11 dicembre 2013

musica – ŠOSTAKOVIČ


ŠOSTAKOVIČ

Accostare una Sinfonia di Schubert a una di Šostakovič è insieme un grande azzardo e una magnifica invenzione. Un azzardo perché si spiazzano l’una con l’altra, essendo agli antipodi sia emozionalmente che dal punto di vista della sinfonico. Specialmente se, come ci è stato proposto nell’ultimo concerto de laVerdi magistralmente diretta da Oleg Caetani, la prima è la Sesta in do maggiore, la cosiddetta “piccola” D. 589, e la seconda la monumentale Ottava in do minore, opera 65; e ancor più se si pensa che la Sinfonia di Schubert è la più spensierata e serena fra le opere di un compositore già naturalmente poco incline alla drammaticità, mentre quella di Šostakovič è l’opera più tragica di un compositore dal carattere molto tormentato.

musica43FBUn concerto molto didascalico, per certi versi, ma anche di grande impegno sia per gli esecutori che per gli ascoltatori, costretti a confrontarsi con due situazioni culturali, sociali, umane – la Vienna del 1818 e la Mosca del 1943 – incommensurabilmente opposte: Schubert cercava di conciliare la venerazione per Beethoven (che aveva già scritto le sue prime otto sinfonie) con l’innamoramento per Rossini (che in quei mesi era rappresentato e idolatrato a Vienna) mentre Šostakovič, centoventicinque anni dopo, viveva la tragedia dell’immensa guerra che devastava la Russia e dell’asfissiante regime che gli imponeva il realismo socialista e gli limitava pesantemente la libertà e la creatività.

Nessuna opera letteraria o figurativa – neanche il teatro, che pure si è sprecato in questo tentativo – è mai riuscito a rappresentare con altrettanta efficacia, e a suscitare con altrettanta forza emotiva, l’atmosfera della seconda guerra mondiale nel momento in cui sembrava che le armate della Wermacht dovessero attraversare la Moscova e occupare la capitale russa. Orrore e pietà, esecrazione e compianto, dolore e rabbia, sono i sentimenti profondi e indicibili che dominano la Sinfonia, si annodano per più di un’ora (un tempo lunghissimo per una Sinfonia) in un canto sublime e ispirato, avvolgono e soggiogano tutti, sul palco e in platea.

Sarà stato l’ostracismo del potere comunista, con le apparenti ambiguità dovute al travaglio ch’egli ha dovuto affrontare durante il regime, o l’essersi trovato a cavallo fra moderno e contemporaneo, senza appartenere a un preciso capitolo della storia della musica, fatto sta che il ritardo con cui il pubblico, italiano ma non solo, ha scoperto la grandezza di Šostakovič è veramente singolare. Il “moderno” possiamo immaginare che cominci con Puccini, Mahler, Debussy e Strauss, tutti nati intorno al 1860, che prosegua con Rachmaninov, Schönberg, Ravel, Stravinskij, Webern e Berg – tutti nati a cavallo del 1880 – e che forse si concluda con Prokof’ev, nato nel 1891. I “contemporanei” – se si possono ancora chiamare così, ma ovviamente oggi non son più loro – vengono più di trent’anni dopo, una generazione: Berio è del 1925, Stockhausen del 1928. Tra gli uni e gli altri, nel 1906, nasce Šostakovič ed è curioso osservare che nel 1943 – l’anno della Ottava Sinfonia, quando aveva solo trentasette anni – molti “moderni” erano ancora vivi, più maturi e più liberi di lui, ma nessuno ha avuto la stessa tremenda consapevolezza degli orrori di quella guerra.

Oleg Caetani ha dato prova di una grandissima professionalità: senza bacchetta, con un gesto preciso, autorevole ma non burocratico, di chi non comanda ma sostiene, partecipa, si sente primus inter pares, soprattutto di chi non si cura della propria immagine – se non per la naturale eleganza – ma sta dalla parte della musica, sia quando racconta la leggerezza e la grazia schubertiana, sia quando descrive gli abissi del compositore russo.

Ci piacerebbe chiedere a Caetani come si è trovato con laVerdi nel dirigere questa Ottava; a noi è sembrato in perfetta simbiosi, con l’orchestra che lo ha seguito con una duttilità e una partecipazione sorprendenti, soprattutto tenendo conto della complessità dell’opera sia sul piano interpretativo che su quello esecutivo.

***

Milano ci ha regalato una ricchissima settimana di musica; non parliamo della Traviata – a nostro avviso musicalmente poco interessante a prescindere dalla orribile regìa di cui si è già fin troppo detto e scritto – con cui si è inaugurata la stagione della Scala, ma abbiamo avuto due “concerti in chiesa” di grandissima qualità e uno più interessante e piacevole dell’altro:

* lunedì 9 in Sant’Eustorgio i Solisti di Pavia hanno eseguito per il Museo Diocesano quattro concerti per violoncello e orchestra, due di Vivaldi e due di Carlo Filippo Emanuele Bach con il loro fondatore Enrico Dindo nelle vesti di direttore e di solista

* martedì 10 in San Marco il Messiah di Händel eseguito dai famosi Amsterdam Baroque Orchestra & Choir diretti da Ton Koopman, con J. Zomer soprano, M. Engeltjes alto, J. Dürmüller tenore e K. Mertens basso

Infine vorremmo segnalare un evento molto significativo per gli amanti della musica colta: Venerdì 13 alle ore 18, all’Auditorium di Largo Mahler, sarà presentato il nuovo volume “Offerta Musicale” di Enzo Beacco, una storia della musica fresca di stampa, raccontata in modo non tradizionale e un po’ sorprendente. L’autore sceglie e mette in ordine cronologico i pezzi o gli eventi musicali che ritiene essere le pietre miliari della millenaria storia della musica occidentale e, attraverso e intorno ad essi, ricostruisce la progressione e l’evoluzione del pensiero, della tecnica, del senso ultimo della musica. Un vademecum per trovare risposte non conformiste e non scontate alle tante domande che – chi la musica l’ascolta con interesse – si pone in continuazione. Assolutamente da non perdere.

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

rubriche@arcipelagomilano.org



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