13 novembre 2013

CRESCERE CON L’ACCESSO AL CREDITO. COMINCIAMO DA MILANO


La recessione, secondo dati e statistiche, è in via di definizione, peccato che gli istituti di credito italiani non se ne siano accorti. Nonostante la Banca d’Italia abbia appena dichiarato che “qualche segnale di attenuazione delle difficoltà di accesso al credito è riportato dalle imprese nei sondaggi, ma l’offerta di prestiti è destinata a migliorare solo gradualmente”, continuano le difficoltà che il governatore Ignazio Visco aveva appena evidenziato alcune settimane fa, invitando le banche a sostenere maggiormente le imprese e le famiglie. Per non parlare delle preoccupazioni di Draghi, sulle possibili perdite per chi ha investito in obbligazioni bancarie italiane.

03cingolano39FBNel nostro paese la crescita vera, cioè quella che crea posti di lavoro e un generale benessere sociale, è subordinata soprattutto all’accesso a fonti di finanziamento da parte di famiglie e PMI, settore imprenditoriale che incide per 71% sulla formazione del PIL. Secondo un’indagine Ipsos sulla percezione della crisi, piccole e medie imprese subiscono i maggiori effetti del credit crunch, con un calo dal 31% al 17% nella propensione a chiedere finanziamenti nei prossimi 12 mesi.

Imprese e autonomi sono meno pessimisti verso alcuni dei principale indicatori economici: nonostante il 54% degli intervistati registri un peggioramento del fatturato, il 72% pensa che, nel prossimo anno, andrà a migliorare. Le previsioni sull’export sono positive, ma si riduce drasticamente la propensione a investire in innovazione, il 79%, non farà investimenti. L’83% dichiara di aver avuto problemi con il ritardo nei pagamenti da parte dei clienti e del 31% che ha chiesto supporto finanziario a una banca, solo uno su tre ha ottenuto il finanziamento.

Probabilmente è necessario ripensare i modelli tradizionali di finanziamento dello sviluppo, coinvolgendo anche soggetti nuovi come i fondi pensione e le assicurazioni. È quello che sostiene Giacomo Vaciago, professore di economia monetaria alla Cattolica che sostiene che “Il ritorno alla normalità richiede una finanza di nuovo utile all’economia reale, che ne favorisca la crescita-qui, altrimenti abbiamo solo crescita-altrove”. Le regole e le strategie spettano ai governi, mentre innovazione e modelli di business appropriati spettano a mercati investitori istituzionali e intermediari. Nel nostro paese il motore dello sviluppo deve essere l’esportazione di nuovi prodotti e una nuova qualità di ciò che è pubblico quali servizi locali, infrastrutture.

O forse basterebbe che le banche seguissero i consigli di Giovanni Bazoli presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa – San Paolo che ha affermato: “Sono convinto, che un’impostazione aperta a interessi generali dell’economia possa risultare nel tempo assai più produttiva di una gestione focalizzata all’obiettivo, assorbente ed esclusivo, dell’incremento di valore per gli azionisti. Sopratutto se questo valore è misurato a breve termine”.

Insomma, senza credito alle imprese non si fa innovazione, senza credito alla famiglie non si vendono né case né tostapane a rate. La politica su questo versante è molto presente con parole, ma con nessuna proposta concreta. Si potrebbe aumentare il fondo di garanzia dello Stato, oppure istituire delle controgaranzie da parte degli enti locali per chi favorisce l’occupazione giovanile. Penso che idee e progetti possano crescere insieme con operatori, organizzazioni sindacali, imprenditoriali e competenze.

Manca solo un partito inserito nella società e non autoreferenziale e questo compito può toccare solo a un nuovo PD, a cominciare da Milano.

 

Massimo Cingolani

 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti