23 ottobre 2013

arte – AUTUNNO AMERICANO PARTE 2: ANDY WARHOL


AUTUNNO AMERICANO PARTE 2: ANDY WARHOL

Dopo la grande mostra in Triennale del 2004, e una monografica di stampe al Museo del Novecento questa primavera, Andy Warhol torna a Milano con una super esposizione: le opere della collezione di Peter Brant. La mostra si presenta subito come una grande retrospettiva del lavoro dell’artista originario di Pittsburgh, comprendente alcune delle sue opere più famose e conosciute a livello mondiale, per un totale di oltre 150 opere d’arte, tra dipinti, serigrafie, sculture e fotografie.

arte_36La mostra, curata da Francesco Bonami e dallo stesso Peter Brant, sarà un’occasione interessante per approfondire la figura, a torto ritenuta spesso solo superficiale e frivola, di Andy Warhol, artista invece ben più complesso e tormentato. Peter Brant, magnate americano, fu intimo amico di Warhol, e ad appena vent’anni iniziò a comprare i lavori dell’artista, partendo proprio dalla famosa lattina di zuppa Campbell riprodotta da Warhol.

Sarà un legame lungo tutto una vita quello che accompagnerà l’avventura di Brant e Warhol, che vissero e segnarono insieme i pazzi anni ’60 e ’70 della scena newyorchese. Un sodalizio di vita e lavoro il loro, che sfocerà nella collaborazione tramite la rivista “Interview”, fondata dallo stesso Warhol nel 1969 e acquistata da Brant e dalla sua casa editrice dopo la morte dell’amico, avvenuta nel 1987 in seguito ad un’operazione chirurgica finita male.

La mostra presenta capolavori assoluti, che caratterizzano la collezione Brant come una delle più importanti e significative a livello internazionale rispetto alla produzione warholiana. Attraverso un percorso cronologico si potrà ricostruire a tutto tondo la figura di Warhol, partendo dai suoi inizi come grafico e pubblicitario, famoso già all’epoca per rivoluzionari e particolarissimi disegni di calzature femminili e per il suo atteggiamento irriverente.

La pubblicità però era solo l’inizio. Warhol voleva far parte dell’elite artistica, ecco perché si rivolse sempre più all’arte e al mondo pop, ovvero a quel substrato culturale che coinvolgeva tutti gli americani, dal Presidente all’uomo comune. Il suo universo si popola di lattine di zuppa, di Coca-Cola, di scatole di detersivo Brillo; dalle sue tele si affacciano Liz, Marilyn, Elvis, Jackie e tanti altri divi osannati dall’America, e che però ebbero anche, quasi Warhol fosse stato un profeta, fini tragiche o destini infelici. Come a dire, l’apparenza, nonostante i colori e i sorrisi smaglianti, inganna.

Una presa di coscienza di quello che l’americano medio aveva sotto gli occhi tutti i giorni, visto al supermercato o sui giornali, e che Warhol ripropose ingrandito, ripetuto fino allo sfinimento, disarticolato, sovrapposto e modulato, ma senza mai criticare. Anzi. La pop art di Warhol è lontanissima dal voler lanciare invettive contro il consumo smodato o il capitalismo. Warhol stesso ci era cresciuto, e la cosa più naturale per lui era proprio partire da quello che conosceva meglio e che poteva riguardare tutti. Senza messaggi nascosti o significati troppo profondi.

Oltre ai famosi Flowers multicolor e ai ritratti di Mao, paradossale vera icona pop, la mostra propone anche le rielaborazioni che Warhol fece di un grande classico come l’Ultima Cena di Leonardo; così come stupiranno una serie di Portraits, di autoritratti che l’artista si fece grazie alle polaroid che amava tanto, e che usava per riprendere anche i suoi amici Mick Jagger, Diana Ross e Jane Fonda. Tutti presenti in mostra.

Emerge così un Warhol non solo mondano e padrone del suo palcoscenico, la celeberrima Factory, in cui numerosi assistenti producevano effettivamente le sue opere, ma anche un Warhol più introverso, spaventato forse da quella celebrità raggiunta e cercata, ma che era diventata perfino pericolosa. Fu infatti vittima di un tentato omicidio, per mano di una femminista, e dal quale si salvò per miracolo nel 1968.

Vittima di un diverso colpo di arma da fuoco fu invece una delle opere più famose di Warhol, una Marilyn blu che venne colpita da un proiettile in piena fronte, sparato senza motivo da un’amica dell’artista nel 1964. Da quella data l’opera venne chiamata, per l’appunto, Blue Shoot Marilyn. Ennesimo esempio del circo che circondava l’artista e che lui osservava quasi in disparte, dietro i suoi occhiali da sole e al riparo di una parrucca argentata.

WARHOL, DALLA COLLEZIONE PETER BRANT Palazzo Reale fino al 9 marzo 2014 Orari: Lunedì: 14.30–19.30 Dal martedì alla domenica: 9.30-19.30 Giovedì e sabato: 9.30-22.30 Prezzi: Intero 11 euro, ridotto 9,50 euro.

