19 febbraio 2014

PD REGIONALE E LA VITTORIA MUTILATA


Lo scrutinio per l’elezione del segretario del Pd lombardo conferma l’indifferenza con cui l’elettorato di centro sinistra lombardo, la potenziale platea di queste primarie aperte, ha accolto la disfida. I votanti sono stati 24.000 che corrispondono al 65% degli iscritti al PD, come dire che più che primarie aperte è stato un congresso tradizionale con voto diretto. I candidati, nelle liste di supporto ai due aspiranti segretari erano circa 600 quindi ogni candidato poteva contare sul supporto di circa 40 elettori.

06marossi07FBAlfieri vince con il 57% dei voti ma era appoggiato (per la verità con scarso attivismo) dal 95% dei parlamentari, segretari, capi e sottocapi; si potrebbe quindi definirla una vittoria mutilata. A Mantova vince per 35 voti di differenza; a Cremona per 33; a Brescia dove con più di 6.000 tesserati hanno votato in 3.000, una trentina per seggio meno del 10% delle primarie nazionali, Alfieri vince 55 a 45 ma perde in città. Così come perde in tutti i collegi di città a Milano e nella città di Monza.

La sfidante De Marchi accreditata di pochi punti percentuali e solo parzialmente sostenuta da Civati porta invece negli organismi un numero significativo di sostenitori. Il suo successo, di là dalle indubbie qualità personali della candidata, evidenzia un voto di protesta e che gli equilibri interni del Pd lombardo e milanese sono ancora tutti da stabilire.

Le ragioni della scarsa partecipazione, comune a tutte le regioni italiane, sono abbastanza ovvie: le primarie aperte servono a indicare il candidato alle elezioni vere ovvero un leader interno che sarà candidato alle elezioni, non servono a eleggere un generico coordinatore di campagne di comunicazione e mediatore di correnti, qual è oggi il segretario regionale o provinciale. Ergo al voto partecipa quello che una volta si chiamava il quadro attivo dei militanti ma come chiosa il responsabile dell’organizzazione (un entusiasta) “il regionale è un livello intermedio che viene vissuto pochissimo dai militanti”.

Non si può dunque imputare a nessuno la scarsa partecipazione, semplicemente in un partito d’opinione, qual è il Pd, i militanti sono in via di estinzione così come gli iscritti. La partecipazione impegnandosi al massimo avrebbe potuto essere di qualche migliaio di elettori in più, lontani i tempi di Martina che ottenne 200.000 voti semplicemente perché si votava con il nazionale.

Il successo inferiore alle aspettative di Alfieri, vissuto suo malgrado come uomo della continuità, non è dovuto al personaggio: né lui né la sua competitor si candidavano alla presidenza della regione fin da oggi attribuita all’ennesimo papa straniero ed entrambi risultano sconosciuti ai più, quanto piuttosto alla logica renziana della rottamazione e del cambiamento che colpisce chiunque abbia un’anzianità politica superiore al semestre e all’insoddisfazione della militanza Pd verso una leadership interna ritenuta “moscia” e subordinata agli alleati di turno. Parafrasando il vecchio Pietro “c’è sempre un nuovo più nuovo che ti vuol rinnovare”. Chi sperava dopo l’esperienza delle ultime elezioni con Ambrosoli, vissuta come un’occasione mancata per masochismo, uno scatto di orgoglio, un rilancio, un contropiede dovrà attendere altre occasioni.

Si potrebbe chiudere qui il commento, non ci fosse stata la dichiarazione del neo eletto: “Abbiamo svoltato, ma questo non è stato spiegato ai nostri iscritti. Non abbiamo avuto il tempo di discuterne. Questo è stato un errore. Un grave errore di metodo.” Insomma la colpa è in parte di Renzi. Ora, fatto salvo che nei partiti esiste da sempre il delitto di lesa maestà del segretario e quindi nel breve periodo la vedo male per Alfieri, la questione non è di poco conto, anzi è centrale pensando al 2018.

Ancora una volta dopo le primarie nazionali, quelle regionali e quelle di Boeri/Pisapia il corpo del partito in particolare nelle città e in particolare a Milano chiede una maggiore radicalità politica. Tuttavia quando si va al voto regionale questa radicalità non viene premiata (vedasi i risultati di Sel, di Etico, di Di Pietro etc.) anche se lo è stata nel caso di Pisapia e in molti altri comuni dove però si utilizza un sistema elettorale a doppio turno.

Il problema per Alfieri e i suoi non è di facile soluzione. Puntare sul renzismo puro cercando di trascinare verso il Pd parte dell’elettorato centrista a rischio di scontentare e demotivare parte della propria base e del proprio zoccolo duro o assumere posizioni più radicali recuperando a sinistra e dal Movimento 5 stelle ma rinunciando a spaccare i moderati? Seguire il vecchio Renoult (9 volte ministro e parlamentare per circa 30 anni) e affermare «pas d’ennemis à gauche» o giocarsela tutta al centro? La legge regionale a turno secco non consente ripensamenti e rivincite: non c’è un secondo turno. L’unica soluzione, com’è ovvio nei sistemi presidenziali, è cercare un candidato capace di rassicurare da una parte ed entusiasmare dall’altra, di portare liste e voti propri e se non c’è costruirlo (metodo D’Alfonso per intenderci). Mica facile.

Per farlo ha bisogno di un partito unito e su questo Alfieri, apparentemente un timido ma come diceva mia madre “l’acqua cheta erode i ponti”, ha le idee chiare: porta aperta agli ex bersanian / penatian /cuperlian / Ds per i quali pragmaticamente chiede il mantenimento dei ruoli di potere (Martina all’Expo) porta sbattuta in faccia verso i movimentisti e i radicali: di “Civati” afferma “Deve decidere da che parte stare, non abbiamo bisogno di persone che remino contro” un simpatico invito a levarsi dai piedi. Vedo in arrivo mesi di dibattito vivace.

Peraltro per Alfieri come per Renzi il primo esame è in arrivo: elezioni amministrative ed europee. Auguri.

Walter Marossi



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