30 ottobre 2013

arte – LE FAULT LINES DI ALLORA & CALZADILLA


LE FAULT LINES DI ALLORA & CALZADILLA

La Fondazione Trussardi torna con una grande, interessante mostra dedicata alla coppia di artisti Allora & Calzadilla, dedicandogli la prima monografica italiana. Ma in Italia i due artisti erano già sbarcati, nel 2011 alla Biennale di Venezia, per rappresentare gli USA. Lo fecero in modo ironico e spietato: un carro armato capovolto diventava un enorme tapis roulant, un grottesco attrezzo sportivo che sottolineava la corsa e le mire espansionistiche degli Stati Uniti.

E sempre per la prima volta uno storico palazzo milanese apre le sue porte per ospitare una mostra di arte contemporanea: Palazzo Cusani, importante residenza privata di stampo barocco ma rinnovata in stile neoclassico da Giuseppe Piermarini nel 1779, già residenza dei generali Radetzky e Cadorna. Oggi Palazzo Cusani è sede del Comando Militare Territoriale di Milano e del Circolo Ufficiali di Presidio dell’Esercito, oltre che del Comando del Corpo d’Armata di Reazione Rapida della Nato.

Jennifer Allora e Guillermo Calzadilla, americana lei, cubano lui, si conoscono in un viaggio studio a Firenze, e dal 1995 iniziano a lavorare insieme. Le loro opere sono un mix di linguaggi e sperimentazioni, video, scultura, fotografia, ma anche performance e musica, che analizzano la società contemporanea con occhio acuto ma allo stesso tempo delicato e sottile. Per loro l’arte è un pretesto per indagare concetti chiave del nostro presente, quali l’identità nazionalità, la democrazia, il potere, la libertà, la partecipazione e i cambiamenti sociali.

Il titolo della mostra è quanto mai indicativo, Fault Lines, cioè alla lettera, linee di faglia, linee instabili, frastagliate, create da quelle fratture del suolo che si formano nel punto di incontro tra due masse rocciose in movimento. Ecco dunque che queste linee diventano linee di confine, fisiche e simboliche tra due mondi: Occidente e Oriente, uomo e animale, antico e moderno. Nei magnifici spazi di Palazzo Cusani Allora & Calzadilla presentano un’imponente selezione di lavori recenti, per lo più inediti in Italia, e nuove produzioni realizzate appositamente per la mostra.

Dal cortile allo scalone d’onore, di sala in sala passando per lo straordinario salone da ballo, si susseguono installazioni, video, sculture, performance e tanta musica, rendendo le stanze affrescate e stuccate inedite testimoni di una storia moderna e in divenire.

Come in una sorta di carillon gigante, lo spettatore rimarrà ammaliato dalla grande scultura -installazione del cortile – Sediments, Sentiments
(Figures of Speech) -, dove tenori e soprani giovanissimi sono rinchiusi in una grotta di poliuretano e cantano a turno riprendendo i discorsi tenuti dai più importanti uomini del ‘900, in una sorta di paradossale e spiazzante botta e risposta; un trombettiere dai movimenti lenti accompagna su per le scale che portano al grande salone, in cui un pianista dentro, letteralmente, un pianoforte a coda, si muove per la stanza e suona (al contrario) la Nona Sinfonia di Beethoven. Per passare ai video bisogna poi attraversare una porta umana fatta di ballerini che fondono insieme movimenti militari, passi di danza e gesti meccanici.

I video sono lirici e intensi e fanno parte di una nuova trilogia in cui gli artisti indagano la storia della musica e in particolare cercano di capire il legame tra le culture primitive, le nostre origini e la funzione del suono: dalla serenata fatta da Tim Storms, l’uomo con la voce più bassa al mondo, che canta una nenia davanti allo scheletro di due elefanti portati a Parigi come bottino di guerra alla fine del ‘700, all’interno del Museo di Scienze Naturali di Parigi; al suono del primo strumento musicale della storia, un flauto di 15.000 anni fa ricavato dalle ossa di un grifone, suonato proprio davanti a un grifone in carne e ossa.

