5 febbraio 2014

arte – VAN GOGH ALIVE


VAN GOGH ALIVE

Appassionati di Van Gogh? In attesa, forse, della retrospettiva dedicata all’artista prevista per l’autunno 2014, si potrà prender confidenza con le opere del grande maestro olandese già da oggi, attraverso una esperienza sensoriale che ha già avuto un incredibile successo di pubblico.

arte05FBVan Gogh Alive è un progetto ambizioso e itinerante. Chiamarlo mostra è sicuramente fuorviante perché di dipinti, disegni, carte o creazioni originali non ce ne sono. Ci sono però grandi megaschermi che proiettano oltre tremila immagini in altissima definizione grazie al sistema Sensory4, e che permettono una visione ravvicinata di dipinti, lettere, disegni, appunti e particolari di opere, in alcuni casi non facilmente godibili con la classica esposizione museale.

Quello che si compone davanti agli occhi del visitatore è un museo impossibile nella realtà, che raggruppa per nuclei tematici le fasi della vita dell’artista, con i suoi viaggi e i suoi periodi: dagli esordi “contadini” di Van Gogh, agli autoritratti, dalla passione per le stampe giapponesi alle lettere scambiate con l’amato fratello Theo, fino naturalmente ai capolavori più noti, amati e soprattutto sofferti durante la creazione stessa.

Alcuni effetti sono di grande impatto: le luci delle finestre della “Terrazza del caffè di notte” che si accendono pian piano, le stelle meravigliose della “Notte stellata” che prendono vita, i rami di mandorlo in fiore che scorrono tutti intorno allo spettatore come in un rullo continuo, i corvi che prendono il volo e scappano dopo l’assordante sparo nei campi di grano, segno della parabola finale della vita di Van Gogh.

Musiche, luci e proiezioni, per la durata di un’ora circa, serviranno per suggestionare lo spettatore, che magari digiuno dell’opera di Van Gogh, potrà gradatamente avvicinarsi al suo mondo, così tormentato e a volte infelice, ma dal quale, grazie anche alle citazioni proiettate, potrà scoprire un uomo turbato ma vitale, amante della pittura, innamorato della sua arte e a volte sognatore.

Certo è che il biglietto d’ingresso non è tra i più economici. Forse, una maggiore oscurità della sala e un’atmosfera più raccolta nel complesso, avrebbe reso il tutto ancora più suggestivo.

Van Gogh Alive. The experience, Milano Fino al 9 Marzo, presso la Fabbrica del Vapore via Procaccini Orari: lunedì, martedì, mercoledì, venerdì e domenica dalle 10:00 alle 20:00; giovedì e sabato dalle 10:00 alle 23:00 Costo del biglietto: intero € 12, ridotto € 10, scuole € 6

 

 

WUNDERKAMMER – LE STANZE DELLE MERAVIGLIE

C’erano una volta le Wunderkammer: stanze delle meraviglie, vanto di sovrani e signori d’Europa in epoca rinascimentale, che non contenti di collezionare opere d’arte tradizionali, misero insieme stupefacenti collezioni di pezzi rari, curiosi ed esotici, naturalia et artificialia, per la gioia degli occhi e lo stupore dei visitatori ammirati.

Oggi le Wunderkammer ritornano, a Milano, grazie a una mostra divisa tra due importanti musei, uno storico e uno recente, a pochi passi di distanza. Le Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo e il Museo Poldi Pezzoli, in collaborazione con la Fondazione Antonio Mazzotta, presentano infatti Wunderkammer. Arte, Natura, Meraviglia ieri e oggi.

L’esposizione racconta i rapporti tra arte, natura e meraviglia, spaziando dall’antico al contemporaneo con un approccio multidisciplinare. Accostando a opere e manufatti cinque – seicenteschi di collezioni italiane opere d’arte contemporanea, la mostra intende stimolare il visitatore a rintracciare analogie, rimandi e corrispondenze tra i significati implicati nel complesso fenomeno delle Wunderkammern, tema già affrontato dalla storica dell’arte Adalgisa Lugli nella Biennale veneziana su arte e scienza del 1986.

In principio fu l’Italia, Paese in cui scienziati, principi e regnanti, seguiti dai loro colleghi austriaci, tedeschi e boemi iniziarono a costituire delle raccolte in cui le scienze, la natura e le creazioni artistiche trovavano un equilibrio di reciproca compenetrazione.

Al Museo Poldi Pezzoli, tempio del collezionismo privato e custode di oggetti da Wunderkammer esso stesso, sono riunite per la prima volta insieme le raccolte enciclopediche dei bolognesi Ulisse Aldrovandi e Ferdinando Cospi e del milanese Manfredo Settala, possessori di alcune tra le raccolte più ricche e curiose del tempo. Veri detentori del “mondo in una stanza”, elementi del mondo minerale, vegetale e animale venivano combinati tra loro o integrati in raffinati capolavori di oreficeria e arti decorative – gli artificialia – o addirittura accostati a oggetti stupefacenti e curiosità esotiche provenienti dal Nuovo Mondo. Pesci palla, denti di narvalo, nautilus, coccodrilli, coralli e teschi sono solo alcuni degli oggetti più apprezzati dal collezionismo dell’epoca.

Se al Poldi Pezzoli prevalgono dunque i pezzi “d’epoca”, alle Gallerie d’Italia ecco invece che alla storia si integra anche, in maniera curiosa, l’arte contemporanea. Le stanze delle meraviglie vennero smantellate e i pezzi dispersi nel corso degli anni, ed è proprio questo fenomeno che vanno a indagare artisti come Emilio Isgrò ed Elisa Sighicelli, che aprono il percorso ad altri grandi, uno su tutti Marchel Duchamp, che affrontarono nelle loro opere la presenza del meraviglioso attraverso l’utilizzo di materiali eterogenei o accostamenti di naturalia e artificialia.

Due sono i grandi temi che guidano il visitatore: una prima sezione permette di illustrare il desiderio di contenere “entro quattro pareti” (che si tratti di uno stipo, scatola, valigia o stanza), il repertorio esaustivo di un mondo. In questa sezione, sono presentate opere di Alik Cavaliere, Giuliana Cuneaz, Marcel Duchamp e Emilio Isgrò. Una seconda sezione indaga invece il rapporto dialettico che intercorre tra arte e natura nella contemporaneità, tra homo faber e mondo naturale, che pone la natura come alternativa nella creazione d’arte e per superare la dimensione a volte troppo scientifica del quotidiano. Ed è questa la natura indagata dalle magnifiche e allo stesso tempo macabre ali di farfalle di Damien Hirst, dai reperti di Jannis Kounellis, dalle ricostruzioni di Piero Manzoni, Mario Merz e Studio Azzurro.

Wunderkammer. Arte, Natura, Meraviglia ieri e oggi fino al 2 marzo Sedi: Gallerie d’Italia e Museo Poldi Pezzoli Costi: Gallerie d’Italia ingresso gratuito, Poldi Pezzoli ingresso ridotto presentando il tagliando delle Gallerie d’Italia. Orari: Poldi Pezzoli: 10.00 alle 18.00, martedì chiuso. Gallerie d’Italia: Da martedì a domenica dalle 9.30 alle 19.30, Giovedì dalle 9.30 alle 22.30

 

 

105 DISEGNI DI GRANDI ARTISTI PER IL MUSEO DIOCESANO

Una nuova collezione arricchirà il già nutrito percorso artistico del Museo Diocesano di Milano. Da venerdì 24 gennaio sarà infatti possibile ammirare un nuovo lascito, esposto insieme alla collezioni vescovili e della diocesi, donato al Museo dal grande collezionista e uomo d’affari Antonio Sozzani. Centocinque disegni, perlopiù inediti, saranno esposti in maniera permanente dopo un lungo restauro che ha visto protagonisti non solo queste preziose e delicate opere, ma anche le loro cornici originali.

Sozzani, uomo di spicco della finanza milanese e grande collezionista di arte dell’Ottocento francese, su consiglio di Giovanni Testori, amico e consigliere, inizia a comprare e collezionare disegni su carta di molti significativi maestri, italiani e non, mettendo insieme una ricca collezione di cui Testori stesso assunse la guida scientifica.

Forse fu su consiglio di un altro amico, quell’Alberto Crespi già donatore dell’omonima collezione Crespi di fondi oro italiani, depositata presso lo stesso Diocesano, che Sozzani decise di donare anche i suoi disegni al Museo. Con delle clausole ben precise: i disegni dovevano essere esposti tutti e tutti insieme, con le loro cornici, e mai conservati o esposti diversamente.

La raccolta Sozzani è costituita da disegni databili dal XV al XX secolo, eseguiti da artisti principalmente italiani e stranieri, soprattutto francesi, offrendo una ricca varietà di fogli riconducibili a ‘scuole’ diverse, per epoca e geografia. Tra questi, per la sezione antica, spiccano i nomi di Matteo Rosselli, Luca Cambiaso, Bartolomeo Passarotti, Ludovico Carracci, Guercino, Elisabetta Sirani, Gian Lorenzo Bernini, Carlo Francesco Nuvolone, Francisco Goya, e altri ancora.

Cospicuo è anche il nucleo di disegni attribuiti a maestri dell’Ottocento francese e dell’Impressionismo, come Jacques Louis David, Jean-Auguste-Dominique Ingres, Camille Corot, Eugène Delacroix, Théodore Gericault, Gustave Courbet, Édouard Manet, Auguste Rodin, Edgar Degas, Pierre-Auguste Renoir, Camille Pisarro, Paul Gauguin, Vincent van Gogh.

Per il Novecento sono presenti alcuni lavori di autori quali Lucio Fontana, Jaques Lipchitz, Marcello Dudovich, Jean Cocteau, Balthus, Toti Scialoja, Graham Sutherland.

L’apertura di questa nuova sezione sarà accompagnata da un catalogo scientifico, a cura di Paolo Biscottini e Giulio Bora, che propone, oltre ai saggi introduttivi sulla storia e sullo studio scientifico della collezione Sozzani, la pubblicazione integrale dei disegni, quasi tutti inediti, corredata da una documentazione fotografica e da schede scientifiche.

La collezione Antonio Sozzani – Museo Diocesano di Milano (Milano, c.so Porta Ticinese 95) Dal 24 gennaio 2014 Orari di apertura: martedì – domenica, 10.00-18.00 (la biglietteria chiude alle ore 17.30) Ingresso: intero: € 8.00, Ridotto: € 5.00, martedì 4 euro

 

 

IL SEICENTO LOMBARDO IN MOSTRA A BRERA

La Pinacoteca di Brera possiede un ingente patrimonio di dipinti dei principali protagonisti del Seicento lombardo, realizzati a partire dall’età di Federico Borromeo fino alla successiva stagione barocca e alla svolta classicista della seconda Accademia Ambrosiana. Un patrimonio in parte nascosto però per ragioni di spazio espositivo, godibile fino alla prima settimana di febbraio.

Ecco perché la mostra “Brera e il Seicento lombardo” nasce proprio con lo scopo di approfondire e di poter vedere alcuni tra le più significative opere lombarde del XVII secolo. Le 46 opere presentate sono per lo più di grande formato, e quindi difficilmente movimentabili al di fuori degli spazi museali, e ben 21 sono i dipinti provenienti dai depositi interni ed esterni di Brera, tutti destinati ad essere esposti nel futuro progetto museale della “Grande Brera”.

Pale d’altare ma anche quadri di piccolo formato, che videro la luce quando Milano era sotto la dominazione spagnola. Un’epoca raccontata ne I Promessi Sposi e che viene ricordata come opprimente e terribile, ma che, grazie all’influenza dei cardinali Carlo e Federico Borromeo, sul versante artistico fu ricca di talento creativo. Milano, sotto la spinta propulsiva del Concilio di Trento, divenne la fucina di un modo nuovo di intendere l’arte: cioè un aiuto alla devozione dei fedeli e un esempio dei valori autentici della rinnovata religiosità cristiana. Movere, delectare, docere, per l’appunto, per un’arte semplice e alla portata di tutti, senza fronzoli né inutili virtuosismi.

Fra i capolavori esposti ci sono quattro importanti pale d’altare, tre delle quali firmate e datate: di Fede Galizia il Noli me tangere (1616), della maturità di Carlo Francesco Nuvolone è l’Assunzione della Vergine (1648), ormai pienamente barocca, e di Giuseppe Nuvolone il San Francesco in estasi (1650); di Giovan Battista Crespi detto il Cerano è invece il Cristo nel sepolcro, san Carlo e santi (1610 circa), fino a qualche mese fa in deposito presso la chiesa milanese di Santo Stefano.

Accanto alla pala di Fede Galizia, uno dei rari dipinti di grande formato della pittrice milanese, nota soprattutto per la produzione di ritratti e nature morte, viene presentato una poco conosciuta tela di Agostino Santagostino, Il congedo di Cristo dalla madre, che con quella della Galizia illustrava episodi della vita di Maria Maddalena entro la distrutta chiesa del monastero femminile agostiniano dedicato alla santa in Milano.

