27 novembre 2013

FINANZA PUBBLICA. SE LO STATO DIVENTA UNA ONLUS


Le parole seguono ciò che nominano. Lo Stato nazionale è un fatto universale e dominante dalla seconda metà del Novecento per l’impegno dell’ONU contro il colonialismo. In teoria, lo Stato è sovrano, dentro e fuori. Dentro, perché monopolizza la violenza usando i soldi ottenuti col fisco. No fisco, no Stato: quello italiano è molto debole, se non con i tapini, perché per un terzo il fisco è evaso/eluso/condonato, oltre all’economia illegale, una bella fetta del prodotto interno lordo inesistente per il fisco (e in piena fioritura perché ricco di contante). Paga le tasse chi è costretto ma anche chi vuole salute, istruzione, infrastrutture, sicurezza e non si fa del male da solo. Quasi un volontario, cittadino di uno statonlus di incerte risorse (può fare debiti, ma anche i suoi cittadini ne fanno mercato, a usura: corda per impiccarsi).

04gario_41FBUnici al mondo, in Italia abbiamo la riserva del plurisecolare apparato della Chiesa, un concorrente dello Stato che nel disastro fascista ne ha però preservato unità e continuità. La lucidità di non farsi del male da soli. Ma anche il sistema di riserva è debole, perché debole è la nostra mentalità, di scarsa coscienza e spesso inconsapevole; inoltre, col concordato ha legato le proprie finanze allo Stato italiano. Conseguenza emblematica ne è l’annuncio in una piccola chiesa del centro milanese: “Chiesa videosorvegliata”. E la Provvidenza, fatta anche di fedeli e sacrestani? Come il fisco per lo Stato, c’è ma non basta, ed ecco la videoprovvidenza, con gli stessi scarsi risultati.

Non siamo fuori dal mondo, ma anzi una punta – non per scelta e con sofferenza – nella trincea della crisi globale della sovranità, perché tutti gli Stati sono in crisi fiscale, inclusi USA e UK, dove Wall Street minaccia di trasferirsi nella City, e la City a Wall Street: curioso, tanto più che la City vuole diventare la capitale della finanza islamica. Il solo segreto bancario costa al fisco 170 miliardi di dollari nel mondo (65 in UE). Forse da noi è più diffusa “la sindrome del Ponte sul fiume Kway, in cui l’ottusa certezza che un uomo possa salvare la situazione cancella ogni altra prospettiva” (Michael Burleigh). Siamo recidivi, perdiamo tempo prezioso e passiamo in coda, ma restiamo in corsa.

Nel 1997 a Luigi Ferrajoli (La sovranità nel mondo moderno, Laterza) era già evidente la crisi degli Stati nazionali unitari e indipendenti, ora troppo grandi per le cose piccole (amministrative) e troppo piccoli per le grandi (governo, sicurezza). Sono poi “sempre più artificiali ed etero-determinate le condizioni economiche, ambientali, tecnologiche, politiche e culturali del mondo” in cui viviamo come singoli e comunità [p. 50]. Lo Stato ha trionfato, ma ora è in crisi irreversibile, per lo stesso “principio di effettività”: giusto e naturale è ciò che ha la forza di imporsi. Questo principio ha “fatto” la cultura giuridica moderna fino a Hans Kelsen, citato da Ferrajoli nell’introduzione per aver capito (1920) che “il concetto di sovranità deve essere radicalmente rimosso. È questa la rivoluzione della coscienza culturale di cui abbiamo per prima cosa bisogno” (Il problema della sovranità e la teoria del diritto internazionale, nella conclusione).

Poiché si tarda a capire, ad abbattere le mura sovrane degli Stati provvede la forza dei fatti tecnologici ed economici che uniscono il mondo. Come già le città e le regioni, le comunità politiche possono sopravvivere solo aprendosi reciprocamente in un’unica costituzione, stabilita e condivisa democraticamente.

Kelsen ha previsto e Ferrajoli prova con i fatti che siamo diretti verso una costituzione mondiale [p. 51]: quella dei princípi è già stata realizzata nella carta dell’ONU e nelle Dichiarazioni e convenzioni sui diritti umani; si tratta ora di darci le concrete garanzie giuridiche, che gli Stati non sono più capaci di assicurare, delegittimati dai loro stessi fallimenti nell’attuare i solenni impegni di pace, uguaglianza, sviluppo, rispetto dei diritti universali delle persone e dei popoli [p. 46]. Dal 2002, all’Aja, opera la Corte internazionale di giustizia, primo mattone di una effettiva uguaglianza di tutti in tutto il mondo; l’ONU è a sua volta il seme di un governo mondiale, sia pure con la tutela di superpotenze sempre meno super; i movimenti migratori sono inarrestabili, nonostante i tentativi sistematici di eliminarli anche fisicamente; la tecnologia e le sue meraviglie vere o presunte dimostrano quotidianamente che il mondo è ciò che noi vogliamo e facciamo, e distruggiamo, anzitutto col diritto e la politica [p. 52-5].

In questo contesto, l’Europa unita è alle prese con un nuovo e difficile appuntamento, l’Ucraina, nella transizione dei paesi orientali. Ma continua a farsi complice dei governi africani nel criminalizzare l’emigrazione, mentre all’Aja i giudici internazionali hanno di fronte a sé i peggiori criminali e crimini contro l’umanità, di guerra e di genocidio. E intanto l’Europa si preoccupa anche di ridurre i consumi d’acqua degli sciacquoni (25% dei consumi d’acqua, dopo il 35% di docce e bagni). Europa specchio del mondo, ma a scala giusta, rispetto agli Stati sempre più indebitati perché privi di potere fiscale, e di ogni credibilità nella conduzione degli affari del mondo.

Affari in cui recuperano i fondi speculativi dopo i risultati spesso deludenti degli ultimi anni; in tre mesi hanno attratto nuovi capitali per 40 miliardi di dollari, portando il totale amministrato a 2.400 (più del nostro prodotto interno lordo). Fondi pensione, fondi sovrani, fondazioni caritative investono contro di noi, sfruttando la nostra debolezza di statonlus. Al contempo l’Unione Europea ha destinato all’Italia 29,24 miliardi di euro (38 miliardi di dollari) della politica di coesione 2014 – 2020. In privato scommettiamo contro noi stessi sui mercati finanziari. In Europa lavoriamo per il nostro futuro: è una rivoluzione copernicana.

Perché dia tutti i suoi frutti, all’Europa va dato un governo invece di una commissione di tecnocrati (il parlamento c’è già) e una costituzione scritta dai rappresentanti degli europei e non da tecnocrati.

No Europa no futuro, solo un presente estenuato. Provare per credere.

Giuseppe Gario



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