18 dicembre 2013

la posta dei lettori_18.12.2013


Scrive Carlo Geri a Marina Cosi – Ho letto l’articolo dopo aver letto, ieri sera, l’articolo di Francesco Merlo sulla gogna di Grillo. E prima dell’articolo di Merlo, avevo visto la “copertina” di Crozza a Ballarò. Premesso che ritengo Crozza il più acuto analista politico in circolazione, nell’accezione più ampia della affermazione, per esternare le sue analisi, Crozza ha usato un paio di volte “cazzo” e un “va a cagare…”, o qualcosa del genere. E il pubblico ha applaudito. A me è venuta in mente la considerazione, che parlare o scrivere male, nel senso di esprimersi col turpiloquio, è segno/sintomo di ragionare male. Non è il caso di Crozza, naturalmente, ma l’uso di tali termine, come dire, in prima serata, direi che favorisce …. vedi articolo di Francesco Merlo. Si potrebbe approfondire tale aspetto e nel frattempo far presente che un utilizzo più “spinto” della “semantica dell’eufemismo”, potrebbe giovare ?

 

Scrive Andrea Rui a Marina Cosi – Credo che tutto sia nato qualche anno fa, quando quello che sarebbe poi diventato il Movimento 5 Stelle ha raccolto 350.000 firme per il referendum “parlamento pulito”. Sono stato uno dei firmatari e non ho avuto il piacere di poter vedere questo referendum attuato. In quei giorni la stampa ha volutamente omesso la notizia. Non ne ha parlato bene o male, semplicemente non ne ha parlato. Trecentocinquantamila persone che in due giorni firmano per un referendum sparite dalle pagine dei giornali. Credo che da qui nasca l’avversione di Grillo per la stampa. Credo che nessun giornalista abbia voluto analizzare in profondità e correttamente il M5S e il suo tentativo di portare la democrazia diretta in parlamento. I suoi rappresentanti sono cittadini comuni, goffi, impacciati, forse ignoranti ma sono all’interno del parlamento per fare da portavoce e attuare il programma votato dagli elettori. Non sono statisti ai quali deleghiamo le scelte da fare ma semplicemente portavoce. Per fare un esempio se nel programma è previsto l’abbandono del progetto Tav, nessun parlamentare può, una volta in parlamento, cambiare opinione e approvarlo. Grillo rappresenta il garante del programma e se nel programma non sono previste alleanze non possono essere fatte alleanze. È il rispetto dell’elettorato che in tanti anni di governo a sinistra non c’è mai stato. Per quanto riguarda la giornalista Oppo trovo raccapricciante l’uso che molti fanno del blog come sfogatoio (obbligherei le persone a firmarsi con nome e cognome….). Il suo articolo era comunque un insulto e non era certo diritto di critica. Paragonare il MFS al fascismo lo trovo veramente assurdo, bisogna che voi giornalisti vi informiate prima di sentenziare su cose che non conoscete.

 

Scrive Nanni Anselmi a Walter Marossi – Diritto/dovere di replica a Marossi, il quale – nell’ultimo suo pezzo – dopo l’ennesima analisi accompagnata da dovizia di dati numerici e statistici riguardanti recenti vicende organizzative interne a uno dei due partiti attualmente corresponsabili dello sfacelo politico/istituzionale del paese, forse a corto sia di argomentazioni solide che di dati recenti sul fenomeno del civismo democratico, si limita, in chiusura, alla consueta e davvero stucchevole sequenza di luoghi comuni in merito che è giunto il momento di sfatare, rispedendoli al mittente. Iniziamo dalla denominazione del fenomeno politico che ha avuto il merito di riportare al voto con successo – a Milano prima e in tutta la Lombardia poi – tantissimi cittadini, arcistufi di coalizioni formate esclusivamente dai partiti tradizionali del centrosinistra. Civismo Democratico è il corretto appellativo.

Quali le caratteristiche? Innanzitutto il civismo democratico deve essere inteso come una vera e propria forma di nuova politica post-ideologica, laica, non pregiudizialmente di parte, orientata alla soluzione di singole questioni, portatrice di istanze locali provenienti dai territori; in secondo luogo il civismo democratico va annoverato tra le forme di “partecipazione non convenzionale” alla vita pubblica, che si moltiplicano proprio mentre diminuisce inesorabilmente la frequenza alle urne; in terzo luogo il civismo democratico organizzato in reti, in network mobili, capaci di trattare le differenze, può dare vita a formazioni politiche non ideologiche, creando un “campo politico flessibile e adattabile”.

Derubricare tale complessa, innovativa e ancora non appieno codificata forma emergente di partecipazione alla cosa pubblica a ”arancioni moderati” è sintomo di preoccupante analfabetismo politico. Veniamo ai numeri: 24mila voti e 2 consigliere comunali nel 2011, 300mila voti e 5 consiglieri regionali nel 2013, terza forza politica in città con oltre 70mila voti. In nome di questa realtà e di tutti coloro che stanno dedicando tempo, passione e competenze volontarie alla sua affermazione, pretendiamo il rispetto di una informazione anche critica ma competente e non banale. (*presidente Mmc)

 

