23 giugno 2009

ATM: PERDONALI MA NON SANNO


L’ultima trovata dei “manager” e consulenti dell’Azienda tranviaria è stata quella di resistere ad una chiamata in giudizio da parte di un elettricista marocchino, con regolare permesso di soggiorno, per “comportamento discriminatorio” (sulla base di un Regio decreto del 1931 nelle amministrazioni pubbliche possono essere assunti solo cittadini italiani, ora anche comunitari in base alle norme Ue) ingavinandosi nella presentazione di una cervellotica memoria nella quale uno degli argomenti più appariscenti è stato quello di dire che “nel trasporto pubblico esiste il pericolo di attentati “! Cosa ha spinto l’Atm a dire questa battuta da bar di via Bellerio senza averne alcuna necessità giuridica (la legge in vigore non è certo equivoca) oltretutto contraddicendo l’esplicita richiesta proprio di Atm di modificare questa legge per permettere l’assunzione di extracomunitari? L’idea di compiacere il premier, che non vuole vedere una Milano “africana”? Mostrarsi in linea con la Lega nella battaglia antislamica di viale Jenner?

Non lo sapremo mai, ma quello che è certo è che la penetrazione del luogo comune e della cultura tribale della curva Nord, più facile nei settori di popolazione di minore cultura e sensibilità, ha trovato nelle semplici menti della dirigenza Atm un terreno molto permeabile.

 

Sulle allegre note del “Così fan tutte” l’Atm si è messa a speculare sui “derivati” vedendo che l'”amministratore del supercondominio” Albertini faceva lo stesso giochetto fino ad allora impedito dagli “statalisti” della sinistra; a dare premi di produzione ai suoi dirigenti al “merito” ignorando la sciocchezza dei bacchettoni che facevano notare come fosse curioso premiare un risultato aziendale determinato dalla misura proporzionale alle perdite dei trasferimenti dal Fondo statale per il trasporto e non da fantomatici brillanti “risultati di gestione”; ad adeguarsi alla cultura dell’anno di gestione, tagliando gli investimenti e scontrandosi con i sindacati, ritenendo le routine di controllo un frutto della “cultura consociativa” delle vecchie giunte riformiste.

 

La cultura del luogo comune elevato a sistema di gestione potrebbe produrre a breve il danno finale: cercando di scopiazzare il metodo Marchionne della “fusione per crescere “, la nostra geniale dirigenza cittadina sta per partorire un informe mostriciattolo dall’unione tra l’Atm di Milano e l’omologa azienda di Torino. Fermandosi come sempre alle prime righe di studi e libri sull’argomento, si sono innamorati dell’idea di avere una Grande Azienda di Trasporti Urbani, con relativa sede, consiglio ed emolumenti, dimenticandosi completamente dell’insignificante dettaglio di individuare e spiegare una logica industriale, le economie di scala, il miglioramento tecnologico e di servizio che potrebbe derivare da questa fusione, non potendosi considerare tali le abbondanti commissioni a consulenti ed advisor di vario genere e numero che come sempre turbinano intorno a queste brillanti operazioni.

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Non c’è nessuna logica nell’unione di aziende che operano su territori diversi, con parco macchine, investimenti, tecnologie diverse, senza alcuna necessità di fare economie di scala sugli acquisti (Atm è già il maggior acquirente italiano dai pochi fornitori sul mercato), senza nessuna possibilità di fare un piano di sviluppo comune, a meno che la confraternita dei costruttori edilizi che governa Milano non riesca ad urbanizzare le risaie di Vercelli entro gli stessi pochi anni impiegati per scegliere la sede di rappresentanza dell’Expo.

 

Il vostro Giano Bifronte è certamente un inguaribile nostalgico, ma tra l’Atm dei “brumisti” un po’ terroni che si ricordavano a memoria i pochi incidenti e rotture dei mezzi e risolveva in due mesi il problema dell’introduzione della “tariffa oraria unica” del tempo dei vecchi democristiani, socialisti e comunisti e l’Atm dopo quindici anni di gestione “privatistica” che ha bisogno di un date base sequenziale per classificare centinaia di malfunzionamenti e non riesce nemmeno ad estendere la tariffa urbana alla fermata della Nuova Fiera di Rho, verso quale parte dovrebbe guardare con simpatia ed orgoglio.

 

Franco D’Alfonso



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