8 giugno 2009

MILANO E LE PICCOLE “ECCELLENZE”


Da un po’ di tempo a questa parte, più o meno quindici anni, leggendo i giornali cittadini abbiamo solo notizie riguardanti “eccellenze”.Non si tratta di magistrati o ambasciatori, ma di titoli appioppati alle inaugurazioni di negozi, trasferimenti di reparti ospedalieri e prime teatrali: non c’è uno solo di questi “avvenimenti” che non sia accompagnato da un brodolento coro di plauso ed esaltazione dell’evento, che resta peraltro confinato generalmente nella cerchia dei Navigli, senza che il mondo intero si unisca ai turiboli di accompagnamento .

A prima vista particolarmente inspiegabile è il coro che accompagna ogni manifestazione teatrale, musicale e museale, soprattutto provenendo, nel caso della classe politica cittadina, da gente che non sempre ha avuto un buon rapporto con la cultura. Oggi invece fra giunte di centrodestra e istituzioni culturali cittadine tutto sembra girare a mille.

Non era così al tempo che il vostro Giano Bifronte finisce sempre per rimpiangere: Paolo Grassi e Giorgio Strehler, mettessero in scena la Vita di Galileo o L’Opera da Tre soldi, aspettavano con trepidazione il giudizio dei critici teatrali cittadini, in particolare quello dei severissimi articolisti dell’Avanti e dell’Unità, che non si facevano certo scrupolo di scaricare “fuoco amico” sulla produzione del Piccolo appena non fossero convinti di qualche particolare. E che dire degli artisti dell’avanguardia, da Schifano a Fontana, che nemmeno a Brera erano al sicuro dalle invettive di qualche sodale deluso e solo nella pacifica Albissola trovavano ammiratori fedeli; o dell’implacabilità del Loggione della Scala, in grado di atterrire anche i propri miti come la Callas?

Cultura e spettacolo erano parte della società civile e politica milanese e ne riflettevano le pulsioni, le sensazioni ed anche le contrapposizioni, non erano orpelli estranei a tutto: la politica aveva con la cultura un rapporto di “odi et amo”, la favoriva senza mai smettere di temerne la potenziale carica critica. Aniasi, Tognoli, Pillitteri forse pensarono qualche volta di poter “usare” Fo, Gaber o Strehler ma lo facevano con grande circospezione, sapendo che le affiliazioni di questi personaggi potevano riuscire solo a processo di trombonizzazione molto avanzato, pena l’esplosione improvvisa d’incidenti incontrollabili.

I “nuovi” dirigenti di Milano hanno invece trovato un modus vivendi migliore, magari avendo minori velleità culturali personali? Temo di no.

Credo che i sindaci imprenditori abbiano più semplicemente assegnato una “mission” specifica a quelli che considerano dei “marchi” affermati e abbiano investito di conseguenza. La “mission” è, neanche a dirlo, quella di coadiuvare lo sviluppo della città in senso edilizio, il vero “core business” delle giunte Albertini e Moratti: così la Scala è trasferita di peso agli Arcimboldi durante la ristrutturazione, invece che all’ex Ansaldo, come qualsiasi logica economica avrebbe imposto; Tronchetti Provera “regala” alla città un teatro privo di qualsiasi ragion d’essere (non paga alcuni miliardi di vecchie lire di oneri di urbanizzazione crash, ma non si deve sottilizzare), ricevendo in cambio cinque anni di valorizzazione, con prime pagine di giornali in tutto il mondo, del business edilizio della Bicocca che stentava terribilmente e, non appena raggiunto il “sold out” degli edifici, sparisce dalla circolazione lasciando spazio ad un dibattito sull’uso del “suo” teatro che ha dovuto prendere in seria considerazione l’ipotesi dell’abbattimento.

E che dire della Triennale che può permettersi i bilanci di un rosso così profondo, da essere attribuibile a Dario Argento più che al geniale Davide Rampello, a patto di trasferirsi nella zona dei gasometri della Bovisa prima ancora che i capannoni siano demoliti, oppure del Museo di Arte Moderna che prima è inserito nella convenzione della lottizzazione di Santa Giulia, poi, con la difficoltà di Ligresti per Citylife e la caduta in disgrazia di Zunino, balza disinvoltamente sulla carta in zona ex Fiera. Anche la Scala, l’eccellenza che più eccellente non si può, esiste per la nostra Sindaco solo nella sera del 7 dicembre, per organizzare una sobria cena commerciale per 500 persone a Palazzo Marino utile per “lavorarsi” i rappresentanti della Nigeria e del Burkina Faso per il voto per l’Expo.

E’ naturale che i nostri tutelino i marchi in scuderia, a prescindere dalla qualità della proposta culturale che, per definizione, ha un andamento necessariamente oscillante: non importa sei i cantanti “steccano”, la regola è che “il pranzo è ottimo e abbondante e il capitano è molto buono con me “, come si scriveva alla mamma al tempo della leva obbligatoria. Ed è altrettanto naturale che il Piccolo teatro o l’Orchestra Verdi ricevano minori attenzioni dalla Nostra Signora di Milano: mica può portare qualche petroliere arabo a sentire prosa in italiano oppure organizzare la cena di dopoteatro alla pizzeria etnica dietro l’Auditorium!

Ancora una volta, dobbiamo convenire: si stava meglio quando si stava peggio. Anche per la (vera) cultura.

Franco D’Alfonso

 


 



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