizione che offre una panoramica completa dell’evoluzione dell’artista, partito da una figurazione semplice e legata alla tradizione, ma che è arrivato a concepire alcune delle teorie artistiche più interessanti del ‘900. Un percorso di ricerca lungo e fatto di molte sperimentazioni, che caratterizza l’arte di Kandinsky come qualcosa di complesso ed estremamente affascinante.

L’apertura è di grande impatto, con la ricostruzione, per la prima volta portata fuori dalla Francia, dell'”ambiente artistico totale” ricreato nel 1977 dal restauratore Jean Vidal, ovvero pitture parietali eseguite riportando fedelmente i cinque guazzi originali con cui Kandinsky decorò il salone ottagonale della Juryfreie Kunstausstellung di Berlino, esposte tra il 1911 e il 1930.

Il percorso prosegue poi in ordine cronologico, esaminando le tante fasi vissute da Kandinsky. Già dalle prime opere l’artista russo dimostra una passione per il colore, le atmosfere di gusto impressionista e fauve con un’attenzione ai temi leggendari e legati al passato, come ad esempio i cavalieri, soggetti che si trova ad affrontare all’inizio del ‘900. Abbandonata la Russia, Monaco sembra offrire una vita migliore a Kandinsky, che frequenta l’Accademia di Belle Arti e si lega ad artisti che sperimentano con lui un tipo di arte ancora di gusto Art Nouveau: è il momento del gruppo Phalanx.

Dopo viaggi che lo conducono in giro per il mondo insieme alla nuova compagna, la pittrice Gabriele Munter, Kandinsky si trasferisce a Murnau, in Baviera, ed è lì che, passo dopo passo, nascerà l’astrattismo. Gradatamente i disegni si fanno piatti, il colore prende piede e nel 1910 vedrà la luce il primo acquerello astratto, dipinto con i colori primari che hanno, agli occhi dell’artista, una valenza e un significato unico e fondamentale.

Nel 1912, in compagnia dell’amico Franz Marc, nascerà il celebre Blaue Reiter, quel Cavaliere Azzurro protagonista degli esordi di Kandinsky e che diverrà anche un fortunato almanacco artistico. Seguirà a breve Lo spirituale nell’arte, trascrizione del pensiero e della dottrina di Kandinsky sull’arte astratta.

Con lo scoppio della guerra Kandinsky è costretto a tornare in Russia, momento in cui tornerà a una fugace figurazione e in cui conoscerà la futura moglie Nina. Nel 1922 accetta il prestigioso invito del Bauhaus di Gropius e si trasferisce a Dessau come insegnante. Dopo la chiusura nazista di questa prestigiosa scuola, Kandinsky decide di recarsi a Parigi, sua ultima meta e città allora pervasa dalle grandi novità del cubismo e del surrealismo, corrente quest’ultima, che influenzerà fortemente gli ultimi lavori dell’artista.

Figure biomorfe sembrano galleggiare leggere e impalpabili su cieli blu, diagonali di colore, griglie e colori pastello. Il cielo e la luce tanto amata della ville lumiere lasceranno un’ultima suggestione nelle grandi composizioni così come nei piccoli dipinti su cartone che Kandinsky creò durante la Guerra.

In mostra sono presenti alcune delle opere più significative dell’artista, quelle che tenne per sé costantemente appese in casa o che donò all’amata moglie Nina, e che danno quindi il resoconto esatto di un’arte che si è rivelata fondamentale anche per i pittori moderni. Molto dovettero a Kandinsky Pollock e i suoi “irascibili”, così come, l’arte astratta e l’Informale ebbero un debito enorme nei confronti di quest’uomo che ebbe il coraggio di dire che le forme e i colori sono fondamentali, spirituali, e che la pittura deve trasmettere l’essenza più profonda di chi la crea e di chi la guarda.