L’ultimo incredibile video unisce ancora una volta storia e musica: Allora & Calzadilla hanno filmato la Venere di Lespugue, conservata al Musée de l’Homme di Parigi, straordinario manufatto primitivo in avorio. Secondo alcuni studiosi, nelle scanalature di quelle sembianze femminili esagerate si nasconderebbe la scala musicale diatonica, conosciuta dai Greci come “modo dorico”. Su quel canone si sviluppa il concerto di violoncello composto da David Lang, e suonato davanti alla scultura.

Allora & Calzadilla sembrano dirci che la musica rimarrà dopo di noi, e che è anche una traccia, (una linea) formidabile che ci lega anche al nostro passato più remoto.

Allora & Calzadilla. Fault Lines Palazzo Cusani, via Brera 15 Milano, 22 Ottobre – 24 Novembre, 2013 Ingresso libero tutti i giorni dalle 10.00 alle 20.00

 

 

AUTUNNO AMERICANO PARTE 2: ANDY WARHOL

Dopo la grande mostra in Triennale del 2004, e una monografica di stampe al Museo del Novecento questa primavera, Andy Warhol torna a Milano con una super esposizione: le opere della collezione di Peter Brant. La mostra si presenta subito come una grande retrospettiva del lavoro dell’artista originario di Pittsburgh, comprendente alcune delle sue opere più famose e conosciute a livello mondiale, per un totale di oltre 150 opere d’arte, tra dipinti, serigrafie, sculture e fotografie.

La mostra, curata da Francesco Bonami e dallo stesso Peter Brant, sarà un’occasione interessante per approfondire la figura, a torto ritenuta spesso solo superficiale e frivola, di Andy Warhol, artista invece ben più complesso e tormentato. Peter Brant, magnate americano, fu intimo amico di Warhol, e ad appena vent’anni iniziò a comprare i lavori dell’artista, partendo proprio dalla famosa lattina di zuppa Campbell riprodotta da Warhol.

Sarà un legame lungo tutto una vita quello che accompagnerà l’avventura di Brant e Warhol, che vissero e segnarono insieme i pazzi anni ’60 e ’70 della scena newyorchese. Un sodalizio di vita e lavoro il loro, che sfocerà nella collaborazione tramite la rivista “Interview”, fondata dallo stesso Warhol nel 1969 e acquistata da Brant e dalla sua casa editrice dopo la morte dell’amico, avvenuta nel 1987 in seguito ad un’operazione chirurgica finita male.

La mostra presenta capolavori assoluti, che caratterizzano la collezione Brant come una delle più importanti e significative a livello internazionale rispetto alla produzione warholiana. Attraverso un percorso cronologico si potrà ricostruire a tutto tondo la figura di Warhol, partendo dai suoi inizi come grafico e pubblicitario, famoso già all’epoca per rivoluzionari e particolarissimi disegni di calzature femminili e per il suo atteggiamento irriverente.

La pubblicità però era solo l’inizio. Warhol voleva far parte dell’elite artistica, ecco perché si rivolse sempre più all’arte e al mondo pop, ovvero a quel substrato culturale che coinvolgeva tutti gli americani, dal Presidente all’uomo comune. Il suo universo si popola di lattine di zuppa, di Coca-Cola, di scatole di detersivo Brillo; dalle sue tele si affacciano Liz, Marilyn, Elvis, Jackie e tanti altri divi osannati dall’America, e che però ebbero anche, quasi Warhol fosse stato un profeta, fini tragiche o destini infelici. Come a dire, l’apparenza, nonostante i colori e i sorrisi smaglianti, inganna.

Una presa di coscienza di quello che l’americano medio aveva sotto gli occhi tutti i giorni, visto al supermercato o sui giornali, e che Warhol ripropose ingrandito, ripetuto fino allo sfinimento, disarticolato, sovrapposto e modulato, ma senza mai criticare. Anzi. La pop art di Warhol è lontanissima dal voler lanciare invettive contro il consumo smodato o il capitalismo. Warhol stesso ci era cresciuto, e la cosa più naturale per lui era proprio partire da quello che conosceva meglio e che poteva riguardare tutti. Senza messaggi nascosti o significati troppo profondi.

