8 giugno 2009

ELEZIONI POTEVA ANDARE PEGGIO,MA NULLA E’ COME PRIMA


Analizzare un risultato elettorale a poche ore dal voto non consente un approfondimento particolare, manca la possibilità di ragionare sui flussi elettorali, di vedere il dettaglio per comuni etc. Tuttavia in questo caso vale la pena farlo, perché l’indicazione di tendenza che esce è abbastanza netta.

Facciamo quindi delle premesse telegrafiche di metodo:

  1. i risultati andrebbero comparati in forma omogenea, anche se spesso questo mal si concilia con la politica. Tanto più che la diversità tra i sistemi elettorali ai vari livelli e tra i periodi in pratica rende la comparazione omogenea impossibile.
  2. la partecipazione elettorale modifica radicalmente i valori
  3. le elezioni europee sono quelle in cui meno vale un criterio di voto utile e di importanza, in pratica sono vissute come un grande sondaggio

e di merito:

  1. il vento di destra è generalizzato in Europa
  2. l’astensionismo rende alcuni risultati del tutto virtuali, ad esempio se leggiamo i risultati francesi senza tener conto delle astensioni pari a due terzi degli elettori, traiamo conclusioni quantomeno dubbie
  3. come in Italia in nessun paese del parlamento europeo importa qualche cosa

 

Ciò premesso vediamo, grossomodo cos’è successo

  1. Come il solito i sondaggi hanno cannato il risultato più importante, cioè a dire quanto prendeva Berlusconi. Nessun sondaggio (vedi tabella) dava il pdl a quella percentuale nazionale. Per meglio dire i sondaggi registrano bene alcuni dati, e male altri, quelli probabilmente influenzati dagli ultimi giorni di campagna elettorale. Non è un errore dei sondaggisti, che sempre dicono che fotografano la tendenza del momento, è un errore della politica non considerare che la campagna elettorale, o per meglio dire il trascorrere del tempo modifica il comportamento dell’elettorato. Diventa quindi abbastanza ridicolo oggi ragionare sulle attese e le previsioni. Questo dato è confermato anche dal comportamento dei partiti “minori” Pannella dato per morto e trascurabile raggiunge il 2,4% pari a oltre 700000 voti, mica micio micio bao bao direbbe greggio. A Milano, tanto per anticipare un dato locale significativo, prendono il 5,5% pari a 35000 voti, sono cioè il quinto partito in città.
  2. Il peso complessivo del centro destra e del centro sinistra, pur considerando che questi termini sono necessariamente di diversa lettura non subisce sostanziali variazioni, ma cambiano radicalmente la composizione e i pesi interni, in particolare del centro sinistra
  3. Il bipolarismo italiano, resta imperfetto. In particolare esiste un’area alleata al pd a macchia di leopardo (basta considerare le elezioni amministrative) che pesa circa il 16/17%% cioè circa 2/3 del voto pd. (in tutte le valutazioni relative al pd occorre considerare la defezione radicale, che in particolare nelle città pesa significativamente) Senza questi voti non è possibile NESSUNA alternativa di governo. Il sogno veltroniano dell’autosufficienza è definitivamente tramontato. Il sogno potrebbe diventare incubo se passasse il referendum.
  4. Il pd resta un partito fortemente caratterizzato da variabili territoriali:23% al nord ovest, 28% nel nord est, 32,4% nel centro, 23% nel sud, 25% nelle isole. Se non s’inverte il quadro del nord ovest e della Lombardia in particolare non si va lontano. La vecchia coalizione prodiana prende alle europee circa 13 milioni di voti, la coalizione Berlusconiana (pdl, Lega, Lombardo, pensionati etc) ne prende circa 14,5 milioni; nel nord ovest rispettivamente sono 4,6 per il centro destra, 2,6 per il centro sinistra. La differenza è fondamentalmente tutta qui. Si conferma cioè che la questione centrale per il pd è la questione del nord.
  5. La sconfitta del pd è netta in termini di partito, lo è molto meno in termini di aree e di potenziali alleanze

 

Se consideriamo la situazione di Milano, che è probabilmente quella che più interessa i lettori di arcipelagomilano, il dato generale non cambia di molto e il nodo politico resta identico:

 

