12 febbraio 2014

L’ITALIA, L’EUROPA E LA SPERIMENTAZIONE ANIMALE


Il Governo italiano è, tuttora, alle prese con il recepimento della Direttiva europea 2010/63 riguardante il benessere degli animali utilizzati nella ricerca biomedica. Una Direttiva, frutto di un lungo e articolato confronto, a cui avevano partecipato anche i rappresentanti delle organizzazioni animaliste del Continente, tra cui l’italiana Lega Antivivisezione (LAV), che avevano espresso un giudizio favorevole sul testo finale.

10vicario06FBLa pressoché totalità del mondo scientifico italiano aveva da subito manifestato il proprio sostegno al recepimento immediato della Direttiva europea, che introduceva regole certe, severe e comuni per l’utilizzo degli animali nella sperimentazione biomedica, valide in tutti i 28 Paesi dell’Unione. Direttiva che, nel frattempo, è già stata recepita, nella lettera e nello spirito, in 22 Paesi, tra cui Germania, Francia, Gran Bretagna e i Paesi Scandinavi all’avanguardia nella ricerca, mentre mancano all’appello: Italia, Grecia, Malta, Olanda, Polonia e Romania.

In Italia le organizzazioni animaliste, capitanate dall’On. Maria Vittoria Brambilla, già nella precedente legislatura avevano cercato di introdurre vincoli ancor più restrittivi al testo comunitario, ma lo scioglimento anticipato del Parlamento aveva portato a un nulla di fatto. All’inizio del 2013, con il nuovo Parlamento, complice le larghe intese, al Senato arrivò un testo ‘blindato’ presentato dal Ministero della Salute, frutto di un accordo, così fu spiegato ai ricercatori da autorevoli esponenti politici, “tra gli animalisti e Farmindustria”.

Il testo approvato dal Senato, senza sentire il parere del mondo scientifico, tra altre restrizioni, impedisce l’allevamento in Italia di animali da utilizzare nella ricerca biomedica, il loro utilizzo nel campo della ricerca sulle droghe, a partire da quelle sintetiche di nuova generazione dei cui effetti si sa poco e nulla, e gli xenotrapianti, ovvero soprattutto il trapianto di cellule tumorali umane in modelli animali per comprendere le mutazioni che avvengono nei tumori e che sono alla base della sempre più possibile personalizzazione delle cure.

Quel testo è stato successivamente approvato come Legge Delega al Governo anche dalla Camera dei Deputati ed è di fatto tornato al Ministero della Salute per la stesura definitiva del Decreto Legislativo di recepimento. In entrambi i rami del Parlamento, senatori e deputati favorevoli alla ricerca biomedica, tuttavia, avevano fatto approvare un emendamento cautelativo secondo il quale il testo definitivo deve rispettare regole e norme stabilite dalla farmacopea europea e internazionale.

Nel frattempo la mobilitazione del mondo scientifico italiano, a partire da alcune audizioni alla Camera e con interventi pubblici, ha fatto comprendere al Governo che quel testo, qualora venisse recepito alla lettera, non solo è scientificamente sbagliato, ma porterebbe l’Italia a dover fronteggiare un’onerosa procedura di infrazione, dato che regole più restrittive di un singolo stato sono ammesse solo se in vigore prima dell’approvazione della Direttiva, ovvero antecedenti il 2010. Compreso il ‘cul de sac’ in cui si era infilato, il Governo nel testo rinviato al Senato e alla Camera per un parere non vincolante, ha previsto una moratoria fino al 1° Gennaio 2017, che lascerebbe durante questo periodo le regole attuali.

Fin qui gli aspetti procedurali della questione. Lo scontro di merito è se sia giusto, utile e necessario utilizzare gli animali nella ricerca. Secondo gli animalisti non è giusto, spesso però con motivazioni diverse. C’è chi vi si oppone per motivi etici ritenendo che gli animali, tutti gli animali, abbiano gli stessi diritti degli umani. Diritti che andrebbero particolarmente tutelati stante la loro impossibilità di autodifendersi.

