13 novembre 2013

la posta dei lettori_13.11.2013


Scrive Maria Teresa Marsili a proposito di demanio – Per la battaglia sulle aree demaniali vale la pena di combattere a oltranza e farne un ampio dibattito con i cittadini.

 

Scrive Claudio Cristofani a proposito di demanio – Condividerei tutto, ma qualche contraddizione nel tortuoso labirinto che tenta di riportare ogni cosa, come sempre, alla questione della rendita fondiaria, deve pur esserci. La prima. Le aree acquisite mediante esproprio, e quindi destinate a un’opera di pubblica utilità, entrano nel demanio pubblico (statale, ma anche regionale, comunale ecc.). A questo punto diventano strumentali alla funzione pubblica programmata e vengono trasformate a seconda delle necessità della medesima (caserme, stazioni, scuole, strade, …). Se l’interesse della pubblica amministrazione, che altro non rappresenta che l’interesse collettivo, muta nel tempo, deve essere possibile che quelle aree trovino una diversa sistemazione, senza escludere che possano essere collocate sul mercato qualora l’interesse collettivo (reso esplicito e programmato da una scelta di pianificazione urbanistica, per definizione riservata alla medesima pubblica amministrazione) sia l’obiettivo. Non sarebbe la prima volta che la vendita di un bene pubblico determina un vantaggio collettivo, anche semplicemente finanziario.

La seconda. Non ritengo di poter condividere l’affermazione della Vicesindaco secondo cui “senza accordo quelle aree valgono zero”. Infatti sottintende un concetto che deve essere superato e cioè che un’area urbana possa avere un valore economico solo se un accordo urbanistico per la collocazione di volumetrie edilizie consente la collocazione della stessa sul mercato. Forse che, per la De Cesaris, un’area verde non avrebbe alcun valore? Esista un’altra via e proporrei un esempio: la pianificazione urbanistica determina che in una certa posizione la città otterrebbe un grande beneficio dalla realizzazione di un bosco urbano. Questa funzione ha un suo valore, probabilmente non inferiore a quello fornito da altre funzioni “costruite” come scuole, strade, stazioni. Se l’area è già di proprietà pubblica sarà sufficiente eseguire le opere di trasformazione e se l’area è privata (o di altra pubblica amministrazione che non ha il compito di fornire quel servizio progettato dal piano urbanistico) in base all’art. 43 della Costituzione si determinerà e si corrisponderà l’indennità prevista dalla legge. Dov’è il problema? Manca forse, cara Assessore, un progetto di città?

 

Scrive Gherarda Guastalla Lucchini a proposito di demanio– Sono totalmente d’accordo con Luca Beltrami Gadola sul destino delle aree ex ferrovie e simili. Cosa possiamo fare per armarci di armi giuridiche e morali e contrastare davvero i poteri forti e poco morali? Confesso che mi sento demoralizzata e impotente, ditemi che sbaglio!

 

Scrive Dario Maggi a Chiara Copello – Nel suo articolo pubblicato sul n. 38 di ArcipelagoMilano (Segretario provinciale PD: conti, correnti, saldi), Chiara Copello svolge un’analisi piuttosto pessimista sull’andamento del recente voto per la scelta del segretario metropolitano. La votazione si è svolta “secondo i soliti tristi schemi di schieramento e appartenenza”; spesso non si è “tentato un approfondimento sui quattro aspiranti segretario al netto degli schieramenti”, e questo si traduce per l’elettore nella perdita di “un’occasione di esercizio della propria libertà di scelta”, fino ad arrivare ad un “atteggiamento ottuso”, contrario alla “dignità di chi compie questo atto di “obbedienza” e delega incondizionata”. Ora, senza escludere che l’analisi dell’autrice possa essere in certi casi corretta, mi domando: lungo quali linee di forza si articola questo severo (e un po’ liquidatorio) giudizio sull’elettore dei circoli Pd? Copello sembra pensare che tutto ciò che non è valutazione sulle capacità individuali e sul programma di politica locale del candidato sia “logica di schieramento”. Il mio parere di neo-iscritto al Pd (al circolo 02pd, al costo non direi molto “scontato” di 50 Euro) è diverso: senza nulla togliere all’importanza delle opzioni di politica relative al quartiere e alla città, ritengo però che esse siano strettamente legate alle scelte sul modo di concepire il partito e la vita politica nazionale. Per me il giudizio sul modo di affrontare le questioni nazionali anche da parte di candidati a una semplice segreteria provinciale è uno dei criteri fondamentali per dare o no il mio voto. E in questo non vedo alcuna “obbedienza”, alcuna logica di “schieramento” e alcuna “delega incondizionata”.

Copello sembra anche pensare che l’elettore dei circoli Pd arrivi al momento del voto per così dire all’anno zero della propria esperienza e delle proprie opzioni politiche, pronto a farsi plasmare come cera vergine dai programmi elettorali dei candidati. Ma anche su questo la mia storia personale (e ciò che vedo in altri) mi suggerisce ipotesi diverse. Dopo un lungo periodo di attenzione al Pd – passato dalla partecipazione a tutte le primarie – ho deciso di iscrivermi nel momento in cui ho intuito la possibilità di partecipare a un mutamento di prospettiva del partito. Ora, è piuttosto chiaro che – al di là delle indicazioni, parecchie anche condivisibili, presenti in tutti i programmi elettorali – non tutte le candidature andavano nella direzione da me, e da altri a quanto pare, preferita. Anche la scelta del circolo diventa parte di un percorso, non rimane un automatismo legato alla residenza (e la cosa riguarda ad esempio oltre un quarto degli iscritti allo 02pd, che sono fuori zona o addirittura fuori città): se ho deciso di non iscrivermi al circolo sotto casa, ma di affrontare il disagio di attraversare mezza città per partecipare alle riunioni, è tra l’altro perché quanto leggevo di Quartapelle e Bussolati sul magazine online qdR mi sembrava convincente. (È curioso che a Copello – nell’interrogarsi sul perché dei voti conquistati dal candidato Bussolati anche fuori dalla propria zona – sfuggano la sua attività di pubblicista, la campagna elettorale da lui appena svolta per le regionali e la presenza di internet come luogo di dibattito e trasmissione delle idee. Comunque, tutte le volte che ho ascoltato Bussolati in campagna, lui ci ha tenuto a sottolineare, credo saggiamente, che il suo elettorato di riferimento non era solo quello “renziano”).