Oltre ai famosi Flowers multicolor e ai ritratti di Mao, paradossale vera icona pop, la mostra propone anche le rielaborazioni che Warhol fece di un grande classico come l’Ultima Cena di Leonardo; così come stupiranno una serie di Portraits, di autoritratti che l’artista si fece grazie alle polaroid che amava tanto, e che usava per riprendere anche i suoi amici Mick Jagger, Diana Ross e Jane Fonda. Tutti presenti in mostra.

Emerge così un Warhol non solo mondano e padrone del suo palcoscenico, la celeberrima Factory, in cui numerosi assistenti producevano effettivamente le sue opere, ma anche un Warhol più introverso, spaventato forse da quella celebrità raggiunta e cercata, ma che era diventata perfino pericolosa. Fu infatti vittima di un tentato omicidio, per mano di una femminista, e dal quale si salvò per miracolo nel 1968.

Vittima di un diverso colpo di arma da fuoco fu invece una delle opere più famose di Warhol, una Marilyn blu che venne colpita da un proiettile in piena fronte, sparato senza motivo da un’amica dell’artista nel 1964. Da quella data l’opera venne chiamata, per l’appunto, Blue Shoot Marilyn. Ennesimo esempio del circo che circondava l’artista e che lui osservava quasi in disparte, dietro i suoi occhiali da sole e al riparo di una parrucca argentata.

WARHOL, DALLA COLLEZIONE PETER BRANT Palazzo Reale fino al 9 marzo 2014 Orari: Lunedì: 14.30–19.30 Dal martedì alla domenica: 9.30-19.30 Giovedì e sabato: 9.30-22.30 Prezzi: Intero 11 euro, ridotto 9,50 euro.

 

 

JOSEP ALBERS TORNA A MILANO

Milano celebra il genio di Josep Albers attraverso una mostra in due sedi che ripercorre alcuni degli aspetti fondanti della carriera del grande artista modernista ed esponente del Bauhaus, promossa dalla Josef & Anni Albers Foundation. Fino al 6 gennaio presso la Fondazione Stelline sarà possibile visitare Josef Albers. Sublime Optics, prima mostra monografica milanese dedicata all’artista tedesco.

Curata e allestita da Nick Murphy (Projects Director della Josef and Anni Albers Foundation) la mostra offre una prospettiva unica su questo grande artista e maestro del Bauhaus, raccogliendo rari disegni giovanili, interessanti ed emozionanti vetri colorati, vetri sabbiati e una selezione di

dipinti astratti.

Il percorso espositivo presenta 78 lavori realizzati all’inizio della sua carriera artistica, quando Albers insegnò in Vestfalia, per arrivare fino agli ultimi giorni della sua vita: dal primissimo disegno conosciuto fino all’ultimo e straordinario Omaggio al Quadrato.

Una carriera artistica permeata, nonostante le rigide geometrie e strutturazioni delle sue opere, dalla sua religiosità cattolica e dal suo credere fermamente che, applicando il talento artistico con dedizione e verità, sarebbe stato possibile trasformare la realtà quotidiana in modo miracoloso.

“La mostra – afferma Nick Murphy – analizza gli esperimenti del maestro con la luce (attraverso raffinate manipolazioni di colore, forme e linee) in modo da creare ulteriori misteri nel mondo, misteri che possano funzionare come esercizi spirituali per nostri occhi. È come un ottico mistico che ci fa indossare lenti per veder meglio il sublime intorno a noi”.

L’iniziativa alla Fondazione Stelline è il primo “ritorno a Milano” delle opere dell’artista dopo quasi ottanta anni di assenza. L’ultima volta che Albers ebbe una mostra personale in città fu quando l’amico e collega della Bauhaus Wassily Kandinsky organizzò una mostra delle sue stampe presso la galleria “Il Milione” nel 1935, a un anno dalla chiusura del Bauhaus (di cui Albers fu studente e docente dal 1920 al 1933).

La seconda esposizione Imparare a vedere: Josef Albers professore, dal Bauhaus a Yale in programma dal 2 ottobre al 1 dicembre 2013 nella Sala Napoleonica dell’Accademia di Brera è curata da Samuele Boncompagni e da Giovanni Iovane e approfondisce l’impatto dell’innovativo metodo d’insegnamento di Albers, dapprima al Bauhaus, quindi al Black Mountain College di Asheville (North Carolina, USA), dove emigrò con la moglie alla chiusura del Bauhaus tedesco, e infine alla Yale University di New Haven (Connecticut, USA).

