15 gennaio 2014

PIETÀ RONDANINI O DELL’INTANGIBILITÀ DI UN RAPPORTO


Il progetto di spostare la Pietà Rondanini di Michelangelo Buonarroti dalla sua sede attuale e di trasferirla in un’altra sala del Castello Sforzesco risale a una proposta dell’allora Assessore Stefano Boeri. Sostituito l’Assessore Boeri e subentrato l’Assessore Dal Corno si sperava che il progetto venisse accantonato per sempre. Purtroppo anche l’attuale Assessore, con il consenso del Soprintendente architetto Artioli, non intende rinunciare alla rimozione della celebre statua.

03gardella02FBL’operazione va giudicata non soltanto inutile, ingiustificata e irresponsabile perché altamente costosa in un momento di grave crisi economica, ma anche pesantemente lesiva della storia e della cultura di Milano.

Le ragioni di tale severo giudizio sono le seguenti:

a) La statua fa parte di un allestimento museale che venne concepito come un insieme coordinato di varie opere tra loro strettamente relazionate; e venne studiato come una successione di vari ambienti disposti in una progressiva sequenza attentamente calcolata. Per questi motivi l’allestimento progettato dai noti architetti milanesi dello studio B.B.P.R. fu subito oggetto di interesse e di apprezzamenti elogiativi in campo nazionale e internazionale. Modificare l’allestimento significa ignorare l’approvazione generale espressa dalla critica architettonica sia di allora che di oggi.

b) La Statua della Pietà rappresenta l’atto finale del percorso di visita del Museo e funge da aulica conclusione delle sale che la precedono. Rimuoverla significa annullare la razionale successione delle opere lungo il percorso e togliere all’intero itinerario il suo momento finale culminante con il capolavoro di Michelangelo. Significa, in sostanza, decontestualizzare l’opera, cioè distoglierla dal contesto museale per il quale essa è stata studiata e del quale costituisce il logico e trionfale punto di arrivo. Se collocata in altra sede l’opera viene a perdere la integrazione con tutto il patrimonio museale che la precede e accompagna; mentre quel patrimonio, a sua volta, viene privato della conclusione finale che lo valorizza.

c) Va riconosciuto allo studio B.B.P.R. il merito di avere introdotto con questo loro allestimento museale una ammirevole innovazione. L’innovazione consiste nel sostituire al vecchio concetto di contemplazione il nuovo concetto di compartecipazione. Nei precedenti musei ottocenteschi l’opera d’arte veniva contemplata dal pubblico dei visitatori; nel Museo del Castello l’opera e il pubblico compartecipano insieme a una reciproca avventura esplorativa e conoscitiva. L’opera perde il suo passivo ruolo di oggetto esposto agli occhi del pubblico e assume un ruolo attivo di protagonista che stimola, incuriosisce, cattura l’attenzione del pubblico.

Questa nuova prerogativa assegnata alle opere ha modificato i criteri progettuali dei musei: non si avranno più allestimenti concepiti secondo regole convenzionali pedanti e scontate, in ragione delle quali le opere di minore importanza venivano allineate lungo i lati e le opere di maggiore rilievo venivano poste nel centro delle sale; non si avranno più collocazioni assiali e simmetriche; non più disposizioni gerarchiche rigide e codificante. Il nuovo Museo, così come è stato inventato dallo studio B.B.P.R., fa di ogni opera un personaggio vivente; e mette ogni opera in rapporto diretto e vitale con il visitatore. Per ottenere questo effetto di compartecipazione – abbandonati i vecchi criteri espositivi – le opere vengono messe nei punti e nelle posizioni più adatte a farle risaltare nella loro nuova qualità di personaggi animati, nella loro nuova vocazione di protagonisti dello spazio museale.

d) Sono questi i criteri con cui è stata progettata la collocazione della Pietà Rondinini. In un allestimento tradizionale la Pietà sarebbe stata collocata in posizione di immediato rilievo, davanti alla parete più in vista di una fra le sale principali, al centro di un ambiente di grande prestigio, sul fondo di una fuga prospettica che rendesse la scultura imponente e maestosa.

Il criterio adottato è stato esattamente l’opposto. La Pietà non si scorge da lontano; non si presenta alle estremità di un lungo asse prospettico; non occupa trionfalmente il centro di una sala; al contrario essa in un primo momento non compare, non si vede, non si percepisce; e solo in un secondo tempo, arrivati al termine delle rampe di discesa che la avvolgono lateralmente, essa appare di colpo, si presenta all’improvviso, si manifesta inaspettata in una veduta non frontale ma di scorcio, per effetto della quale sembra invitare il visitatore ad avanzare, ad aggirarla, a venirle di fronte per essere vista nella sua completezza. La statua, da immobile figura di marmo, come sarebbe stata in un allestimento accademico del secolo XIX, diventa un attore animato, una persona attiva, un personaggio vivace e intraprendente che instaura con il visitatore un rapporto personale, diretto e intenso: ne attira l’attenzione, lo invita ad avanzare, lo attrae verso di sé. È mai possibile che un progetto museale così accurato e approfondito venga barbaramente distrutto?

