6 novembre 2013

FAMAGOSTA: UN CIMITERO O UNA HIGH-LINE METROPOLITANA?


Cala il silenzio sulla tragedia dell’incidente di via Famagosta, dove hanno perso la vita una madre e due bambini. E nei giorni di discussione su stampa e social networks l’opinione più diffusa era che tutto sia accaduto soprattutto perché quella giovane signora, immigrata di fresca data a Milano, ancora non avesse assimilato i codici dei comportamenti metropolitani. Quelli che fanno scattare automaticamente segnali interni in corrispondenza di alcuni stimoli esterni. Quelli che dopo un’occhiata alla superficie liscia stesa davanti alle pensiline della stazione MM2 di Famagosta suonano allarme rosso: attenzione, zona a rischio, sotto quella calma piatta apparente si aggirano branchi di squali, sempre. Chi si inoltra lì sopra è sicuro di vederli spuntare. La signora questa sensibilità non l’aveva ancora sviluppata, poveraccia lei, ma che ci possiamo fare noi.

trasporti, strade, comune di milanoForse potremmo fare qualcosa, ad esempio ricordandoci come qualche settimana fa i giornali ricordassero con notevole rilevanza la scomparsa di un intellettuale marxista americano, Marshall Berman, noto per L’esperienza della modernità, che raccontava i devastanti effetti sociali e urbanistici delle autostrade “tagliate con la mannaia” nel tessuto vivo della città. Abbastanza singolare, tra l’altro, che questi ricordi di Berman fossero più o meno contemporanei alla pubblicazione di un’altra edizione italiana importante, Città Ribelli, di David Harvey, che si apre più o meno con la medesima tematica degli sventramenti, sostenendo più o meno la medesima tesi. Ovvero che i tagli con la mannaia nel tessuto vivo della città sono una delle forme più esplicite e violente di espressione del potere contro i cittadini, o se vogliamo una delle punte di diamante dello scontro di classe. L’unica differenza fra lo sventratore paradigmatico Barone Haussmann, e i suoi epigoni del ventesimo secolo, sta nelle specifiche tecniche delle autostrade urbane, e nel volume dei capitali investiti.

Quindi a ben vedere non è affatto vero che nell’incidente di via Famagosta ci sia in campo solo la soggettiva capacità delle persone coinvolte di cogliere e interpretare i segnali della metropoli, reagendo con comportamenti adeguati. Nel caso specifico l’incontro/scontro pare proprio fra un soggetto debole, e una delle forme più potenti di attacco alla città dei cittadini da parte delle forze della modernizzazione autoritaria, ovvero le arterie di grande comunicazione veloce urbane “tagliate con la mannaia” nel tessuto vivo dei quartieri, per dirla col linguaggio compiaciuto dello zar newyorchese dei lavori pubblici, Robert Moses. Una scelta che nel contesto specifico di Milano in via Famagosta rappresenta un caso limite, ma che in tono minore si ripropone in altre zone della città, specie quelle che si collegano direttamente all’anello delle Tangenziali.

Qui, in corrispondenza dell’ex capolinea MM2, ancora a ridosso della città compatta e di grandi quartieri residenziali, si è aperto il varco a un contesto compiutamente autostradale, con una bretella multi-corsia che dal nodo di Assago Milanofiori arriva a scaricare direttamente il traffico nello svincolo su tre livelli, mescolandolo a quello delle circonvallazioni urbane con attraversamenti pedonali. In buona sostanza, le sei corsie che la signora incinta con bambino piccolo per mano ha cercato di attraversare nel buio di una sera di pioggia, altro non sono che un equivalente, anzi un prolungamento diretto, delle Tangenziali, incongruamente sbattuto tra le due fermate dell’autobus. Anche ammettendo il contesto metropolitano e i segnali di allarme che emette per chi li sa cogliere, val la pena chiedersi: ha senso? Ognuno poi si può dare la risposta che preferisce. Io ne proporrei una, magari in prospettiva di medio-lungo periodo.

Da quando hanno iniziato a circolare le immagini del recupero a parco del ponte ferroviario dismesso High Line, a Manhattan, si è accesa la fantasia dei progettisti, che hanno iniziato a immaginare fioriere e alberature un po’ ovunque ci fosse qualcosa di high che si presentasse in forma vagamente di line. Fino a disegnare una sopraelevata Serra-Monte Ceneri trasformata in tranquillo viale pedonalizzato, magari mettendo in secondo piano il fatto che così si sarebbe condannato tutto quanto stava sotto al soffocamento, per via del traffico da e per le autostrade. Con la bretella Milanofiori – Famagosta, anche senza immaginarsi improbabili passeggiate nel verde tra quelle corsie, una cosa è certa: spostare progressivamente più a monte rispetto all’anello autostradale l’interfaccia col traffico urbano, non può fare che bene alla città. In molte metropoli del mondo uno degli strumenti di questo spostamento sono anche le cariche di dinamite, a eliminare certi eccessi di entusiasmo infrastrutturale del passato.

Ma ci sono pure soluzioni meno rumorose e altrettanto efficaci, come i pedaggi, che ad esempio collegati (la smart city è anche questo, no?) a parcheggi e mezzi pubblici opererebbero in modo più efficiente di uno svincolo su vari livelli in mezzo alla città. Qualsiasi cosa, pur di non dover essere ancora costretti a spiegare le stragi con gli strumenti della psicologia da dilettanti.

 

Fabrizio Bottini

 



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