Chiara Copello ha ragione quando sostiene che occorre “conoscere, informarsi, valutare gli altri” e che è importante “valutare programmi e curriculum” di tutti i candidati, e ci mancherebbe. Ma se poi uno rimane del proprio parere, una spiegazione in termini di “soliti tristi schemi di schieramento e appartenenza” mi sembra – oltre che ingenerosa – inadeguata alla storia di (lenta o rapida) maturazione politica che ritengo coinvolga molti elettori dei circoli Pd.

 

Scrive Giuseppina Barbieri a Giulia Mattace Raso – Si bene, ma ora oltre a non riuscire più a passare su i marciapiedi, causa posteggio autovetture, veniamo investite/i da i ciclisti che corrono velocemente, ti sorpassano, non suonano e dai motociclisti che percorrono in contromano sul marciapiede pur di non fare un giro più lungo sulla strada. Milano è anche per anziane/i e disabili, cosa fate per dare a loro spazio? Le biciclette invadono i marciapiedi.

 

Scrive Vito Antonio Ayroldi a Fabrizio Bottini – La denuncia del professor Bottini è corretta e i rimedi condivisibili e praticati in mezza Europa. Pecca a mio giudizio di quell’astratto razionalismo che escludendo la sfera psicologica dal suo schema di ragionamento finisce per riportarlo in pieno illuminismo. Io in quella zona ci ho abitato per anni. Quella donna, lo vogliamo una volta per tutte, ha fatto qualcosa di semplicemente assurdo; in quelle condizioni atmosferiche era come tentare di attraversare bendati una corsia d’autostrada:si può sopravvivere, ma se ci resti secco non si può solo recriminare è colpa di Autostrade Spa, i limiti di velocità non vengono rispettati. E infatti a sostegno del suo ragionamento il professore usa la categoria incerta quanto debole di “immigrata di fresca data”. Senza quel puntello il ragionamento rischia di trasformarsi in una pura polemica strumentale. La donna immigrata di “fresca data”, risulterebbe però essere residente a Milano. E per avere la residenza presumibilmente non si è immigrati di “fresca data” bensì socialmente inseriti anche se con tutte le difficoltà del caso.

Ora, lo scandalo unilaterale come se da Simmel in poi la psicologia non contasse quanto l’urbanistica, almeno per sopravvivere oltre a non convincere è controproducente. Il professor Bottini questa volta usa uno scalpello spuntato quando saprebbe benissimo maneggiare un bisturi affilato. Ritorna d’attualità il problema della segregazione dei saperi. Quella donna indotta anche ma non solo da una progettazione sconsiderata ha fatto un gesto assolutamente scellerato i cui motivi ignoreremo per sempre anche conoscendo a menadito Marx, Harvey, Haussmann, Berman e chissà chi altro. Cominciando da qui capiremmo meglio forse capiremmo anche di più. No esiste la “causa prima” ma “serie causali”. Anche in Giurisprudenza anche in Dottrina persino in Fisica. Un collegio d’accusa che citasse il Comune come parte in causa e scegliesse la linea Bottini andrebbe incontro a sicura sconfitta. Naturalmente dopo una dottissima e documentata arringa “pseudo marxiana”.

 

Replica Fabrizio Bottini Ringrazio il dottor Ayroldi per l’attenzione al mio modesto contributo, e anche per essersi risposto da solo alle proprie critiche, risparmiandomi così la fatica. Una risposta chiarissima dalle prime battute della sua lettera, visto che giudica le ipotesi spaziali di massima che mi sono permesso di esporre “rimedi condivisibili e praticati in mezza Europa”.

Ecco: se questi sono i rimedi praticabili, condivisibili, tentati da tante città per risolvere o almeno tentare di risolvere l’antico conflitto tra i cofani delle auto e i pedoni che ne incrociano la traiettoria, sfugge invece il motivo per cui il lettore si accanisce contro le brevi premesse (condivise e praticate anche nell’altra mezza Europa e altrove) sul come si è venuta a creare questa situazione di attrito, fra gli spazi dei flussi automobilistici e i cittadini non automuniti. Se riprendere un paio di autori, peraltro noti e prestigiosi proprio per le loro letture e analisi del tema, vuol dire perdere tempo in divagazioni pseudo marxiane, invece di stigmatizzare “gesti scellerati di cui ignoreremo per sempre i motivi”, è solo perché volevo intervenire su quell’aspetto, ovvero delle premesse spaziali dell’incidente, considerando che invece molta parte della stampa di informazione si era soffermata proprio su quei motivi, anziché osservarne in contesto in una prospettiva più generale. Il tutto proprio a costruire una premessa ai famosi “rimedi condivisibili e praticati in mezza Europa”. Se ce ne sono degli altri, di rimedi, magari intervenendo sui gesti scellerati anziché sugli spazi in cui tali gesti scellerati vengono compiuti, siamo qui tutti ad ascoltarli.

 



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