  1. Il centro destra stazione attorno al 50%, rammento che la moratti prese il 51,9% e formigoni il 49,8%, il centro sinistra allargato a rifondazione (cioè l’unione) arriva al 45% aveva il 48%, rammento che Ferrante prese il 47% e Sarfatti il 47,9%. Uno spostamento a destra c’è, ma non è un maremoto In valori assoluti Ferrante perse in citta per circa 24000 voti, Sarfatti per 12700. Oggi il divario è di circa 30000 voti, non un abisso. Quello che cambia è il peso interno. Il PD ha il 25% dei voti in città, questo significa che il resto della potenziale coalizione a sostegno di un futuro candidato a sindaco sulla base delle elezioni europee è del 20% circa. Se cioè l’autosufficienza veltroniana è inesistente a livello nazionale, localmente è puro suicidio. Ovviamente il peso del candidato è quello più rilevante, Albertini vinse nel 2001 con il 57% anche grazie allo scarso appeal del candidato di centro sinistra, sulla propria area.
  2. I numeri ripropongono drammaticamente il dilemma del PD, guardare a destra, al piccolo udc del 3,89%, o alla “sinistra” frammentata: Radicali 5,45%, sinistra e libertà 2,97%, Rifondazione 3,47%.
  3. Notate bene che la percentuale dei votanti alle europee in città del 64,79% non è diversa di molto da quella delle comunali della Moratti 67,5% e delle regionali 67,7%
  4. Se paragoniamo i risultati delle europee del pd a quelle delle politiche, operazione peraltro dal dubbio senso visto che varia di circa 15 punti la percentuale di votanti, il PD subisce una batosta 33,7% contro 25,13% (anche se occorre considerare che gran parte del differenziale negativo è dato sempre dal voto radicale) mentre Di Pietro aumenta del 3% e le sinistre variamente assortite aumentano di circa 2 punti. Paradossalmente la coalizione prodiana prende più voti con la frammentazione delle europee, che con la frammentazione delle politiche.
  5. Ci sarà tempo per ragionare sui flussi elettorali, ma spannometricamente risulta chiaro che il secondo problema per il PD dopo quello delle alleanze è quello degli astenuti. È li che esiste un bacino di elettori in grado di cambiare il quadro.
  6. La disaffezione di parte dell’elettorato pd si vede anche nelle preferenze cofferati capolista 15000 voti in città, Bersani più del doppio
  7. Nel centro destra a Milano il quadro è diverso: forza italia+an avevano il 37,4 cinque anni fa, oggi il 37,2, la lega aveva il 5,5 oggi ha più che raddoppiato, vi è cioè un saldo positivo. Il centro destra appare quindi in città più solido, meno frammentato e capace di attrarre voti nuovi, almeno a base europee.
  8. L’udc resta una realtà poco significativa, ancorché determinante se si ragiona in termini di elezioni dirette.

 

In Lombardia il quadro è desolante:

  1. Berlusconi+lega 56;6%(33,9%+22,7%),UDC 5%, PD 21,3%,Sinistre varie+ radicali 14%, (Area prodi 35;3%). In sostanza la coalizione Formigoni sta oltre il 60%, alle europee, avendo preso alle regionali come candidato il il 53,4% (Sarfatti il 43,6%) come liste il 55,4% (l’unione 42.1%). Rispetto alle politiche (considerando il senato)non è cambiato molto la coalizione di berlusconi aveva il 55,1%,udc 4,2%, veltroni il 32%, l’area prodi aveva all’incirca gli stessi voti di oggi.
  2. Si consolida quindi una maggioranza formigoniana, mentre nell’opposizione diminuisce il pd e si rafforzano le componenti più radicali e estreme.
  3. Il pd a Bergamo è al 16,7%, a Brescia al 19,6%, a Como al 16,3%, a Cremona al 23%, a Lecco al 22%, a lodi al 22,8%, a Mantova al 29,7%, a Milano al 24,6%, a Monza e Brianza al 21,6%, a Pavia al 21,1%, a Sondrio al 14,2%, a Varese al 18,1%
  4. Il quadro delle elezioni provinciali è se possibile peggiore. Escluse quelle che in modo scontato potevano essere attribuite al centro destra, il centro sinistra perde Lecco, Lodi, Cremona al primo turno ed anche dove i presidenti raccolgono più voti percentuali delle liste (cosa del resto senza significato non esistendo il voto disgiunto) non si tratta di numeri significativi. In concreto viene cancellata una radicata convinzione della sinistra già comunista e cioè che anche se si perdono le elezioni politiche, resta una superiore capacità amministrativa che i cittadini riconoscono. In lombardia non è più così, il centrodestra non solo è maggioranza politica ma è anche maggioranza amministrativa. La teoria del partito di plastica berlusconiano, non ha più ragione d’essere. Oggi sul territorio sono molti di più e meglio organizzati gli amministratori del centro destra che del pd.
  5. Alle comunali il centro sinistra perde Pavia e Bergamo, al primo turno. L’unico comune capoluogo contendibile al secondo turno è Cremona con il sindaco uscente Corada, che non a caso i maggiorenti del partito non volevano candidare.
  6. In sostanza vi è uno smottamento del PD alle amministrative e il peso politico del partito in Lombardia dopo queste elezioni, è legato quasi esclusivamente alla possibile vittoria alla provincia di Milano. Penati riesce infatti ad andare al ballottaggio in condizioni difficili ma non impossibili. Se riuscisse a vincere, a tutti gli effetti sarebbe automaticamente investito della vera leadership del partito lombardo e milanese. Se mai si dovesse un giorno riparlare del pd del nord, per la Lombardia l’interlocutore sarebbe solo lui.
  7. In questo quadro le elezioni regionali dell’anno prossimo, devono essere impostate con un salto qualitativo radicale, la riproposizione di uno schema incerto di alleanze e strategie, la scelta di un candidato di scarso appeal, renderebbero la Lombardia una Baviera del centrodestra.

 

In conclusione, sommariamente possiamo dire che: il pd torna al punto di partenza politico dovendo decidere quali alleanze e quale strategia; l’elettorato ha bocciato l’autosufficienza, ma non ha dato una chiara indicazione. Il pd è più debole di un anno fa, soprattutto è un partito meno forte amministrativamente più da opposizione, ma con un potenziale di espansione elettorale e di alleanze che resta abbastanza intatto. In prospettiva la città di Milano resta contendibile , specie se si riuscirà a fare breccia sull’astensione, mentre per la regione Lombardia necessita di un miracolo.

Serve un congresso? Sicuramente, ma sopratutto serve chiarezza e non sempre l’uno è sinonimo dell’altra.

Walter Marossi



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