22 gennaio 2014

“VITA VISSUTA”. UN EX IMPRENDITORE: COSÌ LA CRISI MI HA CAMBIATO LA VITA


“Serve il coraggio di interrompere collegamento tra cuore e cervello e di decidere come se l’impresa di famiglia non fosse tua”. Ecco cosa ha imparato Giuseppe Moretti dalla crisi. Parola che deriva dal greco krìnein, che significa proprio “decidere”. Giuseppe Moretti ha 64 anni, vive nell’hinterland di Milano ed è l’ex titolare di Grafiche Moretti, presso Segrate. L’azienda, fondata da suo nonno nel lontano 1915, si occupava di stampa, comunicazione, pubblicità su carta per le multinazionali. Un’impresa con immobili e macchinari di proprietà e un fatturato di 4-6 milioni di euro. Prima che arrivasse la crisi, a fine 2007. Da qui prende le mosse la nostra conversazione.

04magri03FBQuando ha avvertito i primi segni della crisi? Tra fine 2007 e inizio 2008 abbiamo subìto un calo di fatturato e l’inaspettata entrata dei broker internazionali nel mercato della stampa. Le multinazionali hanno così deciso di ottimizzare gli acquisti passando attraverso i broker, che sceglievano loro le imprese cui affidare il lavoro. Abbiamo quindi perso i nostri primi cinque clienti, che oltre a costituire il 40 per cento del fatturato, erano solvibili. Abbiamo cercato di acquisirne di nuovi con offerte particolarmente vantaggiose, che però riducevano i nostri margini. Comunque, abbiamo rimpiazzato solo in minima parte i clienti persi. Un amico consulente mi disse che ci conveniva convertirsi in broker, vendendo azienda e macchinari. Ma non ne ho avuto il coraggio, e ho immesso capitale per coprire le perdite.

Quando si è reso conto che non c’era più niente da fare? Il 2010 è stato l’annus horribilis, finché all’inizio del 2011 abbiamo ipotizzato un concordato preventivo per permetterci un passo successivo che mi sembrava la migliore via d’uscita per dipendenti e fornitori, nonostante l’enorme dispiacere di vedere terminare l’attività di famiglia alla vigilia del traguardo dei 100 anni. Avevo infatti pensato che potevo cedere l’azienda o fare sinergia.

E cosa ha scelto? Abbiamo trovato un accordo per unirci a un’azienda milanese storica come la nostra, ma un po’ più grande: come se Tim si fondesse con Vodafone. Nonostante fosse un concorrente, lo consideravo come un collega. Abbiamo impiegato un anno per elaborare l’accordo: le due aziende si sarebbero fuse con l’affitto di un ramo d’azienda, cambio di ragione sociale e di nome, risultato dell’unione dei nomi dei proprietari. Dopo otto mesi, di punto in bianco, il titolare del pacchetto di maggioranza ha deciso che non credeva più nell’azienda, nonostante il raggiungimento degli obiettivi di aumento del fatturato e contenimento dei costi da parte nostra. A fine luglio 2012 ha lasciato senza lavoro 60 persone tra i miei e i suoi dipendenti, i miei figli e il sottoscritto.

Che ne è stato della sua impresa? È stata chiusa con concordato preventivo. L’immobile in vendita per pagare creditori. Ci è stato offerto un terzo del suo valore.

Che ruolo ha avuto il credit crunch (la chiusura dei rubinetti del credito da parte delle banche, ndr) nella fine della sua impresa? Fino al 2005 le banche ci offrivano fidi senza garanzie per 500 mila euro, anche se non ci servivano. Quando nel 2008 ho chiesto il rinnovo per 5 anni di un finanziamento per cui avevamo sempre pagato gli interessi, ci furono poste queste tre condizioni: ipoteca di primo grado sull’immobile; immissione del 30 per cento di capitale rinnovato da parte della proprietà oltre a quanto già immesso negli ultimi anni; possibilità solamente di aprire un conto su cui mettere le fatture da pagare. Gli ho risposto che si erano dimenticati di … chiedere le chiavi di casa e mia moglie e gli ho chiuso la porta in faccia.

Quali sono stati gli effetti della crisi sugli imprenditori, oltre a quelli economici? Il presidente dell’Associazione San Giuseppe imprenditore di cui faccio parte, Lorenzo Orsenigo, ha dei conoscenti imprenditori che si sono suicidati e tuttora cerca di dissuadere un amico. Io ho sofferto di stati d’ansia. Senza la mia famiglia, non so cosa avrei fatto.

Com’è la sua vita, ora? Mi sono fatto una ragione di quello che è successo e mi reputo fortunato per aver avuto per 40 anni un lavoro che mi piaceva e grandi soddisfazioni in famiglia. Prima lavoravo da mattina a sera. Ora ho quasi repulsione per il lavoro che ho svolto e per abiti e cravatte che per lavoro ho indossato per anni. Ma non mi annoio: faccio il nonno, sto a fianco di mia moglie, recito a teatro, seguo corsi di informatica e fotografia, gioco qualche volta di più a golf. E sono anche volontario per la Croce Bianca e l’Associazione San Giuseppe imprenditore.

Qual è il suo ruolo nell’associazione? L’Associazione San Giuseppe imprenditore è stata fondata il 30 novembre 2012 da Lorenzo Orsenigo, un ex imprenditore di 72 anni, un vero vulcano di idee. Mi sono avvicinato all’associazione per curiosità, poi ho aderito come volontario. Sono uno degli alfieri: uno dei collaboratori più stretti per espandere l’associazione, precisamente attorno al Naviglio Martesana.

Quali sono gli obiettivi dell’associazione? Non quello di dare agli imprenditori supporto economico: sarebbe una lotta improba. Vogliamo dare loro conforto morale, anche perché non tutti hanno una famiglia che sta loro accanto (e chi ce l’ha, non è detto che la metta al corrente della chiusura della sua impresa: c’è chi finge di andare a lavorare in un’impresa che non c’è più). L’associazione permette agli imprenditori di confrontarsi e fermarli prima che si affidino agli usurai per salvare la loro azienda. Vogliamo anche far da tramite con istituzioni che possono aiutarli, come commercialisti e psicologi. Infine, vogliamo riabilitare l’immagine dell’imprenditore, rovinata dalla crisi. Come dice il nostro presidente, noi paghiamo le mascalzonate di alcuni imprenditori che ci rovinano la reputazione.

 

 

Valentina Magri

 



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