Le più importanti organizzazioni animaliste, per sostenere che non sia né giusto, né utile, ricorrono ad argomentazioni apparentemente razionali. La prima è che gli animali non sono uguali all’uomo e di conseguenza una determinata sostanza chimica può avere effetti diversi su organismi differenti. Si tratta di un’argomentazione, peraltro, del tutto condivisa dal mondo della ricerca, che è ben consapevole che gli animali sono dei modelli non completamente sovrapponibili all’uomo, ma rappresentano comunque delle approssimazioni utili e necessarie.

La seconda argomentazione degli animalisti si basa sulla presunta esistenza di metodologie alternative in vitro e in silico, ovvero effettuate in laboratorio su gruppi di cellule, oppure con simulazioni al computer. Entrambe le metodologie sono ampiamente utilizzate nei laboratori di ricerca di tutto il mondo, ma sono considerate complementari e non alternative rispetto ai percorsi della ricerca.

Il buon senso, prima ancora che delle competenze tecniche, ci dice che la distanza tra un modello basato su cellule e l’uomo è anni luce più grande rispetto alla distanza che separa un uomo da un topo. I topi hanno organi simili all’uomo (cervello, cuore, fegato, ecc.) regolati da sistemi complessi comuni come quello cardiocircolatorio, immunitario, nervoso, ormonale e tante altre similitudini come il DNA. Se, come sostengono gli animalisti i topi non sono ritenuti utili a rappresentare l’uomo, come può esserlo una cellula o un gruppo di cellule?

Un contributo autorevole e indipendente al dibattito di merito è stato portato recentemente dall’European Union Reference Laboratory for Alternatives to Animal Testing (EURL ECVAM), il centro europeo di riferimento per la ricerca e la validazione di metodi alternativi alla sperimentazione animale, che volge la sua attività presso l’Institute for Health and Consumer Protection (IHCP) di Ispra dal 1991, quando fu istituito come ECVAM, e viene spesso citato quando si parla di metodi alternativi alla sperimentazione animale.

In estrema sintesi, di seguito il suo parere. “Malgrado i notevoli progressi registrati in quest’area, è corretto affermare che i metodi alternativi non sono in grado di sostituire la sperimentazione animale in tutti i settori implicati. In particolare, per gli effetti (o ‘endpoint’) tossicologici più complessi, i test sugli animali sono tuttora necessari per garantire la sicurezza dei consumatori. Si tratta dei seguenti effetti tossicologici: tossicità a dose ripetuta, ovvero i problemi connessi all’esposizione ripetuta e a lungo termine a una sostanza chimica; sensibilizzazione cutanea, ovvero l’impatto tossicologico associato alle sostanze chimiche intrinsecamente capaci di provocare allergie; carcinogenicità, cioè la capacità delle sostanze di provocare tumori; tossicità sul sistema riproduttivo, ovvero un ampio spettro di effetti negativi che possono aver luogo in differenti fasi del ciclo riproduttivo in conseguenza di una o più esposizioni a una sostanza tossica (compresi effetti sulla fertilità, sul comportamento sessuale, sull’impianto dell’embrione); tossicocinetica, la penetrazione, distribuzione ed eliminazione di una sostanza tossica nel corpo umano. Non è stato ancora possibile sviluppare metodi completamente sostitutivi, quelle che esistono sono strategie di sostituzione parziale intese a ridurre il numero di animali utilizzati”.

Strategie, peraltro, ampiamente utilizzate dai Centri di ricerca biomedica. All’Istituto di Ricerche Farmacologiche ‘Mario Negri’, ad esempio, 40 anni fa si utilizzavano circa 120.000 topi o ratti ogni anno, oggi meno di 15.000, molti dei quali al termine vengono offerti in adozione.

Ma se le metodologie alternative al 1° Gennaio 2017 non saranno ancora a disposizione, la ricerca italiana dovrà allinearsi alle strumentalizzazioni mediatiche dell’On. Brambilla o alle regole definite e accettate dalle Istituzioni internazionali e dalla comunità scientifica mondiale? Su questo Parlamento e Governo tacciono.

 

Sergio Vicario

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti