23 ottobre 2013

GOVERNO LOCALE: SI STAVA MEGLIO QUANDO SI STAVA PEGGIO?


Ormai la confusione regna sovrana, tanto da rimpiangere i vecchi tempi… Allora il meccanismo era semplice e comprensibile: i partiti presentavano i candidati al Consiglio comunale, scelti poi andando alle urne con il sistema delle preferenze, il Consiglio comunale eleggeva sindaco e Giunta.” (LBG, ArcipelagoMilano n. 35). Ma il meccanismo venne meno col venir meno dei partiti veri – erano i primi anni ’90 – tant’è che il “sistema non garantiva stabilità alla Giunta e al Sindaco“. Infatti le successive modifiche degli organi istituzionali locali spostarono il baricentro dal ruolo dei partiti a quello del sindaco, eletto direttamente dai cittadini con poteri decisivi, dalla nomina degli assessori allo scioglimento del consiglio in caso di dimissioni. Dunque un indebolimento, se non un superamento, della tutela dei partiti cui ha inoltre fatto seguito – fatti salvi i vincoli finanziari – l’affrancamento dai controlli burocratici prefettizi prima (GPA) e regionali poi (CRC).

02ballabio36FBSi è trattato pertanto di una vittoria piena della “autonomia” comunale, cui erano state dedicate importanti battaglie da parte della sinistra, peraltro confermata dalla modifica del Titolo V Cost. (nella parte buona: escluso il rapporto Stato-regioni!) che all’art. 144 antepone i Comuni agli altri enti “costitutivi” la Repubblica. Senonché, come in tutte le vicende umane, l’eccesso produce degenerazioni e talvolta disastri. Per esempio l’autonomia assoluta affidata ai comuni nel prevedere, o spesso inventare, i pesi insediativi nei rispettivi PGT, al di fuori di qualsiasi pianificazione coordinata a livello sovra-comunale, ha comportato una sfrenata deregulation, foriera della “bolla” edilizia in gran parte responsabile della presente crisi economica e finanziaria.

Mi permetto allora di associarmi al “rimpianto” aggiungendo un’ulteriore osservazione. I sindaci della “prima repubblica”, una volta scontato il rituale delle trattative e delle spartizioni (effettivamente il lato oscuro della partitocrazia) non agivano in solitudine. Da un lato potevano contare, dentro il proprio partito, su una sponda di confronto e conforto; dall’altro sul coordinamento offerto dai livelli territorialmente più ampi in cui i partiti erano organizzati. Il punto di forza dei vecchi partiti erano infatti le Federazioni provinciali, più potenti e influenti dei rispettivi organi regionali e ovviamente cittadini. Pertanto sindaci e gruppi consiliari rispondevano, prima che a Dio, alla propria Segreteria provinciale. Tale “costituzione materiale” sopratutto nella fase degenerativa ha comportato non pochi guasti e corruzioni. Ma nella fase virtuosa ha consentito un effettivo governo dell’area metropolitana, che in seguito è venuto del tutto a mancare.

Da notare peraltro che al tempo la provincia di Milano comprendeva tutta l’area metropolitana e che il PCI sciolse la propria Federazione di Monza (Congresso del 1966, contrari i proto-miglioristi legati all’artigianato mobiliero) per inglobarla a quella di Milano con la motivazione che la realtà operaia della grande industria collocata in Brianza (Philips, Singer, Candy, Autobianchi, IBM, ecc.) era del tutto omogenea a quella metropolitana: si avvicinavano le dure lotte sindacali del 1968-69! Datano peraltro a quel periodo, difficile ma per molti versi felice, le scelte sulle grandi infrastrutture metropolitane che purtroppo non si sono più ripetute. Ad esempio il prolungamento della tangenziale est e della metrò verde furono sicuramente il frutto della spartizione tra e dentro i partiti (nel caso specifico la DC dell’onorevole Cassamagnago da Vimercate e del senatore Ripamonti da Gorgonzola). Ma dopo di allora poco o nulla, se non i balbettamenti e i pasticci che accompagnano tuttora le varie pedegronde, brebemi, proseguimenti MM, ecc.

Naturalmente indietro non si torna e del tempo perduto non resta che la memoria. Ma cosa ci vuole a pensare uno strumento nuovo (da noi, ma già ampiamente provato e riprovato in tutta Europa) che consenta un effettivo governo metropolitano, una pianificazione strategica degli insediamenti e delle infrastrutture fondamentali, la tutela dei residui valori ambientali, un uso razionale delle sinergie di sistema? Rispettoso delle autonomie nei rispettivi ambiti ma capace di superare l’anarchia comunale (dal mastodonte del capoluogo alla polverizzazione in centinaia di piccoli e piccolissimi comuni) nonché la superfetazione di enti provinciali del tutto anacronistici e inutili. Ma purtroppo (come già cercato di evidenziare su queste colonne) non sembrano sopperire a tale esigenza né il mediocre testo “svuota-province” in discussione in Parlamento né l’evanescente elaborazione politica offerta a livello lombardo e milanese in vista delle pur imminenti scadenze e delle ormai ineludibili attese al riguardo.

 

Valentino Ballabio

 



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