20 novembre 2013

RINASCIMENTO MILANESE: VILLA SIMONETTA E BERNARDINO LUINI


Il restauro della cappella di villa Simonetta e la mostra su Bernardino Luini ci danno l’occasione di parlare di Rinascimento anche se usare questo termine oggi è diventato difficile, bisogna subito uscire dall’equivoco: qui ne stiamo parlando in senso strettamente storico e non intendiamo abusare di questo termine così come ne ha fatto la classe politica negli anni recenti. Nell’ultimo Ventennio del ‘400, anche grazie alla presenza e all’influsso di due grandi artisti, Bramante e Leonardo, Milano è una capitale dell’arte. Sia la corte (e i cortigiani) di Ludovico il Moro, sia le tante istituzioni religiose commissionano architetture, affreschi, pitture, sculture. Però, nei secoli seguenti, Milano perde molte, troppe, di queste opere; alcune, addirittura, vengono distrutte. Qui si scrive di un’opera rinascimentale ritrovata e dell’intento di riabilitarla.

Villa Simonetta con la Cappella_Foto Topuntoli

Villa Simonetta. È sede della Scuola Civica di Musica della Fondazione Milano da quarant’anni; per questo è ben conosciuta sia dai milanesi, sia dai numerosi allievi che provengono dal resto d’Italia e del Mondo. Delle vicende architettoniche della Villa si sa molto: la prima fabbrica fu edificata a inizio ‘500 da Gualtiero Bascapè, un funzionario di Corte assai religioso, per abitarvi; a metà ‘500 fu riattata da Domenico Giunti come “Versailles in miniatura” per il Governatore di Milano Ferrante Gonzaga; passò poi di mano in mano (anche ai Simonetta da cui prese il nome), indi deperì … . Al contrario si sa meno dell’Edificio con la Cappella che l’affianca, nato con la Villa a inizio ‘500, senza sostanziali modifiche da quando fu approntato e fatto decorare dal Bascapè. L’edificio con la Cappella fu parzialmente distrutto dalle bombe del 1943, indi definitivamente dimezzato nel Dopoguerra: in altre parole, fu continuato il “lavoro delle bombe” salvando la sola metà affrescata. È una metà con due soli ambienti: la Cappella vera e propria e un retro da sempre adibito a deposito, allestito dieci anni fa per ospitare libri e spartiti.

02_Fronte interno V.Simonetta in restauro_Foto Topuntoli

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Diagramma del fronte interno_Marcello Lomascolo

La Cappella in restauro. Ha un fronte interno con una minuscola abside, entrambi scanditi, ordinati e ornati con proprietà e precetti bramanteschi: cornici con disegno e proporzioni classiche, lesene con capitelli (sia ionici, sia corinzi) e relative basi; il tutto, quando due lesene risvoltano sui due angoli dell’abside, passa da due a tre dimensioni. L’abside, con altare, ha sui muri tre affreschi: una Deposizione e due santi, Ambrogio e Gerolamo. Affreschi (ahinoi) rovinati dalla Guerra e dall’incuria dei decenni successivi; meglio conservata è la decorazione della volta. Grazie all’impegno dell’Amministrazione comunale è iniziato il restauro sia degli affreschi, sia degli apparati decorativi (vinse la Gara la Cooperativa CBC di Roma).

L’autore, architetto e pittore. Rimase misterioso fino al 1987, quando Maria Teresa Binaghi Olivari finalmente lo indicò su uno dei volumi Cariplo dedicati alla pittura lombarda: Bernardo Zenale di Treviglio, vissuto tra 1455-60 e 1526. Gli altri storici, in seguito, annuirono. Ma chi è Zenale? Attualmente la sua caratura è discussa e per niente condivisa; però indiscusse sono la sua centralità nell’ambiente artistico milanese nei decenni tra fine ‘400 e inizio ‘500 e la stima che godette tra i suoi contemporanei. “Da Lionardo da Vinci fu tenuto maestro raro”, ha scritto nel 1580 Giorgio Vasari; “è l’artista lombardo forse più celebrato della corte di Ludovico il Moro … … che Lomazzo pone tra i massimi esponenti dell’arte lombarda, accanto a Mantegna e Bramante, per sapienza architettonica e passione prospettica”, ha scritto nel 1960 Maria Luisa Ferrari; e si potrebbe proseguire.

Come pittore, i milanesi lo conoscono (lo possono conoscere) sia per i rari quadri esposti a Brera (ahinoi, non eccelsi), Castello, Poldi Pezzoli, Bagatti Valsecchi; sia per i mirabili affreschi della Cappella Grifi nella chiesa di S. Pietro in Gessate (di fronte al Tribunale di Milano). Questi li dipinse con Bernardino Butinone, suo socio anche nella Pala di S. Martino, Treviglio, che Roberto Longhi definì “la più lucida struttura spaziale che ci abbia dato la seconda metà del quattrocento in Lombardia”, esaltando il ruolo svolto dal giovane Zenale in quest’opera. E come architetto? In sostanza, dopo quasi cinque secoli, a Bernardo Zenale è riconosciuta finalmente una “sua” architettura. E non è poco.

Zenale e Luini, Luini e Zenale. A Brera è esposta una bella e lieta Annunciazione, abitata da un nugolo di angioletti festanti: è “targata” Bernardino Luini. Però, in una sua monografia su Bernardo Zenale (L’eco di Bergamo – Museo Bernareggi, 2009), Simone Facchinetti attribuisce quest’opera proprio al pittore trevigliese. (Poi, nel testo, esprime giudizi non positivi; chi scrive li ha sentiti anche da altri storici). Il sodalizio tra i due era solido, non solo nel lavoro; e non è per niente raro l’alternarsi di attribuzioni. Luini, più giovane di almeno vent’anni, sopravvisse all’altro per soli sei anni; è anche più famoso. Però Zenale creò icone che l’altro riprese, come di seguito si precisa. Su Luini è in preparazione una Mostra, promossa da Comune e Pinacoteca di Brera, a cura di Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa: un nuovo capitolo del lavoro fondamentale dei due storici sull’arte lombarda.

Due Cicli della Passione: di Luini (autentico) e di Zenale (idealmente ricostruito). Partiamo dal Ciclo di Bernardino Luini in S. Giorgio al Palazzo (via Torino), nella Cappella della Passione, dipinto per la Confraternita del Santissimo Sacramento nel 1516. I dipinti, che qui sono 5, chiamiamoli Stazioni, come nella Via crucis: 1. Cristo deriso
(Incoronazione di spine); 2. Flagellazione; 3. Ecce Homo; 4. Crocifissione; 5. Compianto (Deposizione).

Passiamo ora alle cinque Stazioni del Ciclo zenaliano che idealmente ricostruiamo (o, se si preferisce, ipotizziamo). Va immaginato nella Cappellina di Villa Simonetta, nei pochi anni tra inizio ‘500, creazione dei dipinti, e fino almeno al 1508, anno in cui Bascapè morì. Questi lasciò in eredità tutti i suoi averi alla Confraternita di Santa Corona, dedita ad assistenza e cura; quindi, dopo quell’anno, potrebbe essere stato smembrato.

Solo 2 sono le Stazioni sicure: la 5, la Deposizione (l’affresco oggi in restauro) e la 3, l’Ecce Homo. Questo era un affresco sul fronte esterno della Cappellina e fu distrutto dalle bombe del ’43 (gli studiosi, stranamente, hanno ignorato quest’opera, non eccelsa, forse di un aiuto).

Possibile (se non probabile) era la Stazione 1: in quegli anni, Bascapè aveva commissionato a Zenale anche un Cristo deriso (passato nel 1830 ai Borromeo), un capolavoro. Binaghi e Stefania Buganza, importanti studiose, lo propongono giustamente come “immagine di devozione” della Confraternita di Santa Corona, fondata nel 1497, alla quale Bascapè l’avrebbe donato subito, ben prima di morire. Qui invece s’ipotizza che Bascapè si sia tenuto il Cristo deriso per almeno otto anni, nella Cappellina o in un locale della Villa; e che solo successivamente sia passato al Santa Corona, in eredità. Perché quest’ipotesi? Basta osservare l’Ecce Homo bombardato. Cristo e il suo aguzzino sembrano appena usciti dal Cristo deriso Borromeo: stesse pose, stessi dettagli e vestimenti dei due personaggi, in particolare del Cristo. Sulla Stazione 2 ci si può solo sbilanciare: potrebbe essere la Flagellazione (Národní Muzeum, Praga) o assomigliare a questa. La Stazione 4, Crocifissione, la si tralascia.

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Brnardino Luini S. Giorgio a Palazzo_Cristo deriso

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Bernardo Zenale (Collezione Borromeo) – Cristo deriso

Si può passare ora al confronto tra i due Cicli, escludendo solo le Stazioni 4 e 5, ovvero le due Crocifissioni e le due Deposizioni, cercando gli imparentamenti nelle altre tre. Personalmente, mi sento di sostenere che Luini riprende – più o meno nettamente – tipo, schema e posa dei due episodi zenaliani di inizio ‘500, Ecce Homo e Cristo deriso: quest’ultimo soggetto, poi, Luini non lo riprende solo qui, ma in altre due opere. Mentre le somiglianze tra le due Flagellazioni, pur evidenti, sono meno valutabili: chissamai che siano frutto di collaborazione o che addirittura l’imprestito sia inverso.

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Bernardo Luini S.Giorgio a Palazzo_Flagellazione

10_Zenale(Museo Praga)_Flagellazione

Bernardo Zenale (Museo Praga) _Flagellazione

Concludo: si può pensare di risarcire (almeno parzialmente) la Cappellina di tutti i danni e le incurie che ha subito nel secolo scorso, e anche prima? All’uopo, potrebbero servire queste ipotesi? Fermandomi qui, sottolineo solo quanto è divertente studiare la pittura del nostro Rinascimento.

Giorgio Fiorese

(Politecnico di Milano)



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