8 gennaio 2014

NOI, L’EURO E LA GUERRA DEI BOTTONI


L’annuale convegno organizzato dalla Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa e dall’Università Cattolica in dicembre ha offerto anche importanti spunti di riflessione. Due in particolare, nell’immediatezza del dibattito. La stanza dei bottoni esiste, pur negandone Craxi premier l’esistenza nel tentativo inutile di non pagare dazio. Chi ne esce cerca di tornarvi anche rinunciando a alternative migliori per lui e per noi. I bottoni sono soldi e facoltà di (non) decidere, (non) regolare, (non) legiferare. Passione quasi esclusiva i soldi, dopo il nostro ingresso nell’area euro.

L’uscita dalla quale ci restituirebbe però sovranità, anche di farci del male. Saremmo comunque noi i responsabili. Cornuti, mazziati e contenti: c’è a chi piace.

07gario01fbDue visioni, opposte sulla questione euro, concordi sulle nostre responsabilità. La più importante, e misconosciuta, è riconoscere che l’euro sta facendo il suo lavoro, ma noi non il nostro. L’euro ci conduce e costringe a convergere su standard pubblici di Stati più solidi, in particolare portando ai loro livelli, già scarsi, i nostri standard africani di corruzione e evasione/elusione/privilegio fiscale. Ma all’euro si imputa di non averci costretti a farlo prima. Caso di scuola è il furto legalizzato dell’immediato raddoppio da mille lire a un euro dell’imposta di bollo, starter del raddoppio dei prezzi da parte di molti impuniti, che magari hanno poi chiuso i battenti e maledicono un fisco che pure li risparmia, e sempre più spreme una platea sempre più ridotta di contribuenti coatti o volontari.

Versato il lucro crescente dell’euro in tasca ai privilegiati nella stanza dei bottoni e in anticamera, ora rifiutiamo di affrontare il danno (ri)emergente, invece di fare del nostro meglio per riavere peso contrattuale nelle politiche europee dell’occupazione, limitando un rigore eccessivo, motivato dall’avere noi buttato gli anni di vacche grasse in porcate come la legge elettorale di papà Calderoli.

La guerra (della stanza) dei bottoni è tra chi ci è stato, c’è o vorrebbe esserci, magari per poco, incluso chi la fiuta ma, come i *****, non capisce dove sta e in parlamento fa sit-in, dimostra e arraffa gli ultimi arnesi politici rimasti a noi cittadini semplici, ai quali la corte costituzionale vuole ridare il diritto di voto.

C’è una forte continuità tra cosiddetti vecchio e nuovo, nella seconda repubblica brutta copia della prima. Svanita l’indignazione pubblica che ne segnò la fine, i nostri standard di corruzione e di criminalità fiscale sono molto peggiorati. Sul Corriere della Sera (a p. 11, 3 dicembre) Enrico Marro pubblica i dati Irpef 2012: il 51,7% del gettito viene dal 10% dei contribuenti, una piccola minoranza di elettori che versa 78,7 miliardi “mentre gli evasori continuano a sottrarre all’erario 120 miliardi di euro l’anno”. La nostra è una democrazia di evasori, elusori, condonati, esonerati fiscali, e si vede.

Si vede nella trovata elettorale, di grande successo, di abolire l’imposizione sulla prima casa – unico Stato al mondo. Se vi tolgono un’imposta, anche se potete pagarla senza problemi, abbozzate e entrate a fare parte degli esonerati. E se doveste lamentarvi dei vostri 78,7 miliardi pagati e dei 120 evasi, vi si direbbe che non vi siete mica lamentati quando siete stati esentati. Piatto di lenticchie e tombola: tutti fratelli, uniti da e in una corruzione che lo Zingarelli definisce come depravazione, dissolutezza, pervertimento. Appunto. Si capisce che il promotore della proposta, vinte le elezioni, sia poi risultato evasore fiscale. C’è del metodo nella nostra pazzia, così diffusa da reputare intelligenza l’adolescenziale furbizia di scaricare le proprie responsabilità sugli altri.

Ecco perché anche le responsabilità generali sono di fatto assunte da chi ha i necessari strumenti culturali, professionali, morali e, come De Gasperi, potrà spiegare al mondo che non sapevamo quello che facevamo. Grano e zizzania crescono insieme, separati solo dopo la mietitura da una provvidenza che oggi si serve dell’euro. In Italia il futuro è di chi ha e riscuote fiducia, se ce n’è motivo, dato che non è merce disponibile sul mercato, tanto meno politico.

Caso vuole, diciamo così, che sulla scena politica siano protagonisti tre quarantenni (circa) che possono farsi guerra o lavorare insieme, magari laicamente imparando dai nostri due papi. Quasi a completare il passaggio generazionale, ce ne sarebbe un altro, ma ha scelto i forconi, da portare in Europa (forse per i finanziamenti comunitari).

Louis Pergaud, pubblicò La guerra dei bottoni nel 1912. Il film è del 1962, con remake nel 1994. Un piccolo capolavoro, protagonisti i bambini di un villaggio che si fanno la guerra strappandosi i bottoni; ma anche affari, trasformando in femmina, più pregiata e meglio pagata, una volpe maschio col semplice espediente che potete immaginare.

Ma erano bambini. Un secolo fa. Prima della guerra civile mondiale tuttora in corso con le armi improprie della moneta, del libero mercato e del confessionale elettronico globale. E con i missili nucleari puntati su di noi dal vicino e arrabbiato orso russo, dopo la mancata adesione dell’Ucraina a un’Europa senza governo.

Politics, stupid! Bene comune, stella!

 

Giuseppe Gario



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