L’esposizione rende possibile proporre, anche se solo attraverso tre opere, l’importante serie oggi dispersa dei cicli di dipinti già realizzati per la Sala dei Senatori in Palazzo Ducale (oggi Palazzo Reale) a Milano. A dare inizio alla decorazione dell’ambiente era stata l’Andata al Calvario di Daniele Crespi, eseguita alla metà degli anni venti, offerta al Senato dal cardinale Cesare Monti, grande collezionista. Dal ciclo delle Storie della Passione di Cristo, provengono l’Orazione nell’orto di Giovanni Stefano Montalto e la Flagellazione di Giuseppe Nuvolone, entrambe ancora nelle ricche cornici dorate originali ed eccezionalmente presentate ora a fianco dell’opera del Crespi. Probabile ispiratore, se non diretto committente della decorazione della sala, con il ciclo della Passione e con quello dedicato al tema delle Allegorie della Giustizia cristiana, era stato Bartolomeo Arese, Presidente del Senato di Milano (1660-1674), mecenate e protagonista della vita politica cittadina nei decenni centrali del XVII secolo.

Il percorso espositivo comprende altri dipinti di soggetto sacro di piccolo e medio formato, tra i quali si segnalano il bozzetto per una pala d’altare nella Certosa di Pavia del Morazzone (La Madonna del Rosario con san Domenico e due angioletti), la tavoletta di Cerano con San Giorgio e il drago e la Natività e adorazione dei pastori di Giuseppe Vermiglio, espressione del realismo lombardo di un pittore sensibile alla rivoluzione caravaggesca.

Una nutrita sezione è dedicata ai ritratti e autoritratti, soprattutto di pittori milanesi e lombardi, appartenuti al Gabinetto de’ ritratti costituito da Giuseppe Bossi, all’inizio dell’Ottocento segretario dell’Accademia di Brera e tra i promotori del museo stesso. Tra le opere degne di nota vi sono il ritratto di gruppo della famiglia Nuvolone, realizzato a metà del XVII secolo dai due fratelli Carlo Francesco e Giuseppe, e l’Autoritratto di Giulio Cesare Procaccini, dipinto un anno prima della morte nel 1624, ora presentati insieme ad altre opere, tra le quali la coppia dipinta da Tanzio da Varallo (considerati un tempo effigi dell’artista e della di lui consorte) e il ritratto dipinto da Francesco Cairo del pittore perugino e scrittore d’arte Luigi Scaramuccia, appartenuti anch’essi al Gabinetto bossiano.

A completamento del percorso espositivo, dalla ricca collezione del Gabinetto dei disegni della Pinacoteca di Brera si presentano otto importanti fogli di pittori diversi, tra i quali spiccano Cerano, Morazzone e il Moncalvo. Opere di grande interesse e pregio, accumunate da valori di fondo iscrivibili alla rinnovata religiosità cristiana dopo la Riforma protestante, e che fanno emergere valori pittorici come le pennellate dense e materiche e l’uso tutto scenografico degli effetti di luce.

Il Seicento lombardo a Brera. Capolavori e riscoperte a cura di Simonetta Coppa e Paola Strada fino al 8 febbraio 2014 Pinacoteca di Brera, sale XXX-XXXIV Orari: da martedì a sabato dalle 8:30 alle 19:15 (la biglietteria chiude alle 18.40). Biglietti Intero: € 10,00, Ridotto: € 7,00

 

 

KANDINSKY E LA NASCITA DELLA PITTURA ASTRATTA

Che cos’è l’astrattismo? Che significato hanno cerchi, linee, macchie di colori a prima vista casuali ma di gran impatto visivo? C’è qualcosa oltre la superficie del quadro? Per rispondere a questi leciti interrogativi arriva a Milano una grande retrospettiva dedicata a uno degli artisti più significativi del secolo scorso: Vassily Kandinsky.

Sono oltre 80 le opere in mostra, tutte provenienti dal Centre Pompidou di Parigi e tutte firmate dal padre dell’astrattismo. Una esposizione che offre una panoramica completa dell’evoluzione dell’artista, partito da una figurazione semplice e legata alla tradizione, ma che è arrivato a concepire alcune delle teorie artistiche più interessanti del ‘900. Un percorso di ricerca lungo e fatto di molte sperimentazioni, che caratterizza l’arte di Kandinsky come qualcosa di complesso ed estremamente affascinante.

L’apertura è di grande impatto, con la ricostruzione, per la prima volta portata fuori dalla Francia, dell'”ambiente artistico totale” ricreato nel 1977 dal restauratore Jean Vidal, ovvero pitture parietali eseguite riportando fedelmente i cinque guazzi originali con cui Kandinsky decorò il salone ottagonale della Juryfreie Kunstausstellung di Berlino, esposte tra il 1911 e il 1930.

Il percorso prosegue poi in ordine cronologico, esaminando le tante fasi vissute da Kandinsky. Già dalle prime opere l’artista russo dimostra una passione per il colore, le atmosfere di gusto impressionista e fauve con un’attenzione ai temi leggendari e legati al passato, come ad esempio i cavalieri, soggetti che si trova ad affrontare all’inizio del ‘900. Abbandonata la Russia, Monaco sembra offrire una vita migliore a Kandinsky, che frequenta l’Accademia di Belle Arti e si lega ad artisti che sperimentano con lui un tipo di arte ancora di gusto Art Nouveau: è il momento del gruppo Phalanx.

Dopo viaggi che lo conducono in giro per il mondo insieme alla nuova compagna, la pittrice Gabriele Munter, Kandinsky si trasferisce a Murnau, in Baviera, ed è lì che, passo dopo passo, nascerà l’astrattismo. Gradatamente i disegni si fanno piatti, il colore prende piede e nel 1910 vedrà la luce il primo acquerello astratto, dipinto con i colori primari che hanno, agli occhi dell’artista, una valenza e un significato unico e fondamentale.

Nel 1912, in compagnia dell’amico Franz Marc, nascerà il celebre Blaue Reiter, quel Cavaliere Azzurro protagonista degli esordi di Kandinsky e che diverrà anche un fortunato almanacco artistico. Seguirà a breve Lo spirituale nell’arte, trascrizione del pensiero e della dottrina di Kandinsky sull’arte astratta.

Con lo scoppio della guerra Kandinsky è costretto a tornare in Russia, momento in cui tornerà a una fugace figurazione e in cui conoscerà la futura moglie Nina. Nel 1922 accetta il prestigioso invito del Bauhaus di Gropius e si trasferisce a Dessau come insegnante. Dopo la chiusura nazista di questa prestigiosa scuola, Kandinsky decide di recarsi a Parigi, sua ultima meta e città allora pervasa dalle grandi novità del cubismo e del surrealismo, corrente quest’ultima, che influenzerà fortemente gli ultimi lavori dell’artista.

Figure biomorfe sembrano galleggiare leggere e impalpabili su cieli blu, diagonali di colore, griglie e colori pastello. Il cielo e la luce tanto amata della ville lumiere lasceranno un’ultima suggestione nelle grandi composizioni così come nei piccoli dipinti su cartone che Kandinsky creò durante la Guerra.

In mostra sono presenti alcune delle opere più significative dell’artista, quelle che tenne per sé costantemente appese in casa o che donò all’amata moglie Nina, e che danno quindi il resoconto esatto di un’arte che si è rivelata fondamentale anche per i pittori moderni. Molto dovettero a Kandinsky Pollock e i suoi “irascibili”, così come, l’arte astratta e l’Informale ebbero un debito enorme nei confronti di quest’uomo che ebbe il coraggio di dire che le forme e i colori sono fondamentali, spirituali, e che la pittura deve trasmettere l’essenza più profonda di chi la crea e di chi la guarda.

Kandinsky: la collezione del Centre Pompidou fino al 4 maggio 2014 Orari: lunedì:14.30 – 19.30 dal martedì alla domenica: 9.30 – 19.30 giovedì e sabato: 9.30 – 22.30 Biglietti: intero 11,5, ridotto 9,5

 

 

LA GENESI DELL’OPERA DI PELLIZZA DA VOLPEDO

Il Quarto Stato, opera che inizia simbolicamente il percorso del Museo del 900, viene ora studiato e indagato nella sua genesi lunghissima, dieci anni, che ha portato al suo compimento definitivo. A cura di Aurora Scotti, la mostra presenta circa trenta opere tra disegni e dipinti di Pellizza da Volpedo allestiti nello spazio mostre al piano terra del museo e una radiografia a grandezza naturale dell’opera.

Così come fu per l’acquisto dell’opera – nel 1920 tramite una pubblica sottoscrizione – il Museo chiederà ai cittadini e ai visitatori di esprimere il loro parere in merito a un eventuale spostamento del capolavoro di Pellizza, trasformando così l’atrio in sala museale.

L’artista, partendo da una formazione filosofico – storica, sente la necessità di trattare temi allora attuali come le problematiche sociali e politiche dell’Italia unita, in particolare quelle dello sciopero e della protesta popolare, temi che affronta in disegni e bozzetti ad olio realizzati dal 1890, assecondando la convinzione che la pittura di storia doveva trattare temi di assoluta contemporaneità.

Il lungo iter progettuale dell’opera è segnato da due tappe fondamentali: Ambasciatori della fame (1892) e Fiumana (1895-96). Una lunga elaborazione che rese l’artista consapevole della propria missione intellettuale. A ogni fase corrisponde infatti una peculiare sperimentazione compositiva e tecnica, il cui sviluppo può essere seguito lungo le tre sezioni della mostra, dove sono esposti i bozzetti, i disegni preparatori e alcune analisi radiografiche.

La prima versione dell’opera è Ambasciatori della fame, e già da questa versione Pellizza sceglie il luogo e il tempo dell’azione: la piazza davanti a palazzo Malaspina, a Volpedo, simbolo del potere signorile di antica data. Nella luce di un mattino primaverile – il 25 aprile – sull’imbocco di Via del Torraglio, Pellizza fece avanzare un gruppo di lavoratori guidati da due portavoce dal piglio deciso in primo piano e affiancati da un ragazzo più giovane.

Nel corso del 1893-94 decise di riproporre il tema in un nuovo quadro di più grandi dimensioni, cercando di mettere meglio a fuoco il gruppo centrale dei personaggi. Abbandonata la tecnica a larghe pennellate, adotta una tecnica divisionista a piccoli punti e linee di colori disposti in modo puro sulla tela, per raggiungere effetti di luminosità ed espressività. Nel nuovo bozzetto, eseguito nel 1895, Pellizza eliminò il punto di vista dall’alto per una presa diretta frontale dei suoi protagonisti: numerose figure di artigiani e contadini che avanzano guidati dai due capi della rivolta affiancati ora da una donna con un bimbo in braccio, ritratto di Teresa, moglie dell’artista.

Di lì a poco vedrà la luce Fiumana, il cui titolo è allusivo all’ingrossarsi della schiera dei lavoratori, paragonabile ad un fiume in piena, puntando sulla diffusione del messaggio idealmente rivolto a tutti i lavoratori e sull’adesione di massa ad esso.

Nel 1898 Pellizza decise di riaffrontare il tema su una tela ancora più grande, ricominciando a eseguire disegni per tutte le figure e facendo nel 1899 un nuovo bozzetto dalle cromie calde e intense a cui diede per titolo Il cammino dei lavoratori. Ancora una volta alla rielaborazione pittorica il pittore accompagnò letture sempre più attente alle problematiche sociali. Il risultato fu un nuovo cambio d’impostazione, sostituendo alla massa indistinta di lavoratori una sequenza di uomini e qualche donna disposti su più file a occupare tutta la scena.

A questa tela Pellizza lavorò incessantemente dal 1898 al 1901, quando scelse di intitolarla Il Quarto stato. La tela è divenuta dunque il simbolo della fiducia che il cammino di lavoratori avrebbe portato ad un futuro migliore, anticipando e incarnando una delle forze motrici del Ventesimo secolo. Una mostra per ripercorrere gli studi, i disegni e i tentativi che hanno preceduto l’opera, divenuta un simbolo universale e che ora diventerà uno dei simboli di Expo 2015.

Giuseppe Pellizza da Volpedo e il Quarto Stato. Dieci anni di ricerca appassionata Museo del ‘900 Spazio mostre fino al 9 marzo 2014 Costo: intero € 5, ridotto € 3 Orari: lun. 14.30 – 19.30 mar. mer. ven. e dom. 9.30 – 19.30 gio. e sab. 9.30 – 22.30

 

 

LA LENTA RINASCITA DEL MAGA DI GALLARATE

A dieci mesi dal terribile incendio che devastò il museo, il MAGA di Gallarate riapre i battenti. Sabato scorso, alla presenza delle autorità cittadine e di un grandissimo pubblico, si è svolta l’inaugurazione, che ha svelato una parte del museo restaurata e rinnovata, pronta a ospitare una mostra tutta particolare: “With a little help from my friends. Artisti per il Maga“. 180 artisti italiani, tra cui anche qualche grande nome di risonanza internazionale, hanno voluto donare un’opera destinata a essere esposta temporaneamente al museo per poi essere venduta, e i cui proventi serviranno a finanziare parte dei futuri lavori di restauro del museo.

