22 gennaio 2014

ATM TRENORD INSIEME? MEGLIO UNA PROGRAMMAZIONE UNICA


L’azienda unica per la gestione di tutti i servizi di trasporto regionali, che siano urbani o extra-urbani, che siano su gomma o su ferro o lacuali è il nuovo oggetto trendy nel dibattito infinito su un settore in crisi permanente da molti anni. In Lombardia ha rilanciato l’idea il governatore Maroni nell’autunno scorso sotto forma di fusione tra l’ATM di Milano e Trenord (la cui proprietà è divisa al 50% tra Regione Lombardia e Trenitalia). Vista l’accoglienza ufficialmente buona e nei fatti tiepida da parte del Comune di Milano (proprietario di ATM), di recente Maroni è tornato alla carica chiedendo non più la fusione ma la creazione di una holding.

02boitani03FBLe motivazioni ufficiali dell’azienda unica regionale è che essa consentirebbe la “razionalizzazione” dei servizi, l’integrazione tariffaria e la realizzazione di economie di scala e di scopo, che verrebbero inevitabilmente perdute qualora venisse mantenuta l’attuale frammentazione proprietaria e gestionale tra aziende diverse. Frammentazione che, peraltro, metterebbe in condizione di svantaggio competitivo le aziende italiane nel mercato europeo dei servizi di trasporto. Si tratta di motivazioni serie, ma che non possono essere accettate senza una discussione altrettanto seria.

Innanzitutto, non credo che l’eliminazione di inutili duplicazioni di servizio tra gomma e ferro (ma anche all’interno della gomma) possa essere realizzata solo mediante l’azienda unica regionale. Le competenze in materia sono delle regioni, in sede di programmazione e di finanziamento dei servizi; quindi la razionalizzazione può essere ottenuta anche in presenza di una molteplicità di gestori. Altrettanto si può dire dell’integrazione tariffaria, in particolare considerando le enormi possibilità aperte dagli sviluppi dell’Information Technology, come le molte esperienze estere e qualche esperienza nazionale hanno dimostrato.

L’esempio della Greater London è forse il più rilevante, sotto questo profilo: Il TfL (Transport for London) è responsabile della programmazione e dell’integrazione tariffaria dei servizi su gomma e su ferro, ma gestisce direttamente solo la metropolitana (la rete più estesa d’Europa). Gli autobus sono gestiti da compagnie private che siano state capaci di aggiudicarsi gare periodiche, linea per linea. Nel corso del tempo, il numero degli operatori si è ridotto e i grandi player nazionali e internazionali detengono ciascuno ampie quote del mercato londinese. Ma il Greater London Council non ha mai neppure provato a costituire un’unica grande azienda “regionale”, né a disegnare un “lotto unico” di servizi.

I grandi operatori sono cresciuti nel mercato, soprattutto fuori di Londra, senza bisogno di un disegno “colbertiano” di politica industriale. Tra parentesi, anche i servizi ferroviari extra-urbani della regione londinese (il Sud-Est dell’Inghilterra) sono gestiti da imprese diverse che abbiano vinto gare. Quindi, non solo non c’è un’impresa unica gomma-ferro, ma non c’è neanche un’unica impresa del ferro. Ma la razionalizzazione e l’integrazione tariffaria (almeno dei servizi dell’area metropolitana) non ne hanno sofferto; anzi il TfL ha ottenuto risultati di qualità impensabile in qualsiasi realtà metropolitana italiana, nonostante il grado di complessità infinitamente maggiore, in ragione delle dimensioni delle reti.

E veniamo alle economie di scala e di produzione congiunta. Naturalmente esse vanno valutate caso per caso. Gli studi empirici condotti nel corso degli anni mostrano come solo le “economie di densità” (riduzione dei costi unitari all’aumentare della produzione nell’ambito della stessa rete) siano effettivamente ottenibili, soprattutto nei servizi urbani. Tuttavia, anche per le economie di densità potrebbe esserci un’inversione della pendenza nella curva dei rendimenti, con una densità ottima massima. Quanto alle “economie di dimensione” (riduzione dei costi unitari all’aumentare della dimensione della rete servita) e a quelle di scopo (riduzione dei costi unitari all’aumentare del livello di produzione grazie alla gestione congiunta di due o più servizi) si può dire che siano presenti solo nel breve periodo e che tendano a svanire nel lungo (1). Le figure seguenti mostrano come i costi orari unitari del trasporto locale su gomma siano crescenti al crescere della dimensione: segno evidente di diseconomie di scala e non di economie di scala.

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Vi sono, inoltre, evidenze convincenti che le megafusioni a freddo tendono a far crescere il costo del lavoro, che si allinea al livello più alto tra quelli delle imprese che si fondono, grazie anche al rafforzamento del potere sindacale susseguente alla fusione (il che, forse, spiega perché i sindacati siano in genere molto favorevoli alle aziende uniche). È dubbio che la formazione di una holding (come recentemente suggerito dal Presidente Maroni per ATM e Trenord) al posto di una fusione faccia molta differenza sotto questo profilo. In un modo o nell’altro, Trenitalia allargherebbe la sua sfera influenza dal ferro alla gomma, dopo aver acquisito (tramite la controllata BusItalia – Sita Nord) l’ATAF di Firenze, aver tentato la scalata a GTT di Torino ed essendo invocata in Liguria per salvare la pericolante AMT di Genova, oltre che vincitore annunciato della gara per l’intero servizio ferroviario dell’Emilia Romagna (in consorzio con la controllata regionale TPER).

Il mio amico Mario Sebastiani, dell’Università di Roma II ha definito questo “il ruolo implicito di supplenza che Trenitalia ha finito per svolgere rispetto alle regioni e (entrando nel trasporto urbano) ai comuni; ruolo improprio che deriva dall’essere un soggetto forte e attrezzato (e capace, alla fine di assicurarsi i finanziamenti pubblici), a fronte invece della poca capacità amministrativa, organizzativa e di coordinamento degli enti territoriali. Comunque la si metta, il ricorso ad affidamenti ingiustificatamente grandi è un’ammissione di fallimento da parte dei concedenti” (2).

Infine, ma non perché sia meno importante, le società uniche regionali (in comproprietà o meno con Trenitalia) e l’affidamento di grandi lotti di servizio intermodali (o addirittura di lotti unici regionali) hanno un ruolo anti-concorrenziale assai marcato. Chi può garantire che le future gare non verranno disegnate in modo che gli unici vincitori possibili siano i nuovi “campioni regionali”? Molti osservatori hanno sostenuto che questo è avvenuto per la già menzionata gara unica per il ferro dell’Emilia Romagna. E se i veri costi della politica fossero gli extra-costi dovuti al dominio di una proprietà pubblica non contendibile e dotata del privilegio/condanna di essere sempre e comunque salvata con i soldi del contribuente? E chi può garantire che la fusione (o la holding) delle aziende lombarde produrrà un’unità industriale vitale o semplicemente un “colosso dai piedi di argilla”, destinato a campare sotto ossigeno per sempre?

Del tutto diverso sarebbe il discorso se la “fusione” riguardasse le funzioni di programmazione, integrazione dei servizi, integrazione tariffaria e gestione delle linee di metropolitana. Se si estendesse, cioè, all’intera regione Lombardia il modello di Transport for London si potrebbe perfino usare lo stesso acronimo inglese: TfL, Transport for Lombardy. Sarebbe una grande sfida alle capacità amministrative e programmatorie della Regione, dei comuni e della costituenda Città Metropolitana e, forse, sarebbe un modo per ottenere la razionalizzazione dei servizi senza dover subire le diseconomie di scala e i danni di un improvvisato colbertismo e di un’improvvida riduzione delle possibilità che una concorrenza seria – nell’ambito di gare ben disegnate e per lotti limitati di servizi – offre anche alla crescita delle dimensioni delle imprese.

 

Andrea Boitani

 

 

(1) Sia consentito il rinvio a Boitani A., Nicolini M., Scarpa C.,”Do Competition and Ownership Matter? Evidence from Local Public Transport in Europe“, Applied Economics, 2013, n. 45, pp. 1419-1434, per un’analisi empirica di tipo cross-country, che esclude l’esistenza di economie di scala anche quando si considerino imprese che producono congiuntamente servizi di superficie e sotterranei.

(2) M. Sebastiani, “Complemenatarietà, concorrenza (e razionalità) intermodale: il ‘caso’ del trasporto ferroviario regionale e delle merci”, Roma, Senato della Repubblica, 14 Gennaio 2014.



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