Kandinsky: la collezione del Centre Pompidou fino al 4 maggio 2014 Orari: lunedì:14.30 – 19.30 dal martedì alla domenica: 9.30 – 19.30 giovedì e sabato: 9.30 – 22.30 Biglietti: intero 11,5, ridotto 9,5

 

 

LA GENESI DELL’OPERA DI PELLIZZA DA VOLPEDO

Il Quarto Stato, opera che inizia simbolicamente il percorso del Museo del 900, viene ora studiato e indagato nella sua genesi lunghissima, dieci anni, che ha portato al suo compimento definitivo. A cura di Aurora Scotti, la mostra presenta circa trenta opere tra disegni e dipinti di Pellizza da Volpedo allestiti nello spazio mostre al piano terra del museo e una radiografia a grandezza naturale dell’opera.

Così come fu per l’acquisto dell’opera – nel 1920 tramite una pubblica sottoscrizione – il Museo chiederà ai cittadini e ai visitatori di esprimere il loro parere in merito a un eventuale spostamento del capolavoro di Pellizza, trasformando così l’atrio in sala museale.

L’artista, partendo da una formazione filosofico – storica, sente la necessità di trattare temi allora attuali come le problematiche sociali e politiche dell’Italia unita, in particolare quelle dello sciopero e della protesta popolare, temi che affronta in disegni e bozzetti ad olio realizzati dal 1890, assecondando la convinzione che la pittura di storia doveva trattare temi di assoluta contemporaneità.

Il lungo iter progettuale dell’opera è segnato da due tappe fondamentali: Ambasciatori della fame (1892) e Fiumana (1895-96). Una lunga elaborazione che rese l’artista consapevole della propria missione intellettuale. A ogni fase corrisponde infatti una peculiare sperimentazione compositiva e tecnica, il cui sviluppo può essere seguito lungo le tre sezioni della mostra, dove sono esposti i bozzetti, i disegni preparatori e alcune analisi radiografiche.

La prima versione dell’opera è Ambasciatori della fame, e già da questa versione Pellizza sceglie il luogo e il tempo dell’azione: la piazza davanti a palazzo Malaspina, a Volpedo, simbolo del potere signorile di antica data. Nella luce di un mattino primaverile – il 25 aprile – sull’imbocco di Via del Torraglio, Pellizza fece avanzare un gruppo di lavoratori guidati da due portavoce dal piglio deciso in primo piano e affiancati da un ragazzo più giovane.

Nel corso del 1893-94 decise di riproporre il tema in un nuovo quadro di più grandi dimensioni, cercando di mettere meglio a fuoco il gruppo centrale dei personaggi. Abbandonata la tecnica a larghe pennellate, adotta una tecnica divisionista a piccoli punti e linee di colori disposti in modo puro sulla tela, per raggiungere effetti di luminosità ed espressività. Nel nuovo bozzetto, eseguito nel 1895, Pellizza eliminò il punto di vista dall’alto per una presa diretta frontale dei suoi protagonisti: numerose figure di artigiani e contadini che avanzano guidati dai due capi della rivolta affiancati ora da una donna con un bimbo in braccio, ritratto di Teresa, moglie dell’artista.

Di lì a poco vedrà la luce Fiumana, il cui titolo è allusivo all’ingrossarsi della schiera dei lavoratori, paragonabile ad un fiume in piena, puntando sulla diffusione del messaggio idealmente rivolto a tutti i lavoratori e sull’adesione di massa ad esso.

Nel 1898 Pellizza decise di riaffrontare il tema su una tela ancora più grande, ricominciando a eseguire disegni per tutte le figure e facendo nel 1899 un nuovo bozzetto dalle cromie calde e intense a cui diede per titolo Il cammino dei lavoratori. Ancora una volta alla rielaborazione pittorica il pittore accompagnò letture sempre più attente alle problematiche sociali. Il risultato fu un nuovo cambio d’impostazione, sostituendo alla massa indistinta di lavoratori una sequenza di uomini e qualche donna disposti su più file a occupare tutta la scena.

A questa tela Pellizza lavorò incessantemente dal 1898 al 1901, quando scelse di intitolarla Il Quarto stato. La tela è divenuta dunque il simbolo della fiducia che il cammino di lavoratori avrebbe portato ad un futuro migliore, anticipando e incarnando una delle forze motrici del Ventesimo secolo. Una mostra per ripercorrere gli studi, i disegni e i tentativi che hanno preceduto l’opera, divenuta un simbolo universale e che ora diventerà uno dei simboli di Expo 2015.