La passione e la creatività impiegate da Albers durante le sue lezioni saranno rilette attraverso quattro Omaggi al quadrato di Albers e cento tra documenti, foto, libri, materiale didattico dello stesso Albers e dei suoi studenti, che documentano in maniera approfondita la qualità del suo insegnamento.

JOSEF ALBERS. SUBLIME OPTICS, Milano, Fondazione Stelline (corso Magenta 61), fino al 6 gennaio 2014, orario di apertura: dalle 10 alle

 

 

IL VOLTO DEL ‘900: CAPOLAVORI DAL POMPIDOU DI PARIGI

Cosa ci fanno insieme capolavori di Matisse, Bacon, Mirò, Picasso, Magritte e un’altra cinquantina di artisti del secolo scorso? Sono solo alcuni dei protagonisti indiscussi della mostra Il Volto del ‘900, antologica con 80 opere d’arte provenienti dal prestigioso Centre Pompidou di Parigi e che ripercorre la storia del ritratto dall’inizio del ‘900 ai (quasi) giorni nostri.

Il ritratto è una delle forme d’arte più antiche della storia, il cui uso è variato molto nel tempo, a seconda dell’epoca e delle classi dominanti. Dall’arte egizia al Rinascimento, dalla nascita della borghesia alla ritrattistica ufficiale, il ritratto è stato veicolo di rappresentazione di mondi interi, ognuno col suo codice linguistico, di valori e di simboli. E nel ‘900? Il ritratto sembra essere giunto alla resa dei conti con la grande invenzione della fotografia:un confronto/scontro che se da una parte lo ha condotto all’emarginazione dal punto di vista utilitario, dall’altra ne ha fatto riscoprire anche un nuovo utilizzo e un nuovo potenziale, come si resero conto anche gli stessi Impressionisti già dalla fine dell’800.

Il ‘900 è stato il secolo difficile, nella storia come nell’arte. Gli artisti, testimoni di guerre e genocidi, si sentono impossibilitati a esprimere il volto umano delle persone, ed ecco allora che ne rappresentano il volto tragico. La nascita della psicanalisi di Freud, l’annientamento dell’Io singolare a favore di un Io di massa portano a rivoluzionare il ritratto, che diventa non solo rappresentazione fisica ma anche e soprattutto rappresentazione intima e interiore del soggetto.

Le avanguardie si scatenano: rovesciano tutti i canoni, l’astrazione entra prepotente, i colori si allontanano dalla realtà, i soggetti non sono più seduti in posa nello studio dell’artista ma vengono copiati da fotografie prese dai giornali, dando vita a opere fino a qualche anno prima impensabili, di grande rottura e scandalo. Picasso (in mostra con 3 lavori) docet.

La mostra, curata da Jean-Michel Bouhours, conservatore del Centre Pompidou, presenta sei sezioni tematiche, incentrate su temi filosofici o estetici. I misteri dell’anima, l’autoritratto, il formalismo, il surrealismo, caos e disordine e infine l’arte dopo la fotografia coinvolgeranno il visitatore in questa galleria di opere che si snoda da sculture di eccezionale valore, come la Musa dormiente di Brancusi, e il Ritratto del fratello Diego, di Alberto Giacometti; passando per l’autoritratto angosciante di Bacon e quello a cavallo tra futurismo e cubismo di Severini; senza dimenticare i dipinti stranianti di Magritte e Mirò, e per poi concludere, con molti capolavori nel mezzo, con l’iperrealismo di Chuck Close e il Nouveau Realisme di Raysse.

In un mondo in cui siamo bombardati di immagini e i nostri autoritratti impazzano sui social network, la mostra del Pompidou aiuta a contestualizzare e a comprendere perchè questa “fame di immagini” ci è, forse, scaturita.

ll Volto del ‘900. Da Matisse a Bacon – I grandi Capolavori del Centre Pompidou Palazzo Reale Fino al 9 Febbraio 2014 Prezzi: Intero 11 euro, ridotto 9,5 euro. Lunedì 14.30-19.30; da Martedì a Domenica 9.30-19.30; Giovedì e Sabato: 9.30-22.30

 

 

GLI IRASCIBILI DI NEW YORK

Si è aperta da pochissime ore la prima mostra di quello che è stato già ribattezzato come “l’autunno americano” di Milano. A fare da apripista è niente meno che la celebre Scuola di New York, il movimento conosciuto anche come Espressionismo Astratto. La mostra, intitolata “Pollock e gli Irascibili”, è una panoramica dei lavori degli artisti più significativi che lavorarono in America dagli anni ’30 agli anni ’60, rivoluzionando totalmente il concetto di arte, soprattutto quella americana, e che spostarono quindi il centro d’azione e di interesse dalla vecchia e ormai stanca Parigi, alle sponde della Est Coast di New York e dintorni. Pollock, Kline, Rothko, Motherwell, Still, Newman e tanti altri furono i protagonisti di quegli anni di grandi cambiamenti, artisti profondamente rivoluzionari e determinati nel portare avanti la loro nuova arte.

Ma perché si ricordano spesso con questo appellativo, che è passato alla storia, di Irascibili? Tutto nacque nel 1950, quando il Metropolitan Museum di New York annuncia l’organizzazione di un’importante mostra dedicata all’arte contemporanea americana. Esclusi dagli artisti invitati a esporre sono i pittori che a partire dalla seconda metà degli anni Trenta hanno mosso i primi passi verso un linguaggio pittorico nuovo, libero dal passato e chiamato, tra le diverse etichette date al gruppo, Action Painting. Etichetta però non significa uniformità. Nel gruppo c’è chi pratica una pittura molto libera e dinamica, il dripping di Pollock, e chi invece, come Rothko, usa i colori in modo meditativo e contemplativo; o chi ancora, come de Kooning, pratica un violento Espressionismo.

Ecco dunque che il gruppo, nella sua interezza, si sente rifiutato, e decide quindi di scrivere una lettera al New York Times, in cui gli artisti dichiarano il totale dissenso nei confronti delle posizioni assunte dal museo. Nel gennaio del 1951 la rivista “Life” pubblica l’emblematica fotografia di Nina Leen che ritrae i diciotto “Irascibles” vestiti da banchieri. Al centro Pollock, oltre a de Kooning, Rothko, Newman, Motherwell, Adolph Gottlieb, William Baziotes, James Brooks, Hans Hofmann, Bradley Walker Tomlin, Jimmy Ernst, Weldon Kees, Ad Reinhardt, Richard Pousette-Dart, Fritz Bultman, Theodoros Stamos, Clyfford Still e Hedda Sterne, unica donna a completare il gruppo.

Una protesta che avrà successo. Di lì a poco tempo il Whitney Museum deciderà di tener fede allo scopo per cui era nato, e inizierà a comprare i lavori degli artisti ad appena un paio di anni dal momento in cui vengono conclusi. È una rivoluzione e una vittoria. Il Whitney diventa il museo degli artisti contemporanei, e nel tempo vanterà uno dei nuclei di opere dell’Espressionismo Astratto più importanti e significativi al mondo. Ecco perché le circa 50 tele provengono proprio dalla collezione del Whitney.

Gioiello e immagine-simbolo della mostra non poteva che essere un dripping di Pollock, Number 27, quasi tre metri di tela “sgocciolata”, opera unica e delicata, che occupa una parte centrale dell’allestimento della mostra. Se siete in attesa di andare a vedere la collezione del Whitney Museum a New York, gli Irascibili a Milano sono il giusto compromesso per iniziare a gustare e a capire perché l’Action paiting fu così rivoluzionaria.

Pollock e gli irascibili Palazzo Reale, Milano fino al 16 febbraio 2014, Lunedì: 14.30–19.30 dal martedì alla domenica: 9.30-19.30 Giovedì e sabato: 9.30-22.30 Biglietti: 11,00 intero, 9.50 ridotto

 

 

I SETTE SAVI DI MELOTTI

Dopo quasi cinquanta anni di assenza tornano a far bella mostra di sé i Sette Savi dello scultore Fausto Melotti. Le sculture, restaurate con il contributo di SEA- Aeroporti di Milano, attenderanno da qui al 10 novembre i viaggiatori e i frequentatori dell’aeroporto di Malpensa presso la Porta di Milano, tra l’ingresso del Terminal principale e la stazione ferroviaria che conduce in città. La Porta, progettata dagli architetti Pierluigi Nicolin, Sonia Calzoni (che hanno curato l’allestimento della mostra), Giuseppe Marinoni e Giuliana De Gregorio, con i suoi effetti d’atmosfera, esalta e valorizza i giganti di pietra di Viggiù scolpiti da Melotti con un forte richiamo alla metafisica dechirichiani.

I Sette Savi hanno una lunga e travagliata storia alle spalle. L’opera fu concepita infatti come un insieme di 12 gessi per la sala disegnata dagli architetti B.B.P.R. (Banfi, Belgiojoso, Peressutti, Rogers) e intitolata “Coerenza dell’uomo” della VI Triennale di Milano. Di queste sculture ne sopravvissero intatte solo sette e questo stesso numero portò Melotti a non volere reintegrare le cinque perdute. L’opera infatti acquisì un nuovo senso, facendo riferimento alla magia del ‘sette’ che da sempre compare nella storia dell’uomo con significati filosofici e religiosi: nel Buddismo è il numero della completezza, nel Cristianesimo sette sono i sacramenti e i doni dello Spirito Santo, nella religione islamica il sette identifica gli attributi fondamentali di Allah. Questo numero ha non solo nella religione, ma anche nella cultura – astronomica, storica, mitologica – un forte significato simbolico. Sette sono le arti liberali, le virtù teologali, i peccati capitali, le meraviglie del mondo e i metalli della trasmutazione alchemica.

Dovendone produrre altre versioni, l’autore decise quindi di creare sempre e solo sette elementi. Ogni scultura è simile ma differente dalle altre, creando un ritmo quasi musicale come era tipico della cultura astratta di Melotti. Lo scopo dei Savi sembra quello di far riflettere sulla compostezza e l’aspetto sacrale di coloro che dedicano la loro vita alla conoscenza, con profonda concentrazione e forza di volontà.

Al grande pubblico era però già possibile vedere “altri” Savi di Melotti in un paio di versioni: quella in gesso, esposta al MART di Rovereto, eseguita nel 1960, e quella in marmo di Carrara creata nel 1981 ed esposta nel giardino del PAC di Milano, visibile anche dalla vetrata interna.

Ma questi giganti di pietra, dove erano finiti per quasi cinquanta anni? I Sette Savi in questione vennero commissionati dal Comune di Milano allo scultore trentino per adornare, nel 1961, il giardino del Liceo Classico Giosuè Carducci di via Beroldo, e l’opera fu selezionata da una commissione composta dagli architetti Piero Portaluppi, Franco Albini e Renzo Gerla, allora consulenti del Comune. Fu pagata 5.805.000 lire, una cifra considerevole per i tempi anche se, visto il valore odierno, fu anche un lungimirante investimento economico.

Nel 1964, due statue vennero danneggiate dagli studenti; e da allora, l’opera giaceva in un deposito del Liceo, in attesa del suo recupero, dimenticata e acciaccata. Dopo un restauro costato 18.000 euro ecco che ora i Savi accoglieranno viaggiatori e passeggeri in transito per Milano, presentandosi come un interessante biglietto da visite della città in vista dell’Expo 2015.

 

 

LEONARDO E LE MACCHINE RICOSTRUITE

Come faceva Leonardo Da Vinci a progettare le sue macchine volanti? Potevano davvero volare? Che cos’era il famoso Leone Meccanico? Perché non venne mai portato a termine il colossale monumento equestre di Francesco Sforza? Queste sono solo alcune delle domande che potranno avere risposta grazie all’innovativa – e unica nel suo genere – mostra che si è appena aperta in una location d’eccezione: gli Appartamenti del Re nella Galleria Vittorio Emanuele.

Tutto nasce dall’idea di tre studiosi ed esperti, Mario Taddei, Edoardo Zanon e Massimilano Lisa, che hanno saputo mettere insieme e creare un centro studi e ricerca dedicato a Leonardo, alle sue invenzioni e alla sua attività, con risultati sorprendenti sia sul fronte delle esposizioni, sia su quello della divulgazione.

Leonardo3 (L3) è parte di un progetto più ampio, di un innovativo centro di ricerca la cui missione è quella di studiare, interpretare e rendere fruibili al grande pubblico i beni culturali, impiegando metodologie e tecnologie all’avanguardia. Sia i laboratori di ricerca sia tutte le produzioni L3 (modelli fisici e tridimensionali, libri, supporti multimediali, documentari, mostre e musei) sono dedicati all’opera di Leonardo da Vinci. E i risultati sono stati straordinari: L3 ha realizzato il primo prototipo funzionante al mondo dell’Automobile di Leonardo, hanno ricostruito il Grande Nibbio e la Clavi-Viola, il primo modello fisico della Bombarda Multipla, il primo vero modello del Pipistrello Meccanico, il Leone Meccanico e il Cavaliere Robot, oltre a interpretazioni virtuali e fisiche inedite di innumerevoli altre macchine del genio vinciano.

Non solo macchine però. Fondamentali per la riscoperta e la creazione dei prototipi sono stati i tanti codici leonardeschi, tra cui il famoso Codice Atlantico interamente digitalizzato, così come il Codice del Volo, presentato in Alta Definizione, in cui ogni singolo elemento è interattivo. E queste tecnologie diventeranno, in futuro, sempre più utili per studiare manoscritti antichi e fragilissimi, come i diversi Codici e taccuini, già molto rovinati dall’usura e dal passare dei secoli.

Una mostra che divertirà grandi e bambini, che potranno toccare con mano le macchine e i modellini ricostruiti, testarsi sui touch screen per comporre, sezionare o vedere nel dettaglio, tramite le ricostruzioni 3D, i vari pezzi delle macchine di Leonardo, far suonare la Clavi-Viola e costruire, davvero, un mini ponte autoportante.

Una delle ultime sezioni è poi dedicata ai dipinti di Leonardo, su tutti la famosa Ultima Cena. Una ricostruzione digitale e una prospettica permettono di ricostruirne strutture e ambienti, di capirne perché Leonardo “sbagliò” di proposito la prospettiva e di approfondire alcuni dettagli. I modelli sono stati costruiti rispettando rigidamente il progetto originale di Leonardo contenuto nei manoscritti composti da migliaia di pagine, appunti e disegni. Il visitatore avrà anche la possibilità di leggere i testi di Leonardo “invertendo” la sua tipica modalità di scrittura inversa (da destra a sinistra).

L3 si è già fatto conoscere nel mondo, le mostre sono state visitate da centinaia di migliaia di persone in città e Paesi come Torino, Livorno, Vigevano, Tokyo, Chicago, New York, Philadelphia, Qatar, Arabia Saudita e Brasile. Occasione imperdibile.

Leonardo3 – Il Mondo di
Leonardo – piazza della Scala, ingresso Galleria Vittorio Emanuele II, fino al 28 febbraio 2014, orari: tutti i giorni dalle ore 10:00 alle ore 23:00, biglietti: € 12 intero, € 11 studenti e riduzioni, € 10 gruppi, € 9 bambini e ragazzi, € 6 gruppi scolastici.

 

 

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

rubriche@arcipelagomilano.org

 

 


Temi correlati:

Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali



Sullo stesso tema


9 gennaio 2024

IL PRESEPE DELLA MEMORIA DEL LAGER

Rita Bramante



17 ottobre 2023

MUDEC. PALINSESTO 2023-2024

Rita Bramante



30 maggio 2023

BIENNALE ARCHITETTURA 2023

Paolo Favole



11 dicembre 2020

CHIARA FERRAGNI DAVANTI A BOTTICELLI

Paolo Biscottini



28 maggio 2020

UOVA DI GALLO SULLA MILANO-BOLOGNA

Marco Ceriani



13 aprile 2019

DALL’AMBROSIANA A CASALEGGIO

Giuseppe Gario


Ultimi commenti