27 novembre 2013

MILANO. LE PAROLE FALSE DI UN BILANCIO VERO


Premetto che non sono né un esperto di semantica né un esperto di bilanci pubblici, sono poco di più della famosa casalinga di Voghera, anche se penso di essere in folta compagnia. Veniamo però ai fatti: il Comune di Milano ristorna alla ATM 25 milioni di euro dei 50 di utili che aveva chiesto di poter prelevare dalle casse di quella società. Per fortuna gli anziani ai quali è stato raddoppiato il prezzo dell’abbonamento, per la maggior parte pensionati, preferiscono le pagine di cronaca nera dei quotidiani, quando possono permetterseli, o magari le trasmissioni dei canali berlusconiani che di questo non parlano, altrimenti si sarebbero fatti qualche domanda in materia di equità.

Ma veniamo a noi e a01editoriale41FBlla semantica. I 50 milioni di euro sono gli “utili” dell’ATM. Io ero solito pensare che quando si parli di utili s’intenda, in un’azienda, il frutto del capitale, grossolanamente la differenza tra costi e ricavi dopo aver pagato tasse, fatti gli ammortamenti e accantonamenti vari. Ma se i miei ricavi sono costituiti almeno per la metà da corrispettivi che un terzo, il Comune in questo caso, mi dà a fronte di un servizio prestato, è chiaro a tutti che utili o perdite sono determinati dall’ammontare di questi corrispettivi. Ora passiamo dall’altra parte, da quella di chi questi corrispettivi li dà: li dà in cambio del servizio reso che, stando al caso, dovrebbe essere il servizio di trasporto pubblico migliore possibile.

Su come valutare la bontà del servizio reso ne parliamo un’altra volta ma ammesso che esso sia soddisfacente, se la società ha fatto “utili” è chiaro che il corrispettivo versato era eccessivo e che dunque non si tratta di utili ma sarebbe meglio chiamarlo “avanzo di gestione”. Insomma dovremmo poter considerare un’azienda pubblica di trasporto alla stregua di un’attività “no profit”. Ma la cosa curiosa è proprio questa: possiedo una società, i suoi bilanci sono in utile o in perdita a seconda di quanto io paghi i suoi sevizi, quando fa utili le chiedo di darmeli, insomma di restituirmi i miei soldi. Un giro vizioso con infiniti inconvenienti a cominciare dal principale: impossibile valutare l’efficienza guardando agli “utili”, un sistema largamente praticato. Dunque si scrive utili ma si dovrebbe più veritieramente parlare di avanzo di gestione (da utilizzarsi nell’esercizio successivo).

Da questo pasticcio, non il solo nelle aziende a proprietà pubblica, si pensa di uscire con le famose privatizzazioni, nel settore dei trasporti pubblici imposta tra l’altro dalle norme europee (disattese). Lo sciopero di Genova dei giorni scorsi era contro l’ipotesi di privatizzazione dei trasporti pubblici, gestiti da un’azienda particolarmente dissestata, ovviamente non era questione di utili. Privatizzare è una parola magica, un misto di ipocrisia, incapacità e coscienza sporca. Ipocrisia perché si spera di trovare qualcuno che levi le castagne dal fuoco (risolvere il problema dell’eccesso di dipendenti); incapacità perché non si è saputo scegliere manager all’altezza dei loro compiti, spesso assunti solo per fedeltà politica; coscienza sporca perché l’eccesso di personale è frutto di operazioni clientelari decennali e di contratti concordarti con parti sociali la cui benevolenza elettorale era preziosa.

La privatizzazione, che comunque a me non piace per ragioni troppo lunghe da elencare ora, risolve male il problema. Privato non è sempre bello, buono e onesto. Quando si privatizza in un modo o nell’altro si devono garantire i livelli di occupazione, pratica socialmente ineccepibile ma che va esattamente nella direzione opposta della soluzione dei mali da eccesso di personale. La condizione del mantenimento dei livelli di occupazione diventa un onere passivo per chi si prende l’azienda e ne terrà conto nel pretendere i corrispettivi dei servizi prestati. E siamo punto e a capo. Avremo mai la fortuna di poter risolvere questi problemi, come dire una classe politica coraggiosa in grado di farlo? Sono operazioni di lacrime e sangue che puniscono chi le fa sul piano elettorale: chi le fa va a casa per averle fatte scontentando gli elettori a tutto beneficio di un’opposizione che cavalcherà lo scontento ma troverà i problemi risolti.

Luca Beltrami Gadola

 

 



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