22 gennaio 2014

musica – ABBADO E SCHIFF


musica03FBÈ difficile mandare “in stampa” questa rubrica, senza dire una parola dolente sulla scomparsa di Claudio Abbado. Il fatto che non ci sia più cambierà il panorama musicale nel mondo intero, modificherà gli schemi che abbiamo elaborato sui temi centrali dell’interpretazione musicale, dell’etica di un mestiere fra i più difficili, della capacità di dedicare l’intera propria vita a ricercare la perfezione e ad approfondire il significato della musica “alta”. Claudio (voleva essere chiamato così da tutti) è stato una spanna sopra gli altri direttori della sua generazione, così come lo fu Arturo Benedetti Michelangeli per il pianoforte. Credo che qualsiasi musicista o musicofilo da oggi si senta triste e che ci vorrà del tempo per elaborare un lutto così profondo.

P.V.

FERMENTO BEETHOVENIANO

A Milano vi è in questo periodo una sorta di fermento beethoveniano, come se ci fosse un anniversario da celebrare. Mentre il Corriere della Sera sta vendendo “a rate” un cofanetto con tutte le Sonate e i concerti per pianoforte e orchestra eseguiti da Barenboim (una serie incisa negli anni sessanta, un’epoca felice in cui il direttore non ancora “scaligero” si concentrava solo sul suo strumento, non era distratto da troppi prestigiosi incarichi e non si sdoppiava fra podio e pianoforte), le Sinfonie compaiono in molti programmi di sala (come la ormai canonica Nona di Capodanno all’Auditorium) e si sta concludendo il ciclo delle Sonate pianistiche che Andras Schiff esegue al Conservatorio per la Società del Quartetto.

Martedì scorso vi è stato il penultimo concerto di questa importante “integrale”, con l’esecuzione delle Sonate opere 90, 101 e 106 (o, se si vuole, 27a, 28a e 29a delle 32 che costituiscono l’intero ciclo), in cui Schiff ha dato il meglio di sé, ritrovando uno smalto e una passione che nelle ultime prove stentavamo a riconoscergli.

Queste tre Sonate sono fra le pagine più interessanti di Beethoven e chiunque ami il grande tedesco (che – come si sa – gli austriaci tendono a spacciare come compatriota nello stesso modo in cui cercano di far credere che Hitler fosse tedesco!) trova in esse la vera chiave interpretativa dell’ultimo e travagliato pezzo della sua esistenza e della sua produzione. Con esse Beethoven spezza le regole della Sonata classica, che gli erano state consegnate da Haydn e da Mozart, e apre la via sia alle rivoluzionarie ultime tre (le opere 109, 110 e 111) ma soprattutto agli ultimi 7 Quartetti (dall’opera 127 alla 137) che, con quelle, si pongono a conclusione della sua intera monumentale costruzione.

In queste tre Sonate la musica si rarefa, diventa concettuale, si trasforma in una astrazione tutta mentale che sostituisce il piacere dell’ascolto e il rigore stilistico con la ricerca di nuove strade per comunicare la profondità di un pensiero libero dagli schemi della classicità. Più interessanti che “belle”, dunque, obbligano l’ascoltatore – e ovviamente ancor più l’interprete – a una costante e rigorosa concentrazione per non perderne il filo e il senso, ma lo premiano con rivelazioni che quasi scolorano le più celebri, godibili, melodiche Sonate precedenti. Soprattutto con l’opera 106, la grandiosa e complicatissima “Hammeklavier” (solo per questa Beethoven adotta l’inusitato termine tedesco che abbandonerà subito, con la successiva 109, tornando al tradizionale titolo italiano di “Sonata per pianoforte”) scrive un’opera immensa per i contenuti, per la lunghezza, per la difficoltà, per l’inafferrabilità, ma anche per la capacità di catturare l’attenzione dell’ascoltatore senza consentirgli un attimo di tregua e di distrazione.

Schiff sembrava più sciolto del solito, come se si fosse liberato dall’ineluttabile tensione del confronto e non si sentisse impegnato a dare una interpretazione personale e un contributo nuovo alla lettura della pagina scritta; era persino appassionato, la sua personale e nota cerebralità era in perfetta simbiosi con quella che Beethoven esprime in queste opere. Se è vero ciò che ho capito di lui, il concerto del 4 marzo – in cui affronterà il massimo impegno delle ultime tre Sonate – segnerà una svolta importante nella complessa e magnifica storia della loro interpretazione.

Molto generosamente Schiff ha offerto come bis la bellissima, successiva trentesima Sonata che ripeterà ovviamente all’inizio del prossimo e ultimo concerto della serie; dico generosamente perché credo che pochi pianisti siano capaci, come ha fatto lui, di eseguire la non breve opera 109 dopo l’enorme impegno della Hammerklavier; ma soprattutto intelligentemente perché l’opera 109 rappresenta una sorta di risultato diretto e logico della ricerca condotta attraverso le tre precedenti Sonate (in particolare la 106), aiuta a comprenderne la logica, il sentiero tracciato, quel difficile percorso verso la modernità e verso il pianismo che seguirà, pochi anni dopo, con Liszt. L'”Andante molto cantabile ed espressivo” è una delle pagine più mirabili e indimenticabili della letteratura pianistica, segna la conquista di una nuova libertà espressiva, dovuta proprio al travaglio di quelle tre Sonate “concettuali”.

Ha fatto invece molto male il pubblico del Quartetto a chiedere un secondo bis: cosa si può suonare dopo quasi due ore di Beethoven e dopo tanta fatica? Il povero Schiff, esausto, si è rifugiato nelle breve e poetica “Aria” delle Variazioni Goldberg che inevitabilmente – e vorrei vedere come avrebbe potuto essere diversamente – aveva un colore tutto beethoveniano!

 

 

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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