 

 

JOSEP ALBERS TORNA A MILANO

Milano celebra il genio di Josep Albers attraverso una mostra in due sedi che ripercorre alcuni degli aspetti fondanti della carriera del grande artista modernista ed esponente del Bauhaus, promossa dalla Josef & Anni Albers Foundation. Fino al 6 gennaio presso la Fondazione Stelline sarà possibile visitare Josef Albers. Sublime Optics, prima mostra monografica milanese dedicata all’artista tedesco.

Curata e allestita da Nick Murphy (Projects Director della Josef and Anni Albers Foundation) la mostra offre una prospettiva unica su questo grande artista e maestro del Bauhaus, raccogliendo rari disegni giovanili, interessanti ed emozionanti vetri colorati, vetri sabbiati e una selezione di

dipinti astratti.

Il percorso espositivo presenta 78 lavori realizzati all’inizio della sua carriera artistica, quando Albers insegnò in Vestfalia, per arrivare fino agli ultimi giorni della sua vita: dal primissimo disegno conosciuto fino all’ultimo e straordinario Omaggio al Quadrato.

Una carriera artistica permeata, nonostante le rigide geometrie e strutturazioni delle sue opere, dalla sua religiosità cattolica e dal suo credere fermamente che, applicando il talento artistico con dedizione e verità, sarebbe stato possibile trasformare la realtà quotidiana in modo miracoloso.

“La mostra – afferma Nick Murphy – analizza gli esperimenti del maestro con la luce (attraverso raffinate manipolazioni di colore, forme e linee) in modo da creare ulteriori misteri nel mondo, misteri che possano funzionare come esercizi spirituali per nostri occhi. È come un ottico mistico che ci fa indossare lenti per veder meglio il sublime intorno a noi”.

L’iniziativa alla Fondazione Stelline è il primo “ritorno a Milano” delle opere dell’artista dopo quasi ottanta anni di assenza. L’ultima volta che Albers ebbe una mostra personale in città fu quando l’amico e collega della Bauhaus Wassily Kandinsky organizzò una mostra delle sue stampe presso la galleria “Il Milione” nel 1935, a un anno dalla chiusura del Bauhaus (di cui Albers fu studente e docente dal 1920 al 1933).

La seconda esposizione Imparare a vedere: Josef Albers professore, dal Bauhaus a Yale in programma dal 2 ottobre al 1 dicembre 2013 nella Sala Napoleonica dell’Accademia di Brera è curata da Samuele Boncompagni e da Giovanni Iovane e approfondisce l’impatto dell’innovativo metodo d’insegnamento di Albers, dapprima al Bauhaus, quindi al Black Mountain College di Asheville (North Carolina, USA), dove emigrò con la moglie alla chiusura del Bauhaus tedesco, e infine alla Yale University di New Haven (Connecticut, USA).

La passione e la creatività impiegate da Albers durante le sue lezioni saranno rilette attraverso quattro Omaggi al quadrato di Albers e cento tra documenti, foto, libri, materiale didattico dello stesso Albers e dei suoi studenti, che documentano in maniera approfondita la qualità del suo insegnamento.

JOSEF ALBERS. SUBLIME OPTICS, Milano, Fondazione Stelline (corso Magenta 61), fino al 6 gennaio 2014, orario di apertura: dalle 10 alle

 

 

PREMIO ACACIA 2013

ACACIA, l’associazione dei collezionisti di arte contemporanea nata nel 2003, da dieci anni premia giovani e promettenti artisti del panorama artistico contemporaneo, con l’intento di promuovere l’arte e il talento. ACACIA nasce però con uno scopo ancora più importante: la volontà di creare, in un futuro si spera vicino, un grande museo di arte contemporanea a Milano, grazie e con l’aiuto delle istituzioni civiche. ACACIA ha già un consistente patrimonio di opere, donate dagli stessi collezionisti o dai “loro” artisti, con l’intento di far diventare questa preziosa collezione un nucleo importante del futuro museo.

Lo spirito dell’associazione è quello di sponsorizzare un nuovo tipo di collezionista, attivo e aperto verso la comunità, che scelga e si esponga in prima persona per mostrare, tutelare e diffondere proprio l’arte contemporanea. Ecco quindi che attraverso conferenze, manifestazioni e premi ACACIA sta tentando di creare un terreno fertile a Milano affinché il pubblico e le autorità capiscano l’importanza di un museo realmente dedicato all’arte contemporanea di eccellenza.

In particolare l’associazione è legata ai giovani artisti italiani emergenti, tra cui, ogni anno, viene selezionato un giovane e assegnato un premio, del valore di 15.000 euro, come riconoscimento per il talento e l’innovazione, allo scopo di sostenerne e promuoverne la creatività, anche grazie al suo inserimento in circuiti espositivi di rilievo.

