6 novembre 2013

sipario – ORPHÉE ET EURYDICE


ORPHÉE ET EURYDICE

Balletto contemporaneo in atto unico

Regia e coreografia
di Frédéric Flamand. Scenografia, luci e costumi di Hans Op de Beek. Musica di Christoph W. Gluck (versione francese di Hector Berlioz). Coproduzione dell’Opéra Théâtre de Saint-Etienne I e del Ballet National de Marseille

 

teatroLa storia è quella nota, raccontata molto sentimentalmente anche dal poeta latino Virgilio. Orfeo è un poeta e musico che con la bravura del proprio canto trascinava boschi e pietre, aveva una moglie bellissima, Euridice, che per sfortuna venne morsa da una vipera e morì. Il dolore di Orfeo era tale che non smise mai di cantare la perdita dell’amata moglie, al punto da commuovere persino la tremenda regina degli inferi, Persefone, la quale gli permise di scendere nel regno dei morti, recuperare l’anima della povera Euridice e riportarla nel mondo dei vivi. Una sola era la condizione da non violare: nel tragitto di risalita e riemersione dall’Ade Orfeo non si sarebbe dovuto voltare mai indietro a guardare la moglie. Inspiegabilmente, però, appena prima dell’uscita, Orfeo si voltò a guardare Euridice e la vide svanire risucchiata nell’Ade, stavolta per sempre.

La creazione di Flamand si configura come un’opera di ‘collaborazione’ delle arti: la danza si fonde al canto lirico sullo sfondo di istallazioni scenografiche proiettate e anche fisiche di architettura ‘fai-da-te’, quasi a simboleggiare il corteo delle nove Muse, di classica memoria. Purtroppo, nonostante l’intento fosse nobile e lodevole nella realizzazione, ogni tanto si aveva l’impressione che la danza – regina dello spettacolo – perdesse di importanza di fronte agli acuti e ai virtuosismi delle arie liriche oppure di fronte alle stravaganze della scenografia; e l’impressione generale portava a ritenere che questo non fosse un elemento ricercato, ma solo imprevisto.

I danzatori del Balletto di Marsiglia dalle fisicità così composite e diversificate, rispetto alla (qualche volta) rigida e ‘dittatoriale’ scelta fisica del balletto classico, ha dato respiro ed espressione alla danza, che si configurava con i movimenti morbidi e sinuosi tipici della danza contemporanea francese, che in Roland Petit ha il suo vate, ma che da Roland Petit prende le distanze riuscendo nell’intento di creare una propria identità firmata Marsiglia e Flamand. Alla morbidezza dei movimenti contemporanei è stata spesso (e a volte troppo) mescolata la tecnica classica, anzi meglio neoclassica, come nel personaggio femminile d’argento che avrebbe potuto rappresentare Persefone; oppure nell’ensemble di pas de deux neoclassici, che perdevano un po’ di importanza nell’aria lirica usata come base.

Le scene erano ben definite nella successione, ma la ‘storia’ (se di narrazione si può parlare nel balletto contemporaneo) non aveva una chiara delineazione né per chi conoscesse il mito di Orfeo ed Euridice, che dal titolo del balletto non poteva non essere condizionato, né per chi non lo conoscesse e si basasse sull’immagine e la mimica: infatti, i costumi si ispiravano all’ambito professionale con tailleurs per le donne e abito per gli uomini, che potevano rimandare lo spettatore alla psicologia delle nevrosi moderne. Un interessante motivo è stato quello di sdoppiare il personaggio di Orfeo in un Orfeo bianco e un Orfeo nero. Infatti, attraverso lo sdoppiamento si è potuto immaginare e in un certo senso spiegare la violazione della condizione dettata dalla regina dei morti, come di un Orfeo nero che, nevrotico e combattuto, non vorrebbe più riprendere Euridice e di un Orfeo bianco risoluto che riprende la moglie e alla fine vince. Da notare che il mito viene cambiato, la storia ha un lieto fine: Orfeo si ricongiunge a Euridice e riemergono dal regno dei morti.

Tuttavia, una chiara linea direttrice nella sceneggiatura tra il richiamo al mito classico del titolo (si ricordi anche che proprio in francese Orphée et Eurydice è una famosa tragedia seicentesca di Racine) e lo sviluppo figurativo-rappresentativo dello spettacolo non è stata chiaramente delineata. Al di là di certi eccessi e ‘sovraccarichi di Muse’ e delle molte domande sulla regia e sceneggiatura, lo spettacolo è stato piacevole a tratti emozionante, la tecnica e l’espressività dei ballerini di Flamand molto buona e bilanciata tra scatti atletici e virtuosistici, tipici del balletto classico, e movimenti morbidi della tecnica contemporanea.

Domenico G. Muscianisi

Teatro Elfo Puccini di Milano, «MilanOltre» 2013 (XVII edizione), spettacolo del 6 ottobre 2013

questa rubrica è a cura di Emanuele Aldrovandi e Domenico G. Muscianisi

rubriche@arcipelagomilano.org



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