Le persone di buon senso fanno appello alla sensibilità e alla cultura degli Amministratori e delle Autorità competenti affinché siano consapevoli della minaccia che incombe non solo sul gruppo scultoreo ma anche sul mirabile allestimento che ha saputo valorizzarlo in modo tanto geniale.

I sostenitori della rimozione della scultura e del suo trasferimento in altra sede si dividono in due categorie:

a) Quelli che fanno appello ad astratti principi generali e invocano processi alle intenzioni a danno di terzi non personalmente specificati.

b) Quelli che valutano criticamente il caso singolo, esaminano i fatti concreti e giudicano l’opera in sé, nel suo intrinseco significato estetico.

I primi biasimano gli architetti contrari allo spostamento della statua e li accusano di bigotto conservatorismo, di miope ostilità a ogni innovazione. Li giudicano gretti difensori delle loro opere, incapaci di adattarle al mutare dei tempi, ottusamente convinti che niente possa essere preferibile ai loro progetti e quindi persuasi che non vi sia nessuna ragione per sostituirli con nuove. I secondi sostengono, con coraggiosa franchezza, che l’allestimento degli architetti B.B.P.R. non è felice; non è convincente; non merita di essere lodato. E, come tale, non vi è nessuna ragione per difenderlo, tutelarlo, conservarlo così come è.

a) A quanti sostengono la necessità di rimuovere la statua e basano la loro opinione su affermazioni generiche si può rispondere che se da un lato esistono architetti eccessivamente conservatori, dall’altro vi sono direttori di Musei irresponsabili e avventatamente innovatori. Gli architetti sbagliano quando si ostinano a imbalsamare allestimenti divenuti anacronistici e inattuali, ma i direttori, a loro volta, creano guasti irrimediabili quando si avventurano in cambiamenti rivoluzionari privi reale necessità, molte volte non felici, sempre notevolmente costosi.

Il torto di chi sostiene lo spostamento della statua basandola su opinione su astratti principi generali e riferendola a opinabili processi alle intenzioni sta nell’allontanarsi dal problema specifico e nell’indulgere ad affermazioni non verificabili né dimostrabili. Ne consegue che l’oggetto della discussione, il nocciolo del problema, si affievolisce e scompare: rimane sul posto l’affermazione di un parere enunciato ma non comprovato. Si gettano anatemi su quanti non vogliono modificare l’esistente; si innalzano lodi a quanti sono pronti a trasformazioni radicali; ma nel caso specifico della Pietà Rondanini, non si spiegano i motivi per i quali la Pietà debba essere rimossa, non si dimostrano le ragioni per cui quella rimozione è indispensabile e non dilazionabile. A una affermazione di carattere generale non si può sacrificare un caso particolare senza averlo prima ben esaminato nei suoi vari e complessi risvolti.

b) A quanti sostengono la necessità di rimuovere la statua basando la loro convinzione su analisi concrete e puntuali si può rispondere che, se da un lato l’allestimento degli architetti B.B.P.R. presenta delle debolezze, queste tuttavia non sono tali da giustificare la violenza e la brutalità di una rimozione radicale. Occorre riconoscere, è vero, che nell’allestimento della Pietà esistono e si avvertono alcuni eccessi decorativi: lo schermo che circonda la statua e le fa da sfondo trionfale non è la soluzione migliore per valorizzare il capolavoro di Michelangelo. I grossi conci di Pietra Serena disposti a maglia allargata, da cui lo schermo è composto, hanno una tale evidenza plastica da diventare il centro dell’attenzione e distogliere dall’interesse che merita a statua. La cornice, lo sfondo, il contorno diventano più visibili di quanto non lo sia l’opera esposta.

Ci si domanda tuttavia se sia lecito compromettere il geniale disegno che regge l’intero Museo, per una mancanza secondaria imputabile a una sola parte dell’insieme. Anche nel Duomo di Milano esiste una parte importante – la facciata – meno riuscita di quanto non lo siano le altre; e in particolare certamente meno felice della maestosa parte absidale illuminata da gigantesche vetrate; ma chi si sognerebbe di rimuovere la facciata, demolirla, sostituirla con una nuova, solo perché non è all’altezza delle porzioni più antiche e più genuine della costruzione?

Esiste una unità delle opere che va salvaguardata; ciò significa accettarne anche le leggere imperfezioni, i particolari meno riusciti, i piccoli difetti; sapendo che i punti deboli scompaiono di fronte alla complessa unità dell’insieme, soprattutto quando l’insieme riguarda un capolavoro come la Pietà o come il Duomo.

 

Jacopo Gardella

 



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