Giuseppe Pellizza da Volpedo e il Quarto Stato. Dieci anni di ricerca appassionata Museo del ‘900 Spazio mostre fino al 9 marzo 2014 Costo: intero € 5, ridotto € 3 Orari: lun. 14.30 – 19.30 mar. mer. ven. e dom. 9.30 – 19.30 gio. e sab. 9.30 – 22.30

 

 

LA LENTA RINASCITA DEL MAGA DI GALLARATE

A dieci mesi dal terribile incendio che devastò il museo, il MAGA di Gallarate riapre i battenti. Sabato scorso, alla presenza delle autorità cittadine e di un grandissimo pubblico, si è svolta l’inaugurazione, che ha svelato una parte del museo restaurata e rinnovata, pronta a ospitare una mostra tutta particolare: “With a little help from my friends. Artisti per il Maga“. 180 artisti italiani, tra cui anche qualche grande nome di risonanza internazionale, hanno voluto donare un’opera destinata a essere esposta temporaneamente al museo per poi essere venduta, e i cui proventi serviranno a finanziare parte dei futuri lavori di restauro del museo.

Il progetto è sicuramente molto sentito, come dimostrano le tante decine di visitatori presenti all’inaugurazione, così come sentito da parte degli artisti è stato il bisogno e la necessità di smuovere qualcosa per ricreare “in fretta” un museo sul territorio, rovinato e distrutto da quel terribile incendio del febbraio scorso, le cui cause, ancora oggi, sono avvolte nel mistero.

Se il piano terra è stato in parte restaurato e reso pronto per l’utilizzo, la struttura nel suo complesso ancora necessiterà di tempo, soldi e attenzioni. Molto è già stato fatto con i contributi della Regione Lombardia (150mila euro) e della Fondazione Cariplo (250mila euro). Senza dimenticare la Triennale di Milano e la Villa Reale di Monza, che hanno messo in mostra la collezione permanente del museo, dando un senso di continuità e speranza alle opere d’arte che con tanta fatica sono state strappate alle fiamme.

«L’idea è quella di organizzare una mostra che permetta di riaprire il MAGA con un evento informale e discorsivo capace di far percepire il museo come un luogo davvero aperto alla collaborazione della comunità da cui è nato” – spiega Giovanni Orsini presidente del Premio Gallarate – “Le opere in mostra saranno cedute a fronte di un contributo anche modesto, i contribuiti raccolti dal Premio Gallarate avranno l’obiettivo di costituire un fondo per permettere lo sviluppo delle attività del MAGA nel 2014, e di rispondere alle necessità di recupero dello stabile. With A Little Help from My Friends è dunque il segnale di come il Premio Gallarate, come accade dal 1949, sostenga con forza la presenza di un museo cittadino dedicato alla contemporaneità e che questo museo, il MAGA, sia supportato e accolto da un’ampia comunità di artisti, curatori, ma anche appassionati di arte e cultura, in primis da Gallarate e dalla nostra regione».

Sino al 22 dicembre il MAGA ritorna a essere spazio di incontro e condivisione, con una mostra che permette non solo di acquistare arte, ma anche e soprattutto, di farlo per un’ottima e validissima causa.

MAGA – Fondazione Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea ‘Silvio Zanella’ – via De Magri, 1, Gallarate Orari: martedì – mercoledì – venerdì 11.00 – 18.30 giovedì 11.00 – 21.00 sabato – domenica 11.00 – 19.30 Chiuso il lunedì INGRESSO GRATUITO

 

 

PERCHÈ IL MUSEO DEL DUOMO È UN GRANDE MUSEO

Inaugurato nel 1953 e chiuso per restauri nel 2005, lunedì 4 novembre, festa di San Carlo, ha riaperto le sue porte e le sue collezioni il Grande Museo del Duomo. Ospitato negli spazi di Palazzo Reale, proprio sotto il primo porticato, il Museo del Duomo si presenta con numeri e cifre di tutto rispetto. Duemila metri quadri di spazi espostivi, ventisette sale e tredici aree tematiche per mostrare al pubblico una storia fatta d’arte, di fede e di persone, dal quattordicesimo secolo a oggi.

