18 dicembre 2013

LE FINANZE COMUNALI: I CONTI NON TORNANO …


Al Comune di Milano il buco è di 500 milioni di euro, a Roma di 864 milioni, a Napoli di 861, a Catania di 528 milioni. Questi sono i dati inquietanti resi noti da una ricerca del Sole24Ore pubblicata lo scorso mese di novembre. Insomma, mentre il fantomatico spread sembra calare, rassicurando gli analisti finanziari sull’equilibrio del nostro Paese rispetto alle altre nazioni europee, la crisi si è effettivamente spostata sugli Enti Locali.

04livigni44FBIl taglio della prima rata IMU sulla prima casa del giugno scorso, bandiera dichiarata del centrodestra di governo, ha di fatto messo in ginocchio moltissimi comuni italiani che, da quell’imposta, ricevevano una buona parte della loro fonte di reddito. Il groviglio di norme è ostico, ma la sintesi è chiara: i servizi dei comuni – asili, assistenza sociale, trasporti, attività turistiche, viabilità e traffico – erano finanziati in gran parte da trasferimenti dal governo centrale che oggi si sono più che dimezzati.

E i sindaci devono decidere se cancellare i servizi o andare incontro alla bancarotta spendendo soldi che non hanno ed emettendo ordini di pagamento che non salderanno mai. In teoria, un Comune può spendere soltanto i soldi che ha in cassa, non emette debito pubblico, in pratica non si sa davvero come faranno gli Enti Locali nei prossimi mesi ad erogare i servizi pubblici essenziali.

Questa situazione ha svariate cause, prossime e remote e davvero tutte le forze politiche sono coinvolte in questo clamoroso errore di calcolo che farà penare gli italiani: dal centrosinistra che negli anni Novanta ha fatto una riforma costituzionale federalista confusa, fino al governo Berlusconi che, spinto dalla Lega, ha imposto un federalismo fiscale lasciato a metà.

Lo scopo del federalismo fiscale era azzerare i trasferimenti dallo Stato centrale ai comuni e dare loro l’autonomia di imporre tributi in misura equivalente, nella convinzione che sindaci più responsabilizzati sarebbero stati molto attenti all’utilità delle spese e al livello di pressione fiscale, pena la mancata rielezione. Ma è una valutazione che non si può fare in Italia, in presenza di condizioni economiche radicalmente differenti negli Enti Locali.

Comuni “di lusso” come – per citare degli esempi famosi – Cortina, Courmayeur, Santa Margherita Ligure sono composti prevalentemente di “seconde case” che generano gettito e devono offrire pochi servizi, perché i turisti ad alto reddito hanno poche esigenze. Al contrario, le grandi città hanno pochissime opportunità di fare cassa e devono garantire servizi a centinaia di migliaia di persone a basso reddito che non pagano imposte.

Quindi serve comunque un intervento dal centro che sposti risorse dai comuni che hanno molti fondi e poche esigenze a quelli bisognosi. Era lo schema previsto dalla Legge sul federalismo del 2009: una Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (Copaff) fissava i costi standard dei servizi e il loro livello minimo cosicché si potessero stabilire le esigenze finanziarie di ogni singolo comune. Se lo stesso, sulla base di questi conteggi, era privo di risorse per garantire il livello minimo di servizi aveva diritto ad accedere a un cosiddetto “fondo perequativo” senza vincoli di destinazione, da utilizzare per le spese urgenti.

Si trattava di una riforma che lasciava aperte alcune problematiche pratiche, ma aveva una sua logica. Il governo Monti, nel 2012, ha svuotato il fondo perequativo, tagliando 500 milioni di euro per l’anno 2012 e due miliardi per il 2013, riducendone quindi la funzione equilibratrice delle risorse degli Enti Locali. I Comuni, conti alla mano, hanno quindi perso circa dodici miliardi di euro di contributi, evidentemente moltissimi ed estremamente rilevanti per il sostentamento soprattutto delle grandi città.

Per complicare ancora le cose, il governo Letta ha sostituito il fondo perequativo con un nuovo “fondo di solidarietà comunale”: il 16 settembre 2013 il governo ha comunicato di aver erogato a questo fondo – dal ministero dell’Interno – 2,5 miliardi di euro. Certamente insufficienti per appianare i debiti di bilancio che, nel frattempo, i Comuni avevano accumulato e per far fronte alle nuove spese.

Occorre davvero sensibilizzare la politica al rinvenimento di ulteriori fondi per gli Enti Locali, anche a costo di sacrificare altri settori, ben sapendo che le finanze di un comune, dal più grande al più piccolo, sono indispensabili per il mantenimento dei servizi essenziali che riguardano tutte le fasce della popolazione, soprattutto quelle più bisognose.

 

Ilaria Li Vigni

 



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