Scrive Giorgio Origlia a Paolo Favole – È bello che ArcipelagoMilano non sia solo un contenitore di dotte analisi, critiche, riflessioni e “mugugni”, ma che contenga anche proposte pratiche. Ben venga quindi il preciso e circostanziato articolo di Paolo Favole, denso appunto di suggerimenti e di proposte. Che però hanno un difetto. Quello di essere prevalentemente orientate a vedere il territorio come un vuoto da riempire. Ah, il nefasto vizio di chi lavora per costruire … grazie al quale la metà del globo è ormai “riempita”, ovvero sepolta sotto edificazioni spesso orrende e oltretutto in gran parte sottoutilizzate. Chilometri cubi di edifici che tra trent’anni saranno funzionalmente obsoleti ma indistruttibili, che andranno in eredità ai nostri nipoti, i quali, ne sono certo, ne trarranno un’idea poco lusinghiera della nostra intelligenza “creativa”. Ma veniamo alle proposte. Alle (poche) proposte che non prevedono ruspe e betoniere ne aggiungo una. Che queste terre di risulta, questo verde inutile accumulato dai comuni, venga affidato a gruppi di cittadini per farne orti urbani. Come se ne vedono ormai nelle città di molti paesi (verrebbe voglia di dire più civili), in zone anche densamente edificate. Dovunque sono stati realizzati sono stati accolti con entusiasmo dalla gente, hanno colmato di utilità e di senso vuoti non solo fisici ma anche psicologici. Senza seppellire per sempre terra fertile sotto metri cubi di cemento e asfalto per aggiungere edifici a un patrimonio edilizio dovunque già debordante.

 

Replica Paolo Favole – Ringrazio il collega Origlia: io non penso al mondo metà costruito, ma rilevo in ogni comune molte aree ricavate come standard, abbandonate o sottoutilizzate o mal gestite, quindi ne penso un riutilizzo, che può anche essere la edificazione se si sostituisce a quella richiesta su altri terreni da privati, che c’è sempre, contenendo il consumo di suolo a vantaggio del comune-proprietario. Beni che restano al di fuori del patto di stabilità e quindi sono una risorsa economica importante.

 

Scrive Gregorio Praderio a Paolo Favole – La proposta di Paolo Favole (far cubare le aree a standard già di proprietà comunale) si basa su due presupposti a mio parere difficilmente dimostrabili: il primo, che tali aree siano effettivamente “inutili”, che cioè non ci sia domanda di servizi, di parcheggi, di asili nido, di aree a verde o per il gioco, né attuale né futura: questo forse sarà vero in alcuni piccoli comuni, mi sembra invece difficile sostenerlo per quelli grandi, dove per di più tali aree possono anche costituire un fondo in attesa di esigenze o risorse future (come è stato fatto ad esempio nelle città estere prima dei grandi sviluppi). Il secondo, che facendole cubare sia facile fare cassa. C’è invece un evidente esubero di nuove volumetrie previste nei Piani urbanistici, chi mai si vuole comprare diritti volumetrici in questo momento? La controprova sta nel fatto che non si tratta di un’idea nuova: molti ci hanno già pensato, ma i risultati non mi sembra siano stati così brillanti. Forse sarà per questo che l’idea non è stata raccolta. Giusto invece chiedere una verifica di effettiva fattibilità economica alle previsioni di Piano, spesso del tutto astratte e prive di possibile copertura.

Replica Paolo Favole – Al collega Praderio che pure ringrazio: non conosco, certo per mia mancanza di info, esempi di comuni che abbiano utilizzato questo principio, ma se li segnala li studierò. Io constato due fattori: i comuni, qualsiasi comune, comunque amministrato, prevede aree di espansione che sono sempre o quasi private D’altra parte constato in molti comuni aree per standard inutilizzate e sovrabbondanti Quindi la mia proposta è di prevedere le espansioni se necessarie o volute o ricercate su aree comunali inutilizzate prima di prevederne altre di privati, con evidente risparmio nel consumo di suolo e vantaggio per il bilancio comunale. Che poi la proposta vada valutata caso per caso è fin troppo evidente: io propongo che i comuni siano obbligati a fare questa valutazione come spending review, se si vuole, del suolo e delle risorse, non che siano obbligati a una qualche applicazione che si farà dopo la valutazione con l’autonomia di ogni comune. E la proposta va integrata con l’altra che ho scritto sull’obbligo di coerenziare il Piano dei Sevizi tra comuni limitrofi o di una precisa subarea. Che poi il periodo non sia favorevole alla commercializzazione di aree edificabili è evidente, ma il comune accumula delle potenzialità e le attiverà quando sarà possibile e anche qui meglio che le potenzialità le accumuli il comune piuttosto che dei privati. Nella mia esperienza però il disporre di diritti volumetrici comunali permette molte iniziative oltre la commercializzazione, in particolare l’uso come compensazione per acquisire negozi o capannoni vuoti, per contributi a chi interviene nei centri storici ecc, per l’utilizzo come orti (come suggerisce Origlia). Nella libertà delle autonomie un comune può anche decidere di tenerle come riserva per il futuro, ma se constatasse che di alcune aree per standard non sa che farsene cosa gli proponiamo?

 

Scrive Claudio Cristofani a LBG – Mi limito al tema di cui maggiormente mi occupo e cioè gli orti urbani. È difficile limitarsi al mugugno quando accerti personalmente che il progetto ColtivaMi è stata solo una fabbrica di burocrazia inutile e che, nonostante tutta l’operazione sia stata interamente gestita da organismi pubblici (amministrazione centrale e circoscrizionale) il risultato, dal settembre 2012, è semplicemente irrilevante per quantità (assegnate tre piccole aree in zona 9, sperando che abbiano anche firmato il relativo contratto) e molto discutibile per la complessità amministrativa con la quale si intende portarlo a termine. E pensare che la superficie di 2,5 ettari disponibile con le prime 9 aree prescelte avrebbe dovuto fare da apripista a un progetto esteso 10 volte di più!

 

Scrive Dede Mussato a LBG – Parole e pensieri perfettamente centrati al disagio comune che si avverte in tram dove gli extracomunitari non pagano il biglietto, in strada, dove l’accattonaggio impera e la sporcizia pure. I controlli sono inesistenti, i soldi non ci sono e a scuola l’educazione civica non si insegna più. Che pena, che grandissima pena.



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