Il progetto è sicuramente molto sentito, come dimostrano le tante decine di visitatori presenti all’inaugurazione, così come sentito da parte degli artisti è stato il bisogno e la necessità di smuovere qualcosa per ricreare “in fretta” un museo sul territorio, rovinato e distrutto da quel terribile incendio del febbraio scorso, le cui cause, ancora oggi, sono avvolte nel mistero.

Se il piano terra è stato in parte restaurato e reso pronto per l’utilizzo, la struttura nel suo complesso ancora necessiterà di tempo, soldi e attenzioni. Molto è già stato fatto con i contributi della Regione Lombardia (150mila euro) e della Fondazione Cariplo (250mila euro). Senza dimenticare la Triennale di Milano e la Villa Reale di Monza, che hanno messo in mostra la collezione permanente del museo, dando un senso di continuità e speranza alle opere d’arte che con tanta fatica sono state strappate alle fiamme.

«L’idea è quella di organizzare una mostra che permetta di riaprire il MAGA con un evento informale e discorsivo capace di far percepire il museo come un luogo davvero aperto alla collaborazione della comunità da cui è nato” – spiega Giovanni Orsini presidente del Premio Gallarate – “Le opere in mostra saranno cedute a fronte di un contributo anche modesto, i contribuiti raccolti dal Premio Gallarate avranno l’obiettivo di costituire un fondo per permettere lo sviluppo delle attività del MAGA nel 2014, e di rispondere alle necessità di recupero dello stabile. With A Little Help from My Friends è dunque il segnale di come il Premio Gallarate, come accade dal 1949, sostenga con forza la presenza di un museo cittadino dedicato alla contemporaneità e che questo museo, il MAGA, sia supportato e accolto da un’ampia comunità di artisti, curatori, ma anche appassionati di arte e cultura, in primis da Gallarate e dalla nostra regione».

Sino al 22 dicembre il MAGA ritorna a essere spazio di incontro e condivisione, con una mostra che permette non solo di acquistare arte, ma anche e soprattutto, di farlo per un’ottima e validissima causa.

MAGA – Fondazione Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea ‘Silvio Zanella’ – via De Magri, 1, Gallarate Orari: martedì – mercoledì – venerdì 11.00 – 18.30 giovedì 11.00 – 21.00 sabato – domenica 11.00 – 19.30 Chiuso il lunedì INGRESSO GRATUITO

 

 

MUSICA E GRANDI EMOZIONI PER I VISITORS DI RAGNAR KJARTANSSON

The Visitors, la mostra installazione di Ragnar Kjartansson all’Hangar Bicocca, è una di quelle ormai rare mostre-esperienze d’arte che lasciano davvero qualcosa allo spettatore, che commuovono e che ci fanno sentire parte di qualcosa, di un’esperienza lirica ed emozionante.

L’artista islandese, già affermato sulla scena internazionale e sperimentatore di vari linguaggi, come la musica, il teatro e il cinema, propone una grande e suggestiva installazione di nove video proiezioni in scala 1:1, per una mostra di grandissimo successo che è stata prorogata fino al 5 gennaio 2014.

The Visitors, il cui titolo rimanda all’ultimo e malinconico album degli ABBA, racconta una storia musicale. Nove musicisti diversi, tutti amici di Kjartansson, cantano e suonano visivamente in contemporanea per più di un’ora, ognuno con il proprio strumento, la stessa canzone, una poesia intitolata Feminine Ways, composta dall’ex moglie dell’artista e musicata da Kjartansson stesso.

I musicisti, tra cui le sorelle fondatrici della band Mùm e alcuni membri dei Sigur Ròs, sono ripresi da una videocamera fissa, all’interno di nove stanze differenti, tutte parte di una antica e malinconica dimora di proprietà della famiglia Astor, nell’Upstate di New York. In uno dei video, in cui viene ripresa l’ottocentesca veranda della casa, sono presenti anche alcuni dei proprietari stessi, che interpretano una sorta di coro e di accompagnamento vocale.

Le nove tracce audio e video sono girate separatamente, ma vengono proiettate in contemporanea sui grandi schermi, per far sì che lo spettatore venga circondato, nonché reso partecipe, di questa straordinaria performance ed esperienza sensoriale. Non solo la melodia è straziante e commovente in alcuni momenti, ma anche la fotografia delle scene, che sembrano tableaux vivant d’altri tempi, riesce a proiettare lo spettatore al centro di questa situazione, estraniandolo totalmente dalla realtà quotidiana che lo aspetta dietro la porta d’ingresso.

Figura trainante dell’intera opera è proprio l’artista stesso, che canta, accompagnato da una chitarra, in una vecchia vasca da bagno, facendo da direttore d’orchestra a questo improbabile e suggestivo coacervo di artisti islandesi che tramite cuffie, seguono il ritmo, suonano, cantano, e sono parte dell’opera.

Kjartansson non è nuovo a questo tipo di operazioni, che vogliono esprimere concetti per lui fondamentali: la forza della musica, le sensazioni e le connessioni psicologiche che una melodia può creare, l’arte come forza di collaborazione tra diverse persone ed elementi, l’amore per la performance. Si potrebbe dire molto altro. In realtà è meglio lasciar la magia e la sorpresa della scoperta di quest’opera, così forte emozionalmente e di grande impatto emotivo.

In contemporanea sarà possibile visitare la mostra Islands, di Dieter Roth e Bjorn Roth, artisti tedeschi, padre e figlio, maestri dell’accumulazione e del creare opere in cui si uniscono pittura, scultura, fotografia, video ed editoria. Senza dimenticare una serie di opere fatte interamente di zucchero e cioccolato, inediti busti ritratto d’artista.

Ragnar Kjartansson – The Visitors a cura di Andrea Lissoni e Heike Munder. fino al 5 gennaio 2014.

Dieter Roth Björn Roth – Islands a cura di Vicente Todolì fino al 9 febbraio 2014

HANGAR BICOCCA via Chiese 2 Orari: Lun-mar-merc: chiuso Gio-ven-sab-dom: 11-23 Entrata gratuita

 

 

PERCHÈ IL MUSEO DEL DUOMO È UN GRANDE MUSEO

Inaugurato nel 1953 e chiuso per restauri nel 2005, lunedì 4 novembre, festa di San Carlo, ha riaperto le sue porte e le sue collezioni il Grande Museo del Duomo. Ospitato negli spazi di Palazzo Reale, proprio sotto il primo porticato, il Museo del Duomo si presenta con numeri e cifre di tutto rispetto. Duemila metri quadri di spazi espostivi, ventisette sale e tredici aree tematiche per mostrare al pubblico una storia fatta d’arte, di fede e di persone, dal quattordicesimo secolo a oggi.

