5 febbraio 2014

musica – MAL DI MAHLER


MAL DI MAHLER

Mi piacerebbe fare uno studio approfondito sul gradimento che incontra oggi Mahler – e in particolare sul giudizio che ne ha il pubblico milanese e quello che ne aveva subito dopo l’indimenticabile ciclo sinfonico di Abbado alla Scala di tanti anni fa – non prima però di aver espresso una profonda gratitudine all’Auditorium che sta realizzando l’integrale delle dieci Sinfonie; lodevolissima iniziativa che ci fa conoscere meglio questo autore e ci aiuta a fare il punto sul suo rapporto con la modernità e la contemporaneità.

musica05FBUn vecchio detto recita che “si nasce mahleriani e si muore bruckneriani …” e se rispondesse a verità metterebbe a repentaglio l’obiettività del critico a beneficio del suo mero dato anagrafico. Confesso, per non trarre in inganno i miei lettori e soprattutto per non smentire il detto, che sono stato per molto tempo mahleriano ma che ora sono sempre più bruckneriano, nel senso che le sinfonie dell’autore boemo mi appaiono talvolta farraginose e cervellotiche mentre riconosco più ispirate, e mi sembrano più emozionanti, quelle del suo maestro austriaco.

Tutto ciò doverosamente premesso, ricordo che il ciclo delle Sinfonie di Mahler ha fatto un gran botto questa stagione con l’esecuzione della più celebre e grandiosa di esse – l’ottava, detta “Dei Mille”, diretta da Chailly al palazzo dei congressi della Fiera di Milano nel novembre scorso – è proseguito con la seconda, detta “Resurrezione” (il 24 gennaio, ancora con Axelrod), e – a distanza di una sola settimana – con la sesta “Tragica” (il 30 gennaio diretta da Eiji Oue). Per dovere di completezza segnalo che il ciclo continuerà quest’anno con le ultime Sinfonie “pari” e cioè la decima (che sarà eseguita il 24 marzo diretta da Claire Gibault) e la quarta (16 maggio con la direzione di Oleg Caetani) mentre le Sinfonie “dispari” in parte sono state eseguite l’anno scorso (la prima, la terza e la quinta dirette rispettivamente da Andrea Pestalozza, Zhang Xian e Oleg Caetani) e in parte (la settima e la nona) saranno eseguite – salvo errore – nella prossima stagione.

Della pessima prova che ha dato Axelrod con la “Resurrezione” ho detto con rammarico la settimana scorsa a proposito degli omaggi milanesi a Claudio Abbado; per raccontare di questa ultima esecuzione della “Tragica” faccio fatica a trovare parole appropriate per descriverne la modestia, anche perché ho stentato a capire quanto ne sia stata responsabile l’orchestra (sicuramente esausta dalla preparazione di due Sinfonie così complesse a distanza di soli quattro giorni l’una dall’altra) e quanto invece il direttore Eiji Oue (che ha anche lui qualche giustificazione avendo sostituito all’ultimo momento Vladimir Jurowski).

Cerco di farmene una ragione considerando che si tratta di due direttori molto lontani dalla cultura europea, il primo texano e il secondo giapponese, mentre se c’è un musicista squisitamente e profondissimamente europeo, anzi mitteleuropeo, questi è Gustav Mahler; nato molto povero e cresciuto in grandi ristrettezze (aveva 11 fratelli) in un misero paesino a metà strada fra Praga e Brno, ebreo costretto a farsi cattolico per ottenere incarichi nei teatri pubblici, amico di Gustav Klimt e di Egon Schiele, cliente di Sigmund Freud, allievo di Bruckner, maestro di Schönberg, Mahler ha vissuto sempre – tranne un breve periodo trascorso negli Stati Uniti – in paesi del Centro Europa come Budapest, Amburgo, Lubiana e soprattutto Vienna, e le estati le passava in Carinzia o nel Sud Tirolo. Ha scritto le sue sinfonie a cavallo dell’anno 1900 (la prima è del 1888, l’ultima, incompiuta, del 1910, poco prima della scomparsa), dunque negli anni in cui si consumava una grandiosa rivoluzione culturale, crollavano tutte le certezze e nasceva un mondo totalmente nuovo: lui si trovava esattamente al centro di quella rivoluzione. Di più, era un grande direttore d’orchestra ma, a causa del pessimo carattere, assai poco amato e, nonostante il successo e la fama, osteggiato dalle orchestre e dai loro sovrintendenti; oltre che per l’endocardite – che lo ha portato alla morte appena cinquantenne – ha sofferto molto per la morte di una figlia ancora bambina e forse ancora di più a causa della incontenibile infedeltà della moglie Alma che, come si sa, aveva una passione sfrenata per gli intellettuali, gli artisti, i letterati, i musicisti, i pittori e gli architetti.

Ebbene credo che per Axelrod e ancor più per Oue sia molto difficile per non dire impossibile mettersi in sintonia con Mahler e dirigerne la musica con la necessaria empatia; troppo lontani da un mondo tanto complicato e tanto diverso da loro. Sia l’uno che l’altro hanno sentito Mahler come un epigono della tragicità beethoveniana, come figlio della epicità wagneriana, celebrante della volontà di potenza nietzschana. Ne è sortita una musica urlata, gli ottoni enfatizzati ossessivamente, le percussioni eccessivamente esaltate, gli archi sottomessi e privati della loro naturale morbidezza. Soprattutto forza, assertività, ineluttabilità. E il dolore? la sofferenza? la nostalgia delle radici? la malinconia della solitudine? Chi ha avuto la ventura di ascoltare il Mahler degli anni ’80 alla Scala (quando le sue sinfonie erano pressoché sconosciute in Italia) non può averne dimenticato la magìa, la consapevolezza dell’essenza del dolore, la visione altissima della vita e della morte, quella massa di sentimenti e di lacerazioni che, anche chi di Mahler non è profondamente innamorato, non può non provare e non averne l’animo turbato.

 

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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