Perché riaprire proprio ora? Nel 2015 Milano ospiterà l’Expo, diventando punto di attrazione mondiale per il futuro, così come, in passato, Milano è stata anche legata a doppio filo a quell’editto di Costantino che quest’anno celebra il suo 1700esimo anniversario, con celebrazioni e convegni. Non a caso la Veneranda Fabbrica ha scelto di inserirsi in questa felice congiuntura temporale, significativa per la città, dopo otto anni di restauri e un investimento da 12 milioni di euro.

Il Museo è un piccolo gioiello, per la qualità delle opere esposte così come per la scelta espositiva. L’architetto Guido Canalico lo ha concepito come polo aperto verso quella varietà di generi e linguaggi in cui è riassunta la vera anima del Duomo: oltre duecento sculture, più di settecento modelli in gesso, pitture, vetrate, oreficerie, arazzi e modelli architettonici che spaziano dal XV secolo alla contemporaneità.

E l’allestimento colpisce e coinvolge già dalle prime sale. Ci si trova circondati, spiati e osservati da statue di santi e cherubini, da apostoli, da monumentali gargoyles – doccioni, tutti appesi a diversi livelli attraverso un sistema di sostegni metallici e di attaccaglie a vista, di mensole e supporti metallici che fanno sentire l’osservatore piccolo ma allo stesso tempo prossimo all’opera, permettendo una visione altrimenti impossibile di ciò che è stato sul “tetto” del Duomo per tanti secoli.

Si è poi conquistati dalla bellezza di opere come il Crocifisso di Ariberto e il calice in avorio di san Carlo; si possono vedere a pochi centimetri di distanze le meravigliose guglie in marmo di Candoglia, e una sala altamente scenografica espone le vetrate del ‘400 e ‘500, alcune su disegno dell’Arcimboldo, sopraffini esempi di grazia e potenza espressiva su vetro.

C’è anche il Cerano con uno dei “Quadroni” dedicati a San Carlo, compagno di quelli più famosi esposti in Duomo; c’è un Tintoretto ritrovato in fortunate circostanze, durante la Seconda Guerra mondiale, nella sagrestia del Duomo. Attraverso un percorso obbligato fatto di nicchie, aperture improvvise e sculture che sembrano indicare la via, passando per aperture ad arco su pareti in mattoni a vista, si potrà gustare il Paliotto di San Carlo, pregevole paramento liturgico del 1610; gli Arazzi Gongaza di manifattura fiamminga; la galleria di Camposanto, con bozzetti e sculture in terracotta; per arrivare fino alla struttura portante della Madonnina, che più che un congegno in ferro del 1700, sembra un’opera d’arte contemporanea. E al contemporaneo si arriva davvero in chiusura, con le porte bronzee di Lucio Fontana e del Minguzzi, di cui sono esposte fusioni e prove in bronzo di grande impatto emotivo.

Il Duomo è da sempre il cuore della città. Questo rinnovato, ampliato, ricchissimo museo non potrà che andare a raccontare ancora meglio una storia cittadina e di arte che ebbe inizio nel 1386 con la posa della prima pietra sotto la famiglia Visconti, e che continua ancora oggi in quel gran cantiere, sempre bisognoso di restauro, che è il Duomo stesso.

Museo del Duomo Palazzo Reale – piazza Duomo, 12 Biglietti: Intero 6 euro, ridotto 4 euro Orari: Martedì-Domenica: 10.00 -18.00.

 

 

AUTUNNO AMERICANO PARTE 2: ANDY WARHOL

Dopo la grande mostra in Triennale del 2004, e una monografica di stampe al Museo del Novecento questa primavera, Andy Warhol torna a Milano con una super esposizione: le opere della collezione di Peter Brant. La mostra si presenta subito come una grande retrospettiva del lavoro dell’artista originario di Pittsburgh, comprendente alcune delle sue opere più famose e conosciute a livello mondiale, per un totale di oltre 150 opere d’arte, tra dipinti, serigrafie, sculture e fotografie.

La mostra, curata da Francesco Bonami e dallo stesso Peter Brant, sarà un’occasione interessante per approfondire la figura, a torto ritenuta spesso solo superficiale e frivola, di Andy Warhol, artista invece ben più complesso e tormentato. Peter Brant, magnate americano, fu intimo amico di Warhol, e ad appena vent’anni iniziò a comprare i lavori dell’artista, partendo proprio dalla famosa lattina di zuppa Campbell riprodotta da Warhol.

Sarà un legame lungo tutto una vita quello che accompagnerà l’avventura di Brant e Warhol, che vissero e segnarono insieme i pazzi anni ’60 e ’70 della scena newyorchese. Un sodalizio di vita e lavoro il loro, che sfocerà nella collaborazione tramite la rivista “Interview”, fondata dallo stesso Warhol nel 1969 e acquistata da Brant e dalla sua casa editrice dopo la morte dell’amico, avvenuta nel 1987 in seguito ad un’operazione chirurgica finita male.

La mostra presenta capolavori assoluti, che caratterizzano la collezione Brant come una delle più importanti e significative a livello internazionale rispetto alla produzione warholiana. Attraverso un percorso cronologico si potrà ricostruire a tutto tondo la figura di Warhol, partendo dai suoi inizi come grafico e pubblicitario, famoso già all’epoca per rivoluzionari e particolarissimi disegni di calzature femminili e per il suo atteggiamento irriverente.

La pubblicità però era solo l’inizio. Warhol voleva far parte dell’elite artistica, ecco perché si rivolse sempre più all’arte e al mondo pop, ovvero a quel substrato culturale che coinvolgeva tutti gli americani, dal Presidente all’uomo comune. Il suo universo si popola di lattine di zuppa, di Coca-Cola, di scatole di detersivo Brillo; dalle sue tele si affacciano Liz, Marilyn, Elvis, Jackie e tanti altri divi osannati dall’America, e che però ebbero anche, quasi Warhol fosse stato un profeta, fini tragiche o destini infelici. Come a dire, l’apparenza, nonostante i colori e i sorrisi smaglianti, inganna.

Una presa di coscienza di quello che l’americano medio aveva sotto gli occhi tutti i giorni, visto al supermercato o sui giornali, e che Warhol ripropose ingrandito, ripetuto fino allo sfinimento, disarticolato, sovrapposto e modulato, ma senza mai criticare. Anzi. La pop art di Warhol è lontanissima dal voler lanciare invettive contro il consumo smodato o il capitalismo. Warhol stesso ci era cresciuto, e la cosa più naturale per lui era proprio partire da quello che conosceva meglio e che poteva riguardare tutti. Senza messaggi nascosti o significati troppo profondi.

Oltre ai famosi Flowers multicolor e ai ritratti di Mao, paradossale vera icona pop, la mostra propone anche le rielaborazioni che Warhol fece di un grande classico come l’Ultima Cena di Leonardo; così come stupiranno una serie di Portraits, di autoritratti che l’artista si fece grazie alle polaroid che amava tanto, e che usava per riprendere anche i suoi amici Mick Jagger, Diana Ross e Jane Fonda. Tutti presenti in mostra.

Emerge così un Warhol non solo mondano e padrone del suo palcoscenico, la celeberrima Factory, in cui numerosi assistenti producevano effettivamente le sue opere, ma anche un Warhol più introverso, spaventato forse da quella celebrità raggiunta e cercata, ma che era diventata perfino pericolosa. Fu infatti vittima di un tentato omicidio, per mano di una femminista, e dal quale si salvò per miracolo nel 1968.

Vittima di un diverso colpo di arma da fuoco fu invece una delle opere più famose di Warhol, una Marilyn blu che venne colpita da un proiettile in piena fronte, sparato senza motivo da un’amica dell’artista nel 1964. Da quella data l’opera venne chiamata, per l’appunto, Blue Shoot Marilyn. Ennesimo esempio del circo che circondava l’artista e che lui osservava quasi in disparte, dietro i suoi occhiali da sole e al riparo di una parrucca argentata.

WARHOL, DALLA COLLEZIONE PETER BRANT Palazzo Reale fino al 9 marzo 2014 Orari: Lunedì: 14.30–19.30 Dal martedì alla domenica: 9.30-19.30 Giovedì e sabato: 9.30-22.30 Prezzi: Intero 11 euro, ridotto 9,50 euro.

 

LEONARDO E LE MACCHINE RICOSTRUITE

Come faceva Leonardo Da Vinci a progettare le sue macchine volanti? Potevano davvero volare? Che cos’era il famoso Leone Meccanico? Perché non venne mai portato a termine il colossale monumento equestre di Francesco Sforza? Queste sono solo alcune delle domande che potranno avere risposta grazie all’innovativa – e unica nel suo genere – mostra che si è appena aperta in una location d’eccezione: gli Appartamenti del Re nella Galleria Vittorio Emanuele.

Tutto nasce dall’idea di tre studiosi ed esperti, Mario Taddei, Edoardo Zanon e Massimilano Lisa, che hanno saputo mettere insieme e creare un centro studi e ricerca dedicato a Leonardo, alle sue invenzioni e alla sua attività, con risultati sorprendenti sia sul fronte delle esposizioni, sia su quello della divulgazione.

Leonardo3 (L3) è parte di un progetto più ampio, di un innovativo centro di ricerca la cui missione è quella di studiare, interpretare e rendere fruibili al grande pubblico i beni culturali, impiegando metodologie e tecnologie all’avanguardia. Sia i laboratori di ricerca sia tutte le produzioni L3 (modelli fisici e tridimensionali, libri, supporti multimediali, documentari, mostre e musei) sono dedicati all’opera di Leonardo da Vinci. E i risultati sono stati straordinari: L3 ha realizzato il primo prototipo funzionante al mondo dell’Automobile di Leonardo, hanno ricostruito il Grande Nibbio e la Clavi-Viola, il primo modello fisico della Bombarda Multipla, il primo vero modello del Pipistrello Meccanico, il Leone Meccanico e il Cavaliere Robot, oltre a interpretazioni virtuali e fisiche inedite di innumerevoli altre macchine del genio vinciano.

Non solo macchine però. Fondamentali per la riscoperta e la creazione dei prototipi sono stati i tanti codici leonardeschi, tra cui il famoso Codice Atlantico interamente digitalizzato, così come il Codice del Volo, presentato in Alta Definizione, in cui ogni singolo elemento è interattivo. E queste tecnologie diventeranno, in futuro, sempre più utili per studiare manoscritti antichi e fragilissimi, come i diversi Codici e taccuini, già molto rovinati dall’usura e dal passare dei secoli.

Una mostra che divertirà grandi e bambini, che potranno toccare con mano le macchine e i modellini ricostruiti, testarsi sui touch screen per comporre, sezionare o vedere nel dettaglio, tramite le ricostruzioni 3D, i vari pezzi delle macchine di Leonardo, far suonare la Clavi-Viola e costruire, davvero, un mini ponte autoportante.

Una delle ultime sezioni è poi dedicata ai dipinti di Leonardo, su tutti la famosa Ultima Cena. Una ricostruzione digitale e una prospettica permettono di ricostruirne strutture e ambienti, di capirne perché Leonardo “sbagliò” di proposito la prospettiva e di approfondire alcuni dettagli. I modelli sono stati costruiti rispettando rigidamente il progetto originale di Leonardo contenuto nei manoscritti composti da migliaia di pagine, appunti e disegni. Il visitatore avrà anche la possibilità di leggere i testi di Leonardo “invertendo” la sua tipica modalità di scrittura inversa (da destra a sinistra).

L3 si è già fatto conoscere nel mondo, le mostre sono state visitate da centinaia di migliaia di persone in città e Paesi come Torino, Livorno, Vigevano, Tokyo, Chicago, New York, Philadelphia, Qatar, Arabia Saudita e Brasile. Occasione imperdibile.

Leonardo3 – Il Mondo di
Leonardo – piazza della Scala, ingresso Galleria Vittorio Emanuele II, orari: tutti i giorni dalle ore 10:00 alle ore 23:00, biglietti: € 12 intero, € 11 studenti e riduzioni, € 10 gruppi, € 9 bambini e ragazzi, € 6 gruppi scolastici.

 

 

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

rubriche@arcipelagomilano.org

 


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