Perché riaprire proprio ora? Nel 2015 Milano ospiterà l’Expo, diventando punto di attrazione mondiale per il futuro, così come, in passato, Milano è stata anche legata a doppio filo a quell’editto di Costantino che quest’anno celebra il suo 1700esimo anniversario, con celebrazioni e convegni. Non a caso la Veneranda Fabbrica ha scelto di inserirsi in questa felice congiuntura temporale, significativa per la città, dopo otto anni di restauri e un investimento da 12 milioni di euro.

Il Museo è un piccolo gioiello, per la qualità delle opere esposte così come per la scelta espositiva. L’architetto Guido Canalico lo ha concepito come polo aperto verso quella varietà di generi e linguaggi in cui è riassunta la vera anima del Duomo: oltre duecento sculture, più di settecento modelli in gesso, pitture, vetrate, oreficerie, arazzi e modelli architettonici che spaziano dal XV secolo alla contemporaneità.

E l’allestimento colpisce e coinvolge già dalle prime sale. Ci si trova circondati, spiati e osservati da statue di santi e cherubini, da apostoli, da monumentali gargoyles – doccioni, tutti appesi a diversi livelli attraverso un sistema di sostegni metallici e di attaccaglie a vista, di mensole e supporti metallici che fanno sentire l’osservatore piccolo ma allo stesso tempo prossimo all’opera, permettendo una visione altrimenti impossibile di ciò che è stato sul “tetto” del Duomo per tanti secoli.

Si è poi conquistati dalla bellezza di opere come il Crocifisso di Ariberto e il calice in avorio di san Carlo; si possono vedere a pochi centimetri di distanze le meravigliose guglie in marmo di Candoglia, e una sala altamente scenografica espone le vetrate del ‘400 e ‘500, alcune su disegno dell’Arcimboldo, sopraffini esempi di grazia e potenza espressiva su vetro.

C’è anche il Cerano con uno dei “Quadroni” dedicati a San Carlo, compagno di quelli più famosi esposti in Duomo; c’è un Tintoretto ritrovato in fortunate circostanze, durante la Seconda Guerra mondiale, nella sagrestia del Duomo. Attraverso un percorso obbligato fatto di nicchie, aperture improvvise e sculture che sembrano indicare la via, passando per aperture ad arco su pareti in mattoni a vista, si potrà gustare il Paliotto di San Carlo, pregevole paramento liturgico del 1610; gli Arazzi Gongaza di manifattura fiamminga; la galleria di Camposanto, con bozzetti e sculture in terracotta; per arrivare fino alla struttura portante della Madonnina, che più che un congegno in ferro del 1700, sembra un’opera d’arte contemporanea. E al contemporaneo si arriva davvero in chiusura, con le porte bronzee di Lucio Fontana e del Minguzzi, di cui sono esposte fusioni e prove in bronzo di grande impatto emotivo.

Il Duomo è da sempre il cuore della città. Questo rinnovato, ampliato, ricchissimo museo non potrà che andare a raccontare ancora meglio una storia cittadina e di arte che ebbe inizio nel 1386 con la posa della prima pietra sotto la famiglia Visconti, e che continua ancora oggi in quel gran cantiere, sempre bisognoso di restauro, che è il Duomo stesso.

Museo del Duomo Palazzo Reale – piazza Duomo, 12 Biglietti: Intero 6 euro, ridotto 4 euro Orari: Martedì-Domenica: 10.00 -18.00.

 

 

AUTUNNO AMERICANO PARTE 2: ANDY WARHOL

Dopo la grande mostra in Triennale del 2004, e una monografica di stampe al Museo del Novecento questa primavera, Andy Warhol torna a Milano con una super esposizione: le opere della collezione di Peter Brant. La mostra si presenta subito come una grande retrospettiva del lavoro dell’artista originario di Pittsburgh, comprendente alcune delle sue opere più famose e conosciute a livello mondiale, per un totale di oltre 150 opere d’arte, tra dipinti, serigrafie, sculture e fotografie.

La mostra, curata da Francesco Bonami e dallo stesso Peter Brant, sarà un’occasione interessante per approfondire la figura, a torto ritenuta spesso solo superficiale e frivola, di Andy Warhol, artista invece ben più complesso e tormentato. Peter Brant, magnate americano, fu intimo amico di Warhol, e ad appena vent’anni iniziò a comprare i lavori dell’artista, partendo proprio dalla famosa lattina di zuppa Campbell riprodotta da Warhol.

Sarà un legame lungo tutto una vita quello che accompagnerà l’avventura di Brant e Warhol, che vissero e segnarono insieme i pazzi anni ’60 e ’70 della scena newyorchese. Un sodalizio di vita e lavoro il loro, che sfocerà nella collaborazione tramite la rivista “Interview”, fondata dallo stesso Warhol nel 1969 e acquistata da Brant e dalla sua casa editrice dopo la morte dell’amico, avvenuta nel 1987 in seguito ad un’operazione chirurgica finita male.

La mostra presenta capolavori assoluti, che caratterizzano la collezione Brant come una delle più importanti e significative a livello internazionale rispetto alla produzione warholiana. Attraverso un percorso cronologico si potrà ricostruire a tutto tondo la figura di Warhol, partendo dai suoi inizi come grafico e pubblicitario, famoso già all’epoca per rivoluzionari e particolarissimi disegni di calzature femminili e per il suo atteggiamento irriverente.

La pubblicità però era solo l’inizio. Warhol voleva far parte dell’elite artistica, ecco perché si rivolse sempre più all’arte e al mondo pop, ovvero a quel substrato culturale che coinvolgeva tutti gli americani, dal Presidente all’uomo comune. Il suo universo si popola di lattine di zuppa, di Coca-Cola, di scatole di detersivo Brillo; dalle sue tele si affacciano Liz, Marilyn, Elvis, Jackie e tanti altri divi osannati dall’America, e che però ebbero anche, quasi Warhol fosse stato un profeta, fini tragiche o destini infelici. Come a dire, l’apparenza, nonostante i colori e i sorrisi smaglianti, inganna.

Una presa di coscienza di quello che l’americano medio aveva sotto gli occhi tutti i giorni, visto al supermercato o sui giornali, e che Warhol ripropose ingrandito, ripetuto fino allo sfinimento, disarticolato, sovrapposto e modulato, ma senza mai criticare. Anzi. La pop art di Warhol è lontanissima dal voler lanciare invettive contro il consumo smodato o il capitalismo. Warhol stesso ci era cresciuto, e la cosa più naturale per lui era proprio partire da quello che conosceva meglio e che poteva riguardare tutti. Senza messaggi nascosti o significati troppo profondi.

Oltre ai famosi Flowers multicolor e ai ritratti di Mao, paradossale vera icona pop, la mostra propone anche le rielaborazioni che Warhol fece di un grande classico come l’Ultima Cena di Leonardo; così come stupiranno una serie di Portraits, di autoritratti che l’artista si fece grazie alle polaroid che amava tanto, e che usava per riprendere anche i suoi amici Mick Jagger, Diana Ross e Jane Fonda. Tutti presenti in mostra.

Emerge così un Warhol non solo mondano e padrone del suo palcoscenico, la celeberrima Factory, in cui numerosi assistenti producevano effettivamente le sue opere, ma anche un Warhol più introverso, spaventato forse da quella celebrità raggiunta e cercata, ma che era diventata perfino pericolosa. Fu infatti vittima di un tentato omicidio, per mano di una femminista, e dal quale si salvò per miracolo nel 1968.

Vittima di un diverso colpo di arma da fuoco fu invece una delle opere più famose di Warhol, una Marilyn blu che venne colpita da un proiettile in piena fronte, sparato senza motivo da un’amica dell’artista nel 1964. Da quella data l’opera venne chiamata, per l’appunto, Blue Shoot Marilyn. Ennesimo esempio del circo che circondava l’artista e che lui osservava quasi in disparte, dietro i suoi occhiali da sole e al riparo di una parrucca argentata.

WARHOL, DALLA COLLEZIONE PETER BRANT Palazzo Reale fino al 9 marzo 2014 Orari: Lunedì: 14.30–19.30 Dal martedì alla domenica: 9.30-19.30 Giovedì e sabato: 9.30-22.30 Prezzi: Intero 11 euro, ridotto 9,50 euro.

 

 

IL VOLTO DEL ‘900: CAPOLAVORI DAL POMPIDOU DI PARIGI

Cosa ci fanno insieme capolavori di Matisse, Bacon, Mirò, Picasso, Magritte e un’altra cinquantina di artisti del secolo scorso? Sono solo alcuni dei protagonisti indiscussi della mostra Il Volto del ‘900, antologica con 80 opere d’arte provenienti dal prestigioso Centre Pompidou di Parigi e che ripercorre la storia del ritratto dall’inizio del ‘900 ai (quasi) giorni nostri.

Il ritratto è una delle forme d’arte più antiche della storia, il cui uso è variato molto nel tempo, a seconda dell’epoca e delle classi dominanti. Dall’arte egizia al Rinascimento, dalla nascita della borghesia alla ritrattistica ufficiale, il ritratto è stato veicolo di rappresentazione di mondi interi, ognuno col suo codice linguistico, di valori e di simboli. E nel ‘900? Il ritratto sembra essere giunto alla resa dei conti con la grande invenzione della fotografia:un confronto/scontro che se da una parte lo ha condotto all’emarginazione dal punto di vista utilitario, dall’altra ne ha fatto riscoprire anche un nuovo utilizzo e un nuovo potenziale, come si resero conto anche gli stessi Impressionisti già dalla fine dell’800.

Il ‘900 è stato il secolo difficile, nella storia come nell’arte. Gli artisti, testimoni di guerre e genocidi, si sentono impossibilitati a esprimere il volto umano delle persone, ed ecco allora che ne rappresentano il volto tragico. La nascita della psicanalisi di Freud, l’annientamento dell’Io singolare a favore di un Io di massa portano a rivoluzionare il ritratto, che diventa non solo rappresentazione fisica ma anche e soprattutto rappresentazione intima e interiore del soggetto.

Le avanguardie si scatenano: rovesciano tutti i canoni, l’astrazione entra prepotente, i colori si allontanano dalla realtà, i soggetti non sono più seduti in posa nello studio dell’artista ma vengono copiati da fotografie prese dai giornali, dando vita a opere fino a qualche anno prima impensabili, di grande rottura e scandalo. Picasso (in mostra con 3 lavori) docet.

La mostra, curata da Jean-Michel Bouhours, conservatore del Centre Pompidou, presenta sei sezioni tematiche, incentrate su temi filosofici o estetici. I misteri dell’anima, l’autoritratto, il formalismo, il surrealismo, caos e disordine e infine l’arte dopo la fotografia coinvolgeranno il visitatore in questa galleria di opere che si snoda da sculture di eccezionale valore, come la Musa dormiente di Brancusi, e il Ritratto del fratello Diego, di Alberto Giacometti; passando per l’autoritratto angosciante di Bacon e quello a cavallo tra futurismo e cubismo di Severini; senza dimenticare i dipinti stranianti di Magritte e Mirò, e per poi concludere, con molti capolavori nel mezzo, con l’iperrealismo di Chuck Close e il Nouveau Realisme di Raysse.

In un mondo in cui siamo bombardati di immagini e i nostri autoritratti impazzano sui social network, la mostra del Pompidou aiuta a contestualizzare e a comprendere perchè questa “fame di immagini” ci è, forse, scaturita.

ll Volto del ‘900. Da Matisse a Bacon – I grandi Capolavori del Centre Pompidou Palazzo Reale Fino al 9 Febbraio 2014 Prezzi: Intero 11 euro, ridotto 9,5 euro. Lunedì 14.30-19.30; da Martedì a Domenica 9.30-19.30; Giovedì e Sabato: 9.30-22.30

 

 

GLI IRASCIBILI DI NEW YORK

Si è aperta da pochissime ore la prima mostra di quello che è stato già ribattezzato come “l’autunno americano” di Milano. A fare da apripista è niente meno che la celebre Scuola di New York, il movimento conosciuto anche come Espressionismo Astratto. La mostra, intitolata “Pollock e gli Irascibili”, è una panoramica dei lavori degli artisti più significativi che lavorarono in America dagli anni ’30 agli anni ’60, rivoluzionando totalmente il concetto di arte, soprattutto quella americana, e che spostarono quindi il centro d’azione e di interesse dalla vecchia e ormai stanca Parigi, alle sponde della Est Coast di New York e dintorni. Pollock, Kline, Rothko, Motherwell, Still, Newman e tanti altri furono i protagonisti di quegli anni di grandi cambiamenti, artisti profondamente rivoluzionari e determinati nel portare avanti la loro nuova arte.

Ma perché si ricordano spesso con questo appellativo, che è passato alla storia, di Irascibili? Tutto nacque nel 1950, quando il Metropolitan Museum di New York annuncia l’organizzazione di un’importante mostra dedicata all’arte contemporanea americana. Esclusi dagli artisti invitati a esporre sono i pittori che a partire dalla seconda metà degli anni Trenta hanno mosso i primi passi verso un linguaggio pittorico nuovo, libero dal passato e chiamato, tra le diverse etichette date al gruppo, Action Painting. Etichetta però non significa uniformità. Nel gruppo c’è chi pratica una pittura molto libera e dinamica, il dripping di Pollock, e chi invece, come Rothko, usa i colori in modo meditativo e contemplativo; o chi ancora, come de Kooning, pratica un violento Espressionismo.

Ecco dunque che il gruppo, nella sua interezza, si sente rifiutato, e decide quindi di scrivere una lettera al New York Times, in cui gli artisti dichiarano il totale dissenso nei confronti delle posizioni assunte dal museo. Nel gennaio del 1951 la rivista “Life” pubblica l’emblematica fotografia di Nina Leen che ritrae i diciotto “Irascibles” vestiti da banchieri. Al centro Pollock, oltre a de Kooning, Rothko, Newman, Motherwell, Adolph Gottlieb, William Baziotes, James Brooks, Hans Hofmann, Bradley Walker Tomlin, Jimmy Ernst, Weldon Kees, Ad Reinhardt, Richard Pousette-Dart, Fritz Bultman, Theodoros Stamos, Clyfford Still e Hedda Sterne, unica donna a completare il gruppo.

Una protesta che avrà successo. Di lì a poco tempo il Whitney Museum deciderà di tener fede allo scopo per cui era nato, e inizierà a comprare i lavori degli artisti ad appena un paio di anni dal momento in cui vengono conclusi. È una rivoluzione e una vittoria. Il Whitney diventa il museo degli artisti contemporanei, e nel tempo vanterà uno dei nuclei di opere dell’Espressionismo Astratto più importanti e significativi al mondo. Ecco perché le circa 50 tele provengono proprio dalla collezione del Whitney.

Gioiello e immagine-simbolo della mostra non poteva che essere un dripping di Pollock, Number 27, quasi tre metri di tela “sgocciolata”, opera unica e delicata, che occupa una parte centrale dell’allestimento della mostra. Se siete in attesa di andare a vedere la collezione del Whitney Museum a New York, gli Irascibili a Milano sono il giusto compromesso per iniziare a gustare e a capire perché l’Action paiting fu così rivoluzionaria.

Pollock e gli irascibili Palazzo Reale, Milano fino al 16 febbraio 2014, Lunedì: 14.30–19.30 dal martedì alla domenica: 9.30-19.30 Giovedì e sabato: 9.30-22.30 Biglietti: 11,00 intero, 9.50 ridotto

 

 

LEONARDO E LE MACCHINE RICOSTRUITE

Come faceva Leonardo Da Vinci a progettare le sue macchine volanti? Potevano davvero volare? Che cos’era il famoso Leone Meccanico? Perché non venne mai portato a termine il colossale monumento equestre di Francesco Sforza? Queste sono solo alcune delle domande che potranno avere risposta grazie all’innovativa – e unica nel suo genere – mostra che si è appena aperta in una location d’eccezione: gli Appartamenti del Re nella Galleria Vittorio Emanuele.

Tutto nasce dall’idea di tre studiosi ed esperti, Mario Taddei, Edoardo Zanon e Massimilano Lisa, che hanno saputo mettere insieme e creare un centro studi e ricerca dedicato a Leonardo, alle sue invenzioni e alla sua attività, con risultati sorprendenti sia sul fronte delle esposizioni, sia su quello della divulgazione.

Leonardo3 (L3) è parte di un progetto più ampio, di un innovativo centro di ricerca la cui missione è quella di studiare, interpretare e rendere fruibili al grande pubblico i beni culturali, impiegando metodologie e tecnologie all’avanguardia. Sia i laboratori di ricerca sia tutte le produzioni L3 (modelli fisici e tridimensionali, libri, supporti multimediali, documentari, mostre e musei) sono dedicati all’opera di Leonardo da Vinci. E i risultati sono stati straordinari: L3 ha realizzato il primo prototipo funzionante al mondo dell’Automobile di Leonardo, hanno ricostruito il Grande Nibbio e la Clavi-Viola, il primo modello fisico della Bombarda Multipla, il primo vero modello del Pipistrello Meccanico, il Leone Meccanico e il Cavaliere Robot, oltre a interpretazioni virtuali e fisiche inedite di innumerevoli altre macchine del genio vinciano.

Non solo macchine però. Fondamentali per la riscoperta e la creazione dei prototipi sono stati i tanti codici leonardeschi, tra cui il famoso Codice Atlantico interamente digitalizzato, così come il Codice del Volo, presentato in Alta Definizione, in cui ogni singolo elemento è interattivo. E queste tecnologie diventeranno, in futuro, sempre più utili per studiare manoscritti antichi e fragilissimi, come i diversi Codici e taccuini, già molto rovinati dall’usura e dal passare dei secoli.

Una mostra che divertirà grandi e bambini, che potranno toccare con mano le macchine e i modellini ricostruiti, testarsi sui touch screen per comporre, sezionare o vedere nel dettaglio, tramite le ricostruzioni 3D, i vari pezzi delle macchine di Leonardo, far suonare la Clavi-Viola e costruire, davvero, un mini ponte autoportante.

Una delle ultime sezioni è poi dedicata ai dipinti di Leonardo, su tutti la famosa Ultima Cena. Una ricostruzione digitale e una prospettica permettono di ricostruirne strutture e ambienti, di capirne perché Leonardo “sbagliò” di proposito la prospettiva e di approfondire alcuni dettagli. I modelli sono stati costruiti rispettando rigidamente il progetto originale di Leonardo contenuto nei manoscritti composti da migliaia di pagine, appunti e disegni. Il visitatore avrà anche la possibilità di leggere i testi di Leonardo “invertendo” la sua tipica modalità di scrittura inversa (da destra a sinistra).

L3 si è già fatto conoscere nel mondo, le mostre sono state visitate da centinaia di migliaia di persone in città e Paesi come Torino, Livorno, Vigevano, Tokyo, Chicago, New York, Philadelphia, Qatar, Arabia Saudita e Brasile. Occasione imperdibile.

Leonardo3 – Il Mondo di
Leonardo – piazza della Scala, ingresso Galleria Vittorio Emanuele II, fino al 28 febbraio 2014, orari: tutti i giorni dalle ore 10:00 alle ore 23:00, biglietti: € 12 intero, € 11 studenti e riduzioni, € 10 gruppi, € 9 bambini e ragazzi, € 6 gruppi scolastici.

 

 

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

rubriche@arcipelagomilano.org

 


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