19 febbraio 2014

cinema – HANNAH ARENDT


 

HANNAH ARENDT

di Margarethe von Trotta [Germania 2012, 113′]

con Barbara Sukowa, Axel Milberg, Janet Mc Teer

 

All’inizio, in un’immagine dai toni caldi, appare lo skyline notturno di New York e poi l’interno di un appartamento quasi in penombra, dove Hannah Arendt, interpretata da una sensibilissima Barbara Sukowa, si aggira fumando, sola e pensierosa. Questa atmosfera di concentrazione è la nota su cui si accorda tutto il film, che chiede di essere visto, e soprattutto ascoltato, con attenzione.

cinema07FBSiamo nel 1961, vent’anni prima Arendt, ebrea di origini tedesche, era riuscita a scappare dal campo di internamento di Gurs, nel sud della Francia, e a emigrare negli Stati Uniti assieme al marito, il filosofo Heinrich Blücher. Ora è una cittadina americana e ha una vita piena e laboriosa. Insegna con passione nelle più prestigiose università del paese, coltiva profonde amicizie e il rapporto col marito, che pure la tradisce apertamente, è di grande affetto, complicità e vivace scambio di idee. Ha già scritto due libri fondamentali del pensiero politico del ‘900: “Le origini del totalitarismo” e “La condizione umana“.

È allora che viene a sapere del processo che si terrà a Gerusalemme ad Adolf Eichmann, l’organizzatore della deportazione degli ebrei nei campi di concentramento, e si rende conto che non può perdere questa occasione. Riesce a partire per Israele come inviata della già famosa rivista “New Yorker” e comincia ad assistere alle udienze, che Margarethe von Trotta sceglie di mostrare attraverso le registrazioni originali (già utilizzate dal regista israeliano Eyal Sivan nel documentario “Uno specialista – ritratto di un criminale moderno“).

Eichmann la sorprende. Non si rivela un genio del male né un pazzo, ma un uomo mediocre, un funzionario che ha sempre e soltanto obbedito agli ordini, senza letteralmente pensare alle conseguenze delle sue azioni. Ed è questa incapacità di pensare, l’interruzione dell’intimo colloquio con se stessi grazie al quale si costruiscono le proprie convinzioni, la propria morale, che ha condotto, secondo la filosofa, a tanto male.

Quando, nel 1963, cominciano a essere pubblicate le sue riflessioni, le reazioni sono molto violente. Viene tacciata di arroganza, di voler giustificare i crimini del nazismo, di tradimento del suo popolo. Cercano di allontanarla dall’università e molti amici cari le voltano le spalle. Restano dalla sua parte il marito, alcune amiche, tra cui la scrittrice Mary McCarthy, e gli studenti che continuano ad affollare i suoi corsi.

Hannah Arendt” è un film ben calibrato, profondo e perturbante, che lascia risuonare parole importanti senza essere magniloquente. Il ritratto di una donna coraggiosa, appassionata, intransigente, che ha messo al centro della sua vita la volontà di capire, costi quel che costi. Barbara Sukowa è sempre credibile, autentica, anche in virtù del fatto di essere così diversa, di aspetto, dalla vera Arendt. L’edizione italiana è in lingua originale coi sottotitoli ed è stata proiettata soltanto in occasione della Giornata della Memoria, il 27 e 28 gennaio. Circolerà però nelle scuole e uscirà in DVD con Feltrinelli insieme al libro che seguì agli articoli sul “New Yorker“: “La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme“.

Kaspar Hauser

 

questa rubrica è a cura di Anonimi Milanesi

rubriche@arcipelagomilano.org



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