18 dicembre 2013

ARREDO URBANO: SPAZI PUBBLICI E LUOGHI CONDIVISI


In tempi di grandi trasformazioni urbane, ma anche di importanti ripensamenti e retroazioni improvvise, ‘rileggere’ il tema dello spazio pubblico come luogo di confronto e di ‘condivisione’ delle diverse esperienze metropolitane europee, diviene un utile ‘banco di prova’ entro cui riflettere nuovamente sul tema della progettazione architettonica e urbana sullo sfondo delle gravi crisi economiche, politiche e sociali in atto nell’Europa del terzo millennio.

07bertelli44FBNumerose sembrerebbero le esperienze avviate in Italia e in Europa negli ultimi anni che testimoniano in modo sempre più evidente il superamento della nozione di Spazio pubblico in quanto luogo deputato alla rappresentazione e comunicazione urbana e l’emergere di temi più strettamente connessi a diverse forme di abitare il ‘pubblico’ in modo condiviso: da quelle legati alla sostenibilità spaziale e all’uso delle risorse, a quelle più direttamente contrassegnate da nuove forme di nomadismo culturale o spontaneismo architettonico, fino a quelle più direttamente riferite alle nuove estetiche del visuale e all’arredo urbano.

In questo senso la qualità complessiva dei nuovi luoghi della socialità può essere intesa come uno dei fattori nodali di quel welfare state che proprio la crisi che stiamo attraversando sta significativamente – e forse inevitabilmente – mettendo in discussione. La necessità di un approccio più complesso, denso e allargato rispetto ai limiti tradizionali del progetto di architettura (almeno come lo abbiamo conosciuto nel Novecento) è conseguenza di un analogo processo di ampliamento del concetto stesso dello Spazio pubblico, che va ad innervare – concettualmente ma anche fisicamente – spazi “altri” della città e del territorio.

Un tema peraltro che ne introduce un altro, di estrema contemporaneità e importanza.

La mostra “Small scale, big change“, che si è tenuta al Moma di New York a cavallo tra 2010 e 2011, aveva espresso con chiarezza come gli impatti delle trasformazioni architettoniche sui luoghi pubblici non siano più legati alla dimensione quantitativa della trasformazione stessa, ma alla loro capacità, spesso minimizzando l’impiego di risorse, di influire sui meccanismi sociali. Non solo, spesso proprio i fenomeni sociali sono stati capaci di provocare e influenzare le modalità percettive dei luoghi e, di conseguenza, la loro stessa fisicità. Al centro di questo possibile cambiamento ci sono l’individuo e il talento individuale, che nel processo tra creatività e produzione vede una delle sfide del nostro futuro prossimo, costringendoci a riflettere sulle soluzioni tecniche innovative necessarie a raggiungere nuove posizioni e a definire, appunto, nuovi paradigmi.

In questo cambiamento dei ‘modi’ d’espressione, cambiano infatti anche i modelli. E di conseguenza i contesti fisici e spaziali capaci di ospitare le nuove forme dell’abitare sociale, soprattutto nel senso dei modelli di luoghi condivisi che i nuovi europei vivono o vorrebbero vivere. Il rapporto tra spazi della produzione creativa, attività e usi temporanei, rappresenta infatti oggi una dimensione di rilevante importanza, non solo nel potenziare nuove pratiche dell’abitare, ma anche nel promuovere processi diffusi di rigenerazione urbana che vanno oltre il ben importante processo di sostegno e sviluppo di nuove forme di socializzazione. Una rigenerazione che ha come obiettivo non tanto il finito, il risoluto o il ‘bello’ inteso come ‘perfetto’, ma un nuovo senso estetico dell’abitare dove ‘ibridazione’ e ‘contaminazione’ sembrano aprire ad un virtuoso mix tra luoghi da recuperare e loro usi.

Tutto ciò richiede una riflessione profonda sulle nuove implicazioni aperte dai processi di ‘globalizzazione’ da un lato e di ‘decrescita’ dall’altro, con il conseguente spostamento dei pesi insediativi in termini di rapporto tra spazio aperto e spazio costruito, che vedono oggi il ‘rientro’, ancora un po’ fragile ma di grande fascino, della ‘natura’ in città. Proprio la natura infatti, parrebbe essere uno dei possibili materiali che il progetto architettonico mette in gioco per la costruzione di nuovi territori dello Spazio pubblico, molto spesso all’insegna dell’artificialità.

A partire da questo osservatorio si potrebbe affermare che alcune grandi città europee sono state maggiormente contrassegnate, seppure a diverso grado e in diversa misura, da altrettante esperienze urbane di grande spessore e significato, coinvolte a diverso titolo in un processo di rigenerazione urbana che vive da sempre la contesa tra tradizione del nuovo e innovazione del passato.

È sicuramente il caso di Marsiglia, capitale europea della cultura 2013, che ha lavorato sulla rigenerazione di ampi tessuti cittadini mettendo lo Spazio pubblico di qualità al centro del processo. Ma che, contemporaneamente, con quella straordinaria pensilina di Norman Foster al Porto Vecchio, ha dimostrato come una apparentemente semplice operazione di arredo urbano possa avere impatti enormi sulla socialità, nella direzione dell’innovazione, anche visuale e percettiva, dove la città tradizionale si rispecchia e si rinnova.

Una dimensione scalare e funzionale più ampia è ravvisabile invece a Madrid con due esempi di rigenerazione urbana (il ri-uso del Matadero, l’ex macello cittadino e la riqualificazione urbana del Manzanarre) dove lo Spazio pubblico è inteso come incubatore di idee, creatività ed energia e come ‘nuovo paesaggio’, sotto forma di un parco lineare lungo 7 chilometri che diventa rinnovato margine della città, prendendo il posto di assi viabilistici ora interrati.

Pur con gradazioni diverse, nella Milano che attende l’Expo c’è un riferimento che racconta di come la costruzione dello Spazio pubblico, sfuggendo alle tradizionali tipologie, copra oggi un ampio campo anche come recettore di esigenze dei cittadini. La nuova piazza dedicata a Gae Aulenti, a Porta Nuova, sotto la torre di Cesar Pelli, è il simbolo di una rivoluzione concettuale, prima ancora che progettuale. Un luogo completamente nuovo, lontano dalla dinamica urbana tradizionale, ha provocato in pochi mesi un processo di appropriazione e di occupazione sociale, che non ha eguali. Un luogo sradicato dalla cultura milanese ma densamente popolato di milanesi, dove shopping, flussi e arredi urbani di firma ‘internazionale’, si integrano in un unicum architettonico inaspettato.

 

Guya Bertelli, Michele Roda e Pasquale Mei

 

 

IL DIBATTITO SULL’ARREDO URBANO 

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