Per la decima edizione del Premio ACACIA quest’anno è stato selezionato Gianni Caravaggio, con l’opera Il mistero nascosto da una nuvola, 2013, scultura in marmo nero e zucchero a velo. Allievo di Luciano Fabro e riconosciuto protagonista della scena artistica italiana, le sue opere sono state esposte in prestigiose istituzioni nazionali ed estere. Gianni Caravaggio incarna il ruolo dell’artista demiurgo e tramite i suoi lavori sollecita il pubblico a essere altrettanto demiurgo con l’immaginazione, ovvero a sviluppare l'”occhio interiore”, che condurrà alla creazione di nuovi mondi. Nelle sue opere Caravaggio parte dallo studio rigoroso delle teorie scientifiche sull’origine dell’Universo, da cui nascono stupefacenti cosmogonie di zucchero, farina e lenticchie, messe in scena con un’estetica pura e rigorosa.

La proclamazione ufficiale del Premio ACACIA 2013 avrà luogo giovedì 10 ottobre alle ore 18.30 presso la galleria Kaufmann Repetto dove è in corso la personale di Gianni Caravaggio dal titolo “Cinque proposizioni per un mondo nuovo“. Per l’occasione è prevista una visita esclusiva alla mostra, durante la quale l’artista presenterà l’opera, che verrà generosamente donata all’associazione.

In questi dieci anni di attività, Gianni Caravaggio è stato una presenza costante nelle mostre organizzate dall’associazione, fin dalla prima esposizione dell’associazione nel 2003. Gli artisti presenti nella collezione ACACIA sono: Mario Airò, Rosa Barba, Vanessa Beecroft, Gianni Caravaggio, Maurizio Cattelan, Roberto Cuoghi, Lara Favaretto, Francesco Gennari, Sabrina Mezzaqui, Marzia Migliora, Adrian Paci, Paola Pivi, Luca Trevisani, Grazia Toderi, Marcella Vanzo, Nico Vascellari, Francesco Vezzoli.

PREMIO ACACIA 2013 – Sede Galleria Kaufmann Repetto via di Porta Tenaglia, 7 – 20121 Milano

 

 

IL VOLTO DEL ‘900: CAPOLAVORI DAL POMPIDOU DI PARIGI

Cosa ci fanno insieme capolavori di Matisse, Bacon, Mirò, Picasso, Magritte e un’altra cinquantina di artisti del secolo scorso? Sono solo alcuni dei protagonisti indiscussi della mostra Il Volto del ‘900, antologica con 80 opere d’arte provenienti dal prestigioso Centre Pompidou di Parigi e che ripercorre la storia del ritratto dall’inizio del ‘900 ai (quasi) giorni nostri.

Il ritratto è una delle forme d’arte più antiche della storia, il cui uso è variato molto nel tempo, a seconda dell’epoca e delle classi dominanti. Dall’arte egizia al Rinascimento, dalla nascita della borghesia alla ritrattistica ufficiale, il ritratto è stato veicolo di rappresentazione di mondi interi, ognuno col suo codice linguistico, di valori e di simboli. E nel ‘900? Il ritratto sembra essere giunto alla resa dei conti con la grande invenzione della fotografia:un confronto/scontro che se da una parte lo ha condotto all’emarginazione dal punto di vista utilitario, dall’altra ne ha fatto riscoprire anche un nuovo utilizzo e un nuovo potenziale, come si resero conto anche gli stessi Impressionisti già dalla fine dell’800.

Il ‘900 è stato il secolo difficile, nella storia come nell’arte. Gli artisti, testimoni di guerre e genocidi, si sentono impossibilitati a esprimere il volto umano delle persone, ed ecco allora che ne rappresentano il volto tragico. La nascita della psicanalisi di Freud, l’annientamento dell’Io singolare a favore di un Io di massa portano a rivoluzionare il ritratto, che diventa non solo rappresentazione fisica ma anche e soprattutto rappresentazione intima e interiore del soggetto.

Le avanguardie si scatenano: rovesciano tutti i canoni, l’astrazione entra prepotente, i colori si allontanano dalla realtà, i soggetti non sono più seduti in posa nello studio dell’artista ma vengono copiati da fotografie prese dai giornali, dando vita a opere fino a qualche anno prima impensabili, di grande rottura e scandalo. Picasso (in mostra con 3 lavori) docet.

La mostra, curata da Jean-Michel Bouhours, conservatore del Centre Pompidou, presenta sei sezioni tematiche, incentrate su temi filosofici o estetici. I misteri dell’anima, l’autoritratto, il formalismo, il surrealismo, caos e disordine e infine l’arte dopo la fotografia coinvolgeranno il visitatore in questa galleria di opere che si snoda da sculture di eccezionale valore, come la Musa dormiente di Brancusi, e il Ritratto del fratello Diego, di Alberto Giacometti; passando per l’autoritratto angosciante di Bacon e quello a cavallo tra futurismo e cubismo di Severini; senza dimenticare i dipinti stranianti di Magritte e Mirò, e per poi concludere, con molti capolavori nel mezzo, con l’iperrealismo di Chuck Close e il Nouveau Realisme di Raysse.

In un mondo in cui siamo bombardati di immagini e i nostri autoritratti impazzano sui social network, la mostra del Pompidou aiuta a contestualizzