22 gennaio 2014

ABBARBICARSI A UN ALBERO E NEGARE TUTTO IL RESTO?


La polemica del taglio degli ailanti lungo il Naviglio ripropone un problema di sempre. La distanza dalla natura, che è caratteristica riconosciuta del vivere in ambito urbano, provoca fenomeni bizzarri, paradossali. Tutti o quasi sentiamo il desiderio di ripristinare il rapporto interrotto con piante e animali e quasi sempre riconosciamo il rapporto di dipendenza che, nonostante tutto, ci lega a essi, ma il nostro modo di pensare e di agire è quasi sempre in contrasto con questa esigenza. Non parliamo, si badi, dell’ineluttabile pressione che operiamo sul mondo vivente per il solo fatto che lo abitiamo e che siamo parte di una civiltà che poco o nessun rispetto ha dei cicli biologici. A volte i danni gravi li concepiamo e attuiamo mossi da buone intenzioni. Ad esempio quando si difende la presenza o addirittura si incentiva la diffusione sul nostro territorio di piante alloctone, cioè estranee alla nostra flora.

10rainini03FBCome spesso capita, sbagliamo perché assumiamo un modello falso della realtà. Facciamo l’esempio degli alberi. Nella nostra testa è invalsa l’equazione che un albero, qualsiasi albero, è sempre meglio di nulla, il che può anche essere vero in una piazzola autostradale, ma in generale occorre fare un passo avanti e considerare che esistono piante utili e necessarie per il nostro ambiente e piante invasive, le quali a volte impediscono alle prime di crescere e svilupparsi.

Non bisogna essere stati in Amazzonia per sapere che ambienti diversi comportano una diversa vegetazione (che sostiene a sua volta una fauna che le è peculiare): le idee basilari dell’ecologia sono insegnate fin dalla prima media e del significato di biodiversità son piene le gazzette, ma – maledizione – quando si passa dalla proverbiale Amazzonia alla nostra realtà di tutti i giorni tutte le nozioni scompaiono dalla mente.

Se vi è un po’ di curiosità zoologica che si concretizza in un elevato numero di Associazioni animaliste che in vari modi si occupano dell’educazione collettiva e della cura degli animali sinantropi, una cupa ignoranza regna riguardo alla convivenza con le presenze vegetali, da cui pure in misura non trascurabile dipendono le condizioni di vita e salute di chi abita Milano o qualsiasi altra città.

Il punto è che uno degli impatti più pesanti che esercitiamo sul pianeta è di far scomparire tutte le specie caratteristiche e peculiari presenti nei vari ambienti per sostituirle con una flora (e una fauna) ridotta e indifferenziata, presente ovunque e costituita da poche specie con esigenze simili a quelle che possono fornire gli ambienti degradati che abbiamo costruito.

Il fenomeno non è privo di implicazioni negative: la scomparsa di elementi di vegetazione locale nelle aree antropizzate provoca la perdita di popolazioni e di specie su scala più ampia, con conseguenze che non riguardano soltanto il nostro dovere etico di preservare le forme di vita con cui condividiamo il pianeta, ma anche la nostra sopravvivenza. È stato recentemente riconosciuto (morbo di Lyme, Hendra virus) l’effetto nefasto che può avere la riduzione della biodiversità e la diffusione di flora e fauna banale sulla nostra salute.

Peccato che le alterazioni che apportiamo alla flora e alla vegetazione del luogo dove viviamo non siano percepite e tanto meno valutate nella loro gravità. Il motivo?

Occorrerebbe avere qualche nozione di Botanica, invece la Botanica è considerata dai più un passatempo per anime belle. Non vi è coscienza che la Botanica è parte della Cultura scientifica e quindi della Cultura tout court. Se riconosciamo la Cultura come insieme degli elementi materiali e simbolici che costituiscono il modo con cui una società rappresenta la realtà e la affronta e se siamo consapevoli della gravissima crisi ambientale che attraversiamo, resa drammatica a Milano dal suo clima e dalla storia del suo sviluppo, dobbiamo concludere che ci manca un elemento collettivo fondamentale del nostro bagaglio culturale per far fronte alla situazione progressivamente avversa.

I sintomi di questo limite sono numerosi ed evidenti in tutto il corpo sociale: emergono come sottovalutazione e banalizzazione degli elementi vegetazionali nei progetti di realizzazione di nuove aree verdi, in cui ai manufatti e agli arredi sono attribuiti importanza e valore maggiori rispetto alle piante. Non a caso la scelta delle specie è lasciata in secondo piano e non compare in modo analitico nei progetti offerti alla cittadinanza. Succede pertanto che spesso passino scelte discutibili sotto l’aspetto della congruità vegetazionale.

Ne consegue che i cittadini di Milano, generalmente ignari e passivi rispetto allo scempio del territorio perpetrato nelle aree esterne alla metropoli e di fronte alla distruzione di quanto resta di alcuni ambienti naturali e al definitivo annientamento degli agroecosistemi storici della Lombardia, si emozionano invece per pratiche di manutenzione e controllo della vegetazione alloctona infestante, necessarie e sacrosante, confondendo diversi piani di approccio al rapporto fra umani e con altri viventi, al punto di rivendicare (come si evince da lettere arrivate al Corriere) un diritto all’accoglienza da parte delle piante alloctone o lo jus soli per le piante genericamente “spontanee”.

Approcci così poco fondati su basi razionali sono anche un grave ostacolo alla crescita della cultura politica dei cittadini e lasciano spazio alla demagogia, figlia primogenita della mancanza di partecipazione e cultura.

È ovvio che la nostra specie per sopravvivere debba rimodellare l’ambiente e operare ineluttabilmente una trasformazione della vegetazione, ma è altrettanto ovvio che, a fronte della drammatica perdita di biodiversità naturale che provochiamo, spesso inconsapevolmente, tutti i nostri sforzi debbano essere orientati a conservarla, il che comporta necessariamente anche l’eliminazione della vegetazione alloctona invasiva. In tutto il mondo questa consapevolezza si è diffusa dalla comunità scientifica alle istituzioni e a tutta la società ed è patrimonio culturale condiviso. Qui no!

 

Franco Rainini



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