15 giugno 2009

L’IMPROVVISAZIONE DEL POTERE


Uno dei capisaldi dell’azione dell’onorevole Gelmini in questo primo anno della sua gestione del ministero di viale Trastevere è stato il ritorno alla “valutazione nelle singole materie espressa in voti numerici”.
Ne ha fatto una questione di principio, con chiare connotazione ideologiche, tanto da ripeterlo più volte e in molte forme in ogni circolare o documento che riguardi sia pure indirettamente l’argomento della valutazione. Con una sorta di ebbrezza, ad esempio, nel comunicato stampa del 28 maggio 2009 trionfalmente annuncia che “questo metodo di valutazione riguarderà anche l’insegnamento della musica”
(ma non quello della religione, chissà perché). Evidentemente per il ministro il voto numerico ha il dolce sapore del retro, della sconfessione di un trentennio di docimologia e di pedagogia, di una rivincita sull’odiato Sessantotto. Se ci vuole così poco per renderla felice, perché dirle di no?

 

Perché il ministro e i suoi validi collaboratori difettano, in questo caso, di una qualsiasi consequenzialità logica. Infatti se si usano i numeri per valutare (e si può farlo benissimo) e si decide che in ogni singola disciplina debba essere valutato il livello di preparazione raggiunto al di sotto del quale non si può essere promossi, è ovvio che devono essere approntate delle misure con una funzione di “paracadute” per evitare che un ragazzo con una o due insufficienze sia costretto a ripetere l’anno. Nella scuola vecchia maniera, tanto cara alla Gelmini, tali ammortizzatori esistevano e si chiamavano “esami di riparazione”: nulla di eccezionale, strumento vecchiotto e da non rimpiangere proprio, ma che almeno dava la possibilità di differenziare la situazione di chi aveva alcune lacune limitate nella gravità o nella diffusione da quella di chi arrivava a fine anno quasi completamente impreparato. Del resto nella secondaria superiore, in cui si è sempre utilizzato una scala di valutazione numerica, esistono i debiti e la possibilità (e il dovere) di ripararli.

 

Invece per la scuola elementare e media oggi, se dovessimo applicare come sono scritte le disposizioni della Gelmini, non vi è differenza tra chi ha un’insufficienza in disegno e chi non studia mai e si comporta da bullo: in un caso e nell’altro pollice verso, dice la norma perché per passare alla classe successiva è necessario ottenere “un voto non inferiore a sei decimi in ogni disciplina di studio.” Ancor di più: per essere ammessi agli esami conclusivi della secondaria inferiore è necessario “aver conseguito in ogni disciplina di studio e nel comportamento un voto non inferiore a sei decimi”, mentre per ottenere l’ammissione all’esame di Stato conclusivo della secondaria superiore è sufficiente la media complessiva del sei, media che è calcolata “considerando nel computo, a tutti gli effetti, anche il voto di comportamento e il voto di educazione fisica.”. Cioè alla fine delle superiori un 8 in condotta e un 8 in educazione fisica compensano dei 4 in matematica e inglese, mentre nelle medie un 5 in geografia potrebbe impedire l’ammissione all’esame di terza media.

 

Il paradosso generato dall’incapacità del ministro di valutare le conseguenze delle proprie decisioni e dei propri atti è assolutamente palmare. Questa situazione viene contrabbandata dal nostro ministro (nella sua sovrana incompetenza) come il trionfo del rigore e della serietà. Nulla di più falso, ovviamente: di fronte all’esigenza di avere tutti i voti sufficienti sul tabellone non è difficile capire che molti consigli di classe opteranno per una vasta sanatoria, con un effetto a cascata di disincentivazione dall’impegno (perché studiare se poi il sei bene o male arriva per grazia ricevuta?) proprio nella delicatissima età della prima adolescenza. Così si apre la porta al caos: improvvisi miglioramenti, è facile prevederlo, caratterizzeranno il curriculum di gran parte degli studenti italiani; poiché nessuna scuola può permettersi di fermare un terzo dei propri studenti, si potrà osservare con finto stupore che tutti avranno prontamente imparato matematica e italiano, inglese e scienze nelle ultime settimane di scuola e i 4 e i 5 di aprile diventeranno 6 a giugno.

 

Di fronte a questo stato di cose, che tende inevitabilmente a degenerare, alcuni dirigenti scolastici col senso del proprio compito di formatori avevano pensato di introdurre sul tabellone un piccolo correttivo, il “6 rosso”, almeno per comunicare a genitori e studenti che in questa o quella disciplina il livello di preparazione era carente e che quindi sarebbe buona cosa darsi da fare durante l’estate per riparare le carenze. Misura di buon senso, non altro, subito però duramente contrastata dalla Gelmini: cos’è questa storia delle sufficienze “colorate”, che potrebbero segnalare sufficienze assegnate dal consiglio di classe? Non se ne parla neppure!

 

A fine anno, si sa, è tempo di bilanci per tutti, per chi insegna e per chi impara. Sarebbe il caso che lo fosse anche per chi governa la scuola; ed è ora per tutti di domandarci dove può portare questa frenesia ideologica nutrita da incompetenza e improvvisazione.

                                        

Vincenzo Viola

 

 

 

 

 

 


 



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