23 giugno 2009

EXPO: NON CI METTERANNO A TACERE


Tornando, come d’abitudine, sul tema dell’Expo, credo sia necessario fare due precisazioni distinte: la prima: il BIE è un organismo indipendente e autonomo, i cui introiti derivano principalmente dalle casse degli enti locali o dei governi che dopo aspre battaglie sono riusciti ad ottenere di ospitare la prestigiosa manifestazione. E’ evidente quindi che il BIE, qualsiasi sia la collocazione geografica dell’esposizione, i suoi contenuti o il suo relativo successo, spinge fortemente alla realizzazione di un’Expo purché sia. Inutile quindi cercare nel BIE un interlocutore capace di ascoltare il dissenso, in qualsiasi forma o forza si presenti.

 

La seconda precisazione: dalle pagine di questo magazine non si è mai parlato di chiedere a chi ne ha i poteri, di cancellare definitivamente Milano quale sede dell’Expo. Si chiede semplicemente un Expo diversa. Non siamo, per principio, contro i grattacieli multipiani, contro la “crescita” della città: chiediamo solo che lo sviluppo di Milano sia di tipo qualitativo piuttosto che quantitativo. Vogliamo le metropolitane, il potenziamento e il restauro delle vie d’acqua che hanno caratterizzato storicamente il nostro paesaggio regionale, nuove vie di comunicazione per rendere più agevole gli spostamenti urbani e suburbani. Noi desideriamo tutto questo con forza e convinzione. Non è un segreto per nessuno: nella nostra città, citando solo per esempio il quartiere della Bovisa, esistono spazi enormi, se non immensi, da anni fatiscenti ed abbandonati, dove le forze dell’ordine fanno regolarmente visita per scacciare, temporaneamente, tutti gli “abusivi”, spazi che devono e possono trovare una collocazione fertile e utile nella città storica.

 

Si è spesso parlato della profonda ignoranza (nel senso di “coloro che ignorano”) della classe politica che abbiamo chiamato a governarci. Si è già sottolineato che costoro sembrano non conoscere o ignorare non solo il cuore profondo della nostra città ma anche i grandi avvenimenti che stanno caratterizzando il discorso culturale globale, discorso che verte sul riuso, sul risparmio e sulla lotta all’inquinamento, ne sono consci i cinesi, gli americani, i brasiliani e la lista potrebbe essere quasi infinita. Anche il tema ispiratore della nostra Expo sembrerebbe nei fatti voler proporre tematiche legate alla protezione dell’ambiente, alla eco-compatibilità allo sfruttamento intelligente delle risorse non rinnovabili e via dicendo.

 

Se è vero, come dice il sindaco Moratti, che la scelta della localizzazione l’ha fatta il BIE in ossequio alle proprie norme, fori del tempo, sarebbe stato un bell’esempio nei confronti del mondo che ci guarda denunciare che in una città come Milano gli spazi agricoli, soprattutto nel nord della metropoli, sono diventati un fatto praticamente raro, una – appunto – risorsa non rinnovabile. Era allora che l’amministrazione comunale avrebbe dovuto proporre un’Expo diffusa. Purtroppo il famoso dossier di presentazione è partito alla volta di Parigi, all’oscuro della maggior parte dei cittadini, senza discussioni pubbliche, senza la famosa “partecipazione collettiva”. Pare non ne esista nemmeno una versione in italiano ma quello che è chiaro, in qualunque lingua si parli, è che gli interessi prevalenti erano quelli di Fiera Milano che ha bisogno di puntellare i suoi bilanci e di qualche privato influente.

 

Quello che irrita, soprattutto, è quest’arroganza di Palazzo Marino che non solo rifiuta categoricamente ogni forma di dialogo con i cittadini “dissenzienti”, ma che sembra voler proseguire per la propria strada quasi in segreto, senza mostrare le carte, e non solo metaforicamente, ai cittadini che nel bene o nel male, saranno anche i protagonisti di questo evento.

 

Tutte le ipotesi alternative al progetto originario sono state scartate o irrise, il BIE preme, vuol vedere il master plan e il piano finanziario definitivo. Pare che i cinque architetti della famosa consulta siano al lavoro: prima di mostrare le carte al BIE avremo la fortuna di buttarci un occhio e magari discuterne?

 

Nessuno, tutti impegnati nel vero business che accompagna l’Expo, ossia la realizzazione e l’apertura di nuovi cantieri, oltre al necessario afflusso di danaro, affronta ancora il versante dei contenuti cultuali della manifestazione. La famosa e citata Mongolia, della cui condizione economica sono assolutamente all’oscuro, cosa porterà all’Expò milanese? E tutti i paesi del cosiddetto Terzo Mondo come parteciperanno all’evento? Qui ci troviamo di fronte ad una nuova forma di colonialismo in chiave contemporanea: da un lato i paesi tecnologicamente avanzati mostreranno al pubblico i risultati, spero incoraggianti, delle loro ricerche, mentre gli altri altro non potranno fare altro che stare a guardare, e forse allestire dei banchetti dove assaggiare, con gusto, i prodotti locali. Riusciranno a portare, surgelata, cane di montone a sufficienza, dalle alture della steppa? Scherzi a parte: i grandi progetti di ricerca volti a sfamare il mondo, a ridurre il consumo di energie non rinnovabili, sono finanziati da paesi cosiddetti “a tecnologia avanzata” e sono in genere pensati per risolver i problemi tipici dei paesi in via di sviluppo. Si creerà una situazione in cui alcune nazioni mostreranno i propri prodigi tecnologici, mentre altri staranno soprattutto a guardare, forse con stupore. Questa non è un Expo, questa è una fiera delle meraviglie ad invito.

 

Se la localizzazione a Rho-Pero è uno scoglio insormontabile esiste una strategia adatta a contenerne gli aspetti negativi: non solo pensare da subito al dopo Expo ma dar vita ad un master plan estremamente contenuto. Si può pensar, come si sta facendo, a un’Expo leggera, idea che sembra fare breccia anche nel monolito della società di gestione.

 

Infine: le aree destinate agli spazi espositive. E’ urgente che la città civile e responsabile pretenda con qualsiasi mezzo o manovra che i volumi edificati siano lo stretto indispensabile per onorare gli impegni assunti e che ci sia la garanzia di opere condotte a termine senza dover ricorrere alla perversa strumentazione della decretazione di emergenza che ha sempre generato “mostri” e portato con sé il lezzo della corruzione.

 

Credo che sia giunto il momento di creare una “grossa coalizione trasversale”, fatta di cittadini pronti a difendere la propria terra, di associazioni, tra cui Lega Ambiente, Italia Nostra e l’Ordine geli Architetti. Il fortino dei fautori dell’Expo così com’è nel dossier di presentazione comincia a vacillare. Approfittiamone.

Filippo Beltrami Gadola



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