15 gennaio 2014

MARAN: SAPESSI COME È STRANO TROVARSI D’ACCORDO CON DE CORATO A MILANO


La Giunta ha deliberato su proposta dell’assessore Maran: sì alle stazioni – o alle intere linee – delle metropolitane sponsorizzate, “mediante l’affiancamento di nome / logo / marchio dello sponsor alla denominazione”. Come già a Madrid la fermata più centrale Puerta del Sol si chiama “Vodafone Sol” e a Roma troviamo “Termini Vodafone”, a Milano potremmo rischiare di scendere a “Duomo Coop”.

05_mattace02FBRiccardo De Corato chiosa così: “Noto con piacere che la sinistra cambia idea. Quelli che qualche anno fa mi contestavano perché facevamo le sponsorizzazioni delle aiuole o dei di monumenti cittadini, adesso pensano di offrire agli sponsor addirittura le stazioni della metropolitana. Io non mi scandalizzo se si va a chiedere aiuto ai privati: ma una cosa è sponsorizzare una aiuola o ristrutturare un monumento. Bisogna darsi un limite perché la fermata di metropolitana è un riferimento per i cittadini e marchiarla con il nome di un’azienda, per quanto prestigiosa, mi pare davvero troppo”. Forse solo io ho fatto un balzo sulla sedia, anzi due: il primo a sentire la proposta, il secondo nel trovarmi concorde con De Corato.

Si è vero, ci siamo “assuefatti” allo sponsor: ormai è “normale” che la stagione della Scala sia “targata” così come il campionato di calcio di serie A, le impalcature delle case in ristrutturazione, persino la facciata del Duomo. Lo spazio pubblico ormai è disegnato dagli operatori di comunicazione esterna, i concessionari out of home, i vari Clear Channel o IGPDeacux che vendono il servizio di bike sharing o le pensiline delle fermate: autobus e tram completamente rivestiti, neanche il muso alle volte è lasciato fuori, anche il corrimano della scala mobile. Non abbiamo battuto ciglio, o meglio non lo battiamo più.

Lo sponsor dell’aiuola almeno manutiene il verde, quello del monumento lo sta restaurando: il fine giustifica i mezzi, con buona pace del bene comune. Le (poche) reazioni a caldo in rete, sui forum dei quotidiani o sulle piattaforme di partecipazione, non condannano: si alla pubblicità se fa diminuire i prezzi, o meglio se l’obiettivo è finalizzato (reintrodurre il biglietto natalizio o un mese di abbonamento gratis agli anziani …).

L’obiezione di fondo di chi osteggia la proposta è ben sintetizzata da Bruno Alessandro Bertini, che su PartecipaMi scrive: “In metropolitana sono arrivate le pubblicità nelle carrozze, quelle sulle banchine, interi treni camuffati da dentifricio o caramelle, pericolosi cartoncini appesi un po’ ovunque a svolazzare, pubblicità sui finestrini, videoproiettori e televisori con diffusione sonora, ora arriverà la sponsorizzazione della fermata … Dovrebbero pagarci per usare la metro visto quello che, in teoria, gli facciamo guadagnare. Invece guarda a caso il costo del biglietto cresce sempre di più. Poi se è vero che la pubblicità è in grado di modificare anche in minima parte il mio pensiero, posso chiedere di non essere obbligato a vederla? Per la TV si dice che basta spegnerla e poi è gratis, la metro invece io la devo usare per forza e la pago anche … perché mi dovrò sforzare di trovare le indicazioni mischiate a qualche marchio Briccone?”.

Ma forse la cosa più insidiosa non è tanto la vestizione di una fermata o di una linea con un unico marchio o prodotto, Atm la stava già sperimentando: l’inverno scorso Fastweb ha trasformato per un giorno Moscova in Shibuya – Tokyo, un allestimento temporaneo che ha fatto diventare i viaggiatori i divertiti protagonisti di una sorta di flash mob, all’insegna dell’immagina puoi.

Il nodo è proprio il “naming”, come tecnicamente viene chiamata l’operazione proposta. Sembra quasi che ci si dimentichi quanto il nominare i luoghi crei appartenenza e che uno dei fili dello scontro ideologico corra sul crinale della toponomastica. La battaglia tra i sostenitori di Sandra e Raimondo o Franca Rame per la titolazione del Parco Adriano è cronaca attuale. Uno sponsor non vale l’altro e anche se Carlo Monguzzi ci rassicura che saranno “adeguati all’immagine della nostra città, del nostro servizio pubblico ed eticamente ineccepibili” non lo siamo abbastanza perché i criteri di selezione nella delibera non sono esplicitati ma rimandati alla valutazione della Giunta, giunte che sicuramente cambiano più velocemente dei nomi: l’inerzia è tale che forse non ci si è neanche accorti che in metrò Cadorna è ancora FN e Centrale e Porta Garibaldi FS: siamo a tre società fa … .

Ma soprattutto a quanto vendiamo (o quanto ci costa?) la rinuncia a dei riferimenti condivisi? Non ci si può trincerare dietro a “i costi per il cambio delle mappe sono a carico dello sponsor”: ma davvero dobbiamo subire tutto questo in nome di mancati trasferimenti centrali per garantire i servizi di trasporto pubblico?

Quando affronteremo il nodo di un trasporto pubblico sussidiato che non sta in piedi, come Marco Ponti su queste colonne, e non solo, non si stanca di ripetere? “Ovviamente il tutto è colpa dello Stato patrigno che ha tagliato i sussidi! L’alternativa vera non è nemmeno nominabile, e si chiama fare gare serie, con lotti piccoli, tali da attirare molti concorrenti, come insegnano le migliori esperienze estere.” Quando il momento di guardare più da vicino il rapporto tra Comune e Atm? “Il Comune di Milano si prende 25 milioni di “profitti” (erano 55) dalla “virtuosa” ATM, cui dà ogni anno 350 milioni di euro netti. Ma vogliamo scherzare? E far credere a quei fessi dei cittadini che ATM fa profitti?!? (assicuro che moltissimi milanesi ci credono davvero …).”

La posta in gioco è questa: “La cittadinanza è l’invenzione più interessante dell’Occidente: essa ha degli uomini un’idea altissima, dal momento che chiede loro di saper governare se stessi, sottraendosi a due opposte derive, quella del totalitarismo, che ne fa dei sudditi, e quella del mercato, che ne fa dei clienti. A queste due forme di eterodirezione essa contrappone la via di una comunità costruita a partire dalla libertà, un equilibrio delicato e prezioso tra diritti e doveri, attenzione e passione, emozioni e progetti, ambizioni private e pubbliche virtù.” (1)

Vorremmo rimanere cittadini, non clienti.

 

Giulia Mattace Raso

 

(1) Franco Cassano, Homo Civicus, Edizioni Dedalo, 2004



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti