29 gennaio 2014

CITTÀ METROPOLITANA: QUALE APPRODO? (QUALI TASSE?)


Come noto, il 2014 dovrebbe vedere la definizione operativa e l’avvio della Città Metropolitana insieme a un processo di ridefinizione e/o eliminazione delle province e accorpamento di comuni. L’avvento di queste trasformazioni nel panorama delle istituzioni locali costituisce un processo di riorganizzazione territoriale dello Stato di grande portata. Purtroppo, il dibattito politico – giornalistico o giornalistico – politico (scegliete voi la definizione che vi calza di più) ne ha sottovalutato – e continua a sottovalutarne – le implicazioni dal punto di vista democratico, della rappresentanza e del rapporto tra i cittadini e queste nuove istituzioni. Anche le argomentazioni relative ai “contenuti specifici” che dovranno sostanziare l’operatività di questo nuovo istituto, sono tratteggiate in modo superficiale e poco comprensibile alla maggioranza dei cittadini. La Città Metropolitana continua a essere interpretata e proposta come una sorta di riorganizzazione aziendale di centri di spesa o di agenzia territoriale per la erogazione di servizi. Queste premesse definiscono un “profilo” del tema che lo relega all’interno di un dibattito che allontana la maggioranza dei cittadini, anche i più avvertiti e interessati agli aspetti della vita pubblica e collettiva, che lo percepiscono come ambito per “per specialisti” o tecnici.

10monte04FBEppure, per quanto si legge e si ascolta, ci sono già molte aspettative e c’è già chi prevede che la Città Metropolitana (CM) sarà in grado da fare da levatrice alla “ripresa”, portandoci fuori dalla crisi o di risolvere annose questioni che hanno caratterizzato la scarsa capacità di cooperazione storicamente espressa nel governo di area vasta.

Non vorrei fare inutile esercizio di “benaltrismo” ma di fronte a una questione del genere ci si aspetterebbe un percorso diverso. “Squadernare” l’organizzazione degli enti locali avrebbe richiesto quanto meno: 1) una definizione condivisa degli obiettivi di governo metropolitano; 2) una ricognizione delle forze in campo, sia in termini di risorse finanziarie che di capacità tecnica – operativa, evidenziandone limiti, criticità e soluzioni per il relativo superamento; 3) un’analisi comparativa di modelli organizzativi ed esperienze analoghe o complementari; 4) una definizione delle norme, contestuale alle caratteristiche/capacità dei soggetti interessati dalla filiera attuativa.

Di questi aspetti però non v’è traccia nel “DdL Del Rio” recentemente licenziato dalla Camera; anzi, questo testo sembra piuttosto scritto dal “curatore fallimentare” delle Province mediante un acritico trasferimento delle competenze, senza peraltro ridurre o eliminare i conflitti e le sovrapposizioni già oggi esistenti. Anche lo stesso testo del DdL sembra l’esito di un lapsus; Le “funzioni” della CM sono descritte per generici “titoli” all’art.9, mentre gran parte dei restanti articoli sono dedicati a una dettagliata definizione della composizione e ai meccanismi di ponderazione del voto per l’elezione di sindaco e assemblea. Come dire … intanto pensiamo all’organigramma … sul da farsi ci penseremo in seguito.

La fretta di liquidare con argomenti spesso demagogici le province, a quanto pare ha inibito qualsiasi riflessione sul fallimento storico di questo ente intermedio che non ha saputo/potuto interpretare ed essere il punto di riferimento per una efficace governance dell’area vasta e che ha da sempre invece rappresentato “l’anello debole” della filiera istituzionale.

Questa lacuna del processo tuttora in corso (si spera) elude alcune questioni e interrogativi centrali:

– quali sono gli strumenti e le risorse per il superare i nodi che hanno sin qui schiacciato le province ed evitare ulteriori fallimenti nel governo metropolitano? A titolo di esempio, seppur parziale e specifico, è necessario tenere presente che negli ultimi 15 anni abbiamo visto PTCP “alleggeriti” per contenuti e funzioni e con tempi enormemente lunghi di approvazione, in ragione della elusione di conflitti territoriali diffusi che non hanno trovato composizione;

– quale tipo di equilibrio e cooperazione istituzionale si intende ricercare e quale peso si intende attribuire al comune capoluogo? Anche in questo caso è opportuno ricordare che in passato i rapporti tra i comuni capoluogo e i comuni dell’area metropolitana non sono quasi mai stati semplici. Ad esempio nel caso milanese, prima ancora delle vicende legate alla Provincia, l’Associazione dei Comuni per il Piano Intercomunale nacque proprio per contrastare il decreto “Togni” del 28/02/59 che affidava al Comune di Milano il compito di elaborare il Piano Intercomunale;

– a quali risorse finanziarie si farà ricorso per rendere efficace il governo metropolitano? Si ripeterà l’errore di sempre per cui si mette mano all’ordinamento istituzionale senza una contestuale riforma della finanza locale?

A queste questioni che afferiscono i contenuti operativi del nuovo Ente si aggiungono anche aspetti che hanno un peso in termini di rappresentanza e di valenza democratica. Siamo sicuri che la scelta di sottrarre all’elezione diretta da parte dei cittadini un “pezzo dello stato” non produca ulteriori scollamenti e una distanza siderale tra questi e le istituzioni?

Se si vuole perseguire con successo la riforma del governo locale, questi interrogativi devono trovare una risposta. Per farlo è necessario riprendere il filo del discorso su ipotesi meno politiciste e più aderenti alla realtà territoriale e ai temi connaturati alla dimensione metropolitana.

In caso contrario saremo di fronte a un’occasione sprecata e al riprodursi di una situazione nota nel nostro paese che vede il ceto politico utilizzare sistematicamente le argomentazioni della inefficacia di qualsiasi modello istituzionale per giustificare la propria incapacità di decisione e di governo, creando l’ennesimo strumento inefficace, inutile, probabilmente costoso, il cui funzionamento sarà sistematicamente condizionato dalle dinamiche della politica “politicante”.

 

Michele Monte

 



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