8 giugno 2009

INTERVISTA A DAVIDE CORRITORE


Questa ultima campagna elettorale è stata senz’altro diversa da quelle che la hanno preceduta, ne abbiamo chiesto le ragioni a Davide Corritore che con un passato trascorso nel mondo della grande finanza per passione politica, nata già ai tempi del liceo, ha partecipato alla stesura del programma di Romano Prodi, per poi nel 2006 candidarsi alle primarie con Bruno Ferrante ed, infine, è eletto – con i voti dell’opposizione – alla carica di Vice-Presidente del Consiglio Comunale di Milano.

Corritore, che impressione le ha lasciato questa campagna elettorale?

A nessuno sarà sfuggito come le elezioni europee si siano svolte rispetto, per certi versi, in sordina: agenda politica determinata dai media, minori messaggi dei partiti al grande pubblico, minore diffusione di volantini o posta “elettorale”, solo pochi cartelli 6X3 (quelli che hanno spopolato nelle scorse elezioni europee. Anche i famosi gazebo, una volta punto di riferimento nelle campagne elettorali, sono stati gestiti spesso con una minore affluenza di pubblico. Insomma, sulle elezioni europee, una campagna più contenuta e ridotta, con uno sforzo immane dei candidati che dovevano raggiungere gli elettori in dimensioni territoriali e circorscrizionali enormi. Un po’ diverso invece il clima nei luoghi in cui si votavano le amministrative comunali, per l’effetto traino esercitato dalle competizioni locali.

Quali, invece le sembra siano le costanti di questa campagna elettorale rispetto a quelle che l’hanno preceduta? È quale il ruolo della stampa?

Ci troviamo di fronte come sempre alla grande frattura: da un lato il centro sinistra, animato fa grandi sforzi dei suo candidati e militanti, ma a corto di disponibilità economiche e finanziarie da mettere a disposizione per una campagna elettorale in grado di raggiungere il grande pubblico, dall’altro una forza di governo che dispone di mezzi, e non solo di comunicazione, in grado di agire in modo capillare. Anche la stampa, di fronte a questa strategia, sembra talvolta assistere impotente a un attacco così fulmineo e prepotente che si muove attraverso azioni “camaleontiche”, ossia capace di fornire assicurazioni, piuttosto che informazioni agli strati sociali più diversi degli elettori in funzione dal pubblico che lo ascolta.

Non sembra appaiono nuovi nomi nel panorama del Parlamento Europeo, dove sono finiti i giovani e le donne? E inoltre, le recenti disavventure del presidente del consiglio avranno delle ripercussioni sul voto degli italiani?

I “grandi nomi” della politica italiana di centro destra, anche senza prendersi la briga di redigere un piano programmatico da sottoporre agli elettori, si sono regolarmente candidati e – per una sorta di automatismo politico – risultano vincitori certi di un seggio a Strasburgo. Attraverso le loro successive e inevitabili dimissioni, sono già pronti a cedere il proprio posto a candidati minori, spesso sconosciuti al grande pubblico, che conquistano immeritatamente un seggio al parlamento europeo. Questi “grandi nomi” della politica nazionale non hanno quindi la necessità di condurre una personale campagna politica, lasciando ad altri questo non facile compito, mentre i recenti scandali nella vita personale del nostro presidente del consiglio non lasceranno traccia evidente sulla scelta di voto da parte degli elettori.

La partecipazione e gli interessi nei confronti delle elezioni europee sembrano particolarmente scarso. Quali sono, secondo le ragioni?

C’è un minor interesse nei confronti delle elezioni europee dei cittadini che considerano il parlamento di Strasburgo troppo distante dai loro interessi: infatti è più contenuta l’affluenza alle urne, fenomeno riscontrabile anche in quasi tutti i Paesi europei. Credo che ciò sia dovuto molto al fatto che il voto europeo è tipicamente un voto identitario e di appartenenza, in un’Italia che ha smarrito questi requisite e si abituata a scegliere tra due opzioni di governo. Siamo insomma il paese dei duelli, e se invece si chiede di riconoscersi in questa i quella parte politica, si fa più fatica a trovare una motivazione forte nella collocazione politica. Per questo credo si voti meno alle uropee.

Questo disinteresse, dovuto alla lontananza del potere si comprende per le elezioni europee. Converrà che i problemi della provincia, anche se non incidono direttamente sulla vita dei cittadini, sono molto più vicini e localistici.

Certo – pone l’accento Corritore – sul tema delle elezioni provinciali che chiama alle urne diversi milioni d’italiani, sta avvenendo esattamente l’opposto. Il fenomeno è meno evidente nei grandi centri urbani. Nelle province chiamate al voto, il riferimento immediato al territorio geograficamente più limitato e a problemi concreti e immediatamente tangibili, l’interesse alla vita politica, ai programmi dei candidati è seguito con un maggiore interesse: distribuzione di volantini, comizi elettorali e scambio d’idee e informazioni sono alla base del successo o meno dei differenti candidati.

Così, mentre le elezioni europee si sono svolte in un clima più stanco, la politica locale, quella soprattutto a livello provinciale sta subendo un ruolo significativo nelle scelte politiche di tipo e di portata locale.

Filippo Beltrami Gadola




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