11 dicembre 2013

CHIEDIAMOCI SE SIAMO FELICI: UNA RISPOSTA A LBG


Come e quanto si può essere soddisfatti “nel mezzo del cammin” di questa esperienza di “Government Milanese” è una domanda tutt’altro che stravagante caro Luca, quella contenuta del tuo editoriale del 20 novembre 2013, anzi mi sembra che vada colta come una più che giusta sollecitazione a riflettere liberamente e senza alcun pregiudizio. Credo però che innanzitutto vada individuato il “target” a cui ci si rivolge: è il già l’entusiasta popolo arancione che riempì e animò Piazza del Duomo nella magica notte con l’arcobaleno sullo sfondo, o la città nel suo insieme, abbastanza provata e alquanto sfiduciata dall’infinita e complicata transizione, dove per la prima volta, in tempo di pace, è egemone l’insicurezza verso un futuro che “non essere sembra più come quello di una volta”, come stava scritto sul parapetto della darsena a Porta Ticinese.

09merlo43FBPer chi si sentiva parte del popolo di Piazza del Duomo e che non si voglia attardare nella strumentale semplificazione del riconoscersi per appartenenze, il confronto non può che avvenire tra le aspettative e ciò che è stato sin qui realizzato nell’interpretazione della “Governance“, la cui differenza con il passato non può consistere solamente nella diversa interpretazione e applicazione della responsabilità. L’applicazione della responsabilità del buon padre famiglia, è più che mai apprezzabile in un sistema dove il mercato è percepito spesso come una minaccia, mentre la mercificazione della società viene costantemente sottovalutata, è condizione necessaria ma non sufficiente per realizzare quelle asimmetrie e le discontinuità dal modello di “Governance” e soprattutto “Government” indispensabili innanzitutto per Milano, ma anche per il Paese, nella voglia di riscoprire la propria antica vocazione riformatrice, da parte della Milano politica.

Le supposizioni perché questo non si sia potuto fin qui realizzare possono essere le più disparate, ma a me preme evidenziarne in modo particolare due: la prima consiste nell’essere venuta meno la volontà di candidarsi a esercitare un ruolo guida di e da Milano, che forse qualcuno con eccesso di ottimismo, aveva sperato di assegnare alla suggestione arancione; la seconda è l’enfatizzazione di un’illuministica ortodossia che non si è resa sufficientemente conto quanto l’ortoprassi fosse governata dalla “necrofilia amministrativa”, scambiata erroneamente per un valore, e non invece l’alibi ad impedire ogni forma di partecipazione e di condivisione che non fosse appositamente “preregolamentata” da apposite norme.

Mentre fuori dai palazzi del governo il sistema economico e sociale fatica a trovare le coordinate per fare l’indispensabile, dentro i palazzi, come di recente affermato dal direttore generale di un comune assai virtuoso, “domina l’inutile farraginosità, si perde tempo con centinaia di adempimenti confusi, rituali, ossessivi, tesi a rendere conto di un numero imprecisato di richieste del legislatore”; si pensi a tale proposito il numero spropositato e contraddittorio di norme imposte per la finanza locale, “definite in modo frammentario e destinate a una pluralità di organi di controllo che saranno a loro volta sommersi da una marea di adempimenti e che inevitabilmente produrranno sanzioni e contenzioso con un ulteriore aggravio dell’attività amministrativa non destinata a creare valore pubblico. La “colonna sonora” che caratterizza la necrofilia amministrativa è composta dalla paura della responsabilità, e dalla sterilizzazione di qualsiasi scelta da trasformare in adempimento, per svincolarla da qualsiasi possibile contaminazione.

Responsabile di tutto ciò è il venir meno della politica, di quella alta, di quella delle visioni lungimiranti perché da condividere, dell’attenta comprensione dei bisogni vecchi e soprattutto di quelli nuovi, del valore del rapporto paritetico tra amministrazione e cittadino che si declinano in una interpretazione della Governance, tutt’affatto diversa, perché finalizzata a includere. Ovvero l’espressione di un modo nuovo di fare politica, nell’assoluto disincanto da storie pregresse, che appaiono sempre più espressione di consolidate forme organizzative piuttosto che espressione di visioni di trasformazione innovatrice che finisce per produrre la preoccupante depauperazione della capacità di proposta.

Sono questi i limiti che hanno finito per provocare l’astensione dal coraggio di andare oltre, vedasi per la rivendicazione dell’IMU, una tassa patrimoniale tipicamente territoriale, sottratta ai comuni dall’arroganza centralistica del Governo con la complicità del Parlamento. I formalismi procedurali, la religiosità del sospetto, l’impermeabilità verso forme strutturali di accesso ai “saperi,” sono tra le principali cause che caratterizzano la progressiva dilatazione dello iato tra la città reale e chi governa, decide e attua per conto di essa. I Patti di stabilità, il susseguirsi di leggi e decreti per coprire il fabbisogno nazionale che dilatano la pressione fiscale, minacciano l’autonomia costituzionale dei comuni, imponendo loro tagli di servizi o il loro finanziamento tramite odiose e non facilmente giustificabili inasprimenti fiscali e tariffari.

Da Milano deve avviarsi una decisa opposizione all’anacronistica e pericolosa restaurazione dello Stato accentratore, cui troppo spesso si viene ad affiancare l’invadente interventismo delle Regioni, ormai sempre più spesso emuli del Parlamento nella bulimia legislativa e regolamentare concorrendo a rendere sempre più farraginoso e improduttivo il rapporto tra popolazione e istituzioni. Milano, per innovare e trasformare il modello di amministrazione ha più che mai bisogno di una coraggiosa svolta di biofilia amministrativa, promossa dalla politica per la modifica di prassi consolidate e se nel caso di per promuovere il cambiamento di regole per favorire l’affermarsi di un diverso modello di esercizio della Governance.

La Milano del futuro prossimo: la città metropolitana, non può che rapportarsi al “DNA comune” che caratterizza le città metropolitane più dinamiche e competitive; per essere all’altezza nel governare reti complesse di persone e la dinamica delle pluralità di iniziative. Per essere all’altezza, è propedeutico creare le premesse per liberarsi dallo stato di “città a responsabilità limitata” che il neo centralismo, e i patti lineari di stabilità in cui la confinano. Milano per essere in grado affrontare i problemi del presente, e quelli del futuro ha più che mai bisogno di un ritorno alla politica alta, visionaria, inclusiva e che per essere tale non può prescindere dai milestone che caratterizzano il governo di ogni metropoli: la forte autonomia fiscale e tributaria: flessibile e orientabile per supportare il perseguimento di obiettivi strategici e condivisi, con la premessa di un paritario e trasparente rapporto di relazioni fiscali con tutti i soggetti della comunità; cui peraltro va reso conto, della dimensione delle entrate da loro versate e di come le stesse sono state utilizzate; la strategicità che assume il virtuoso uso dell’energia in una concezione civica di bene comune, sia che riguardi prospettive di un risparmio collettivo e individuale e sia per la non più procrastinabile esigenza di dover ridurre le emissioni di CO2; e infine la fondamentale esigenza di rendere pervasiva la Governance, a partire dai processi con i quali si prendono le decisioni, non che l’intelligibilità del senso di marcia dello sviluppo della città, del potenziale di flessibilità dei suoi servizi per configurare una città attrattiva alle creatività economiche, sociali e culturali, in un contesto di solidarietà che cerca di non lasciare indietro nessuno.

Per il perseguimento di questi obiettivi, per proiettare la città nel futuro è indispensabile avviare, sin da subito, un diverso approccio per attivare il più rapidamente possibile l’indispensabile discontinuità, occorre assegnare un ben distinguibile valore aggiunto alla responsabilità, aprendo porte e finestre alla permeabilità: della cultura della scelta, dell’apporto dei tanti “saperi” di cui la città è profondamente e trasversalmente ricca; dei contributi dell’orgoglio civico di chi si rende generosamente disponibile anche con fantasia, creatività, generosità che sarebbe anacronistico circoscrivere e limitare.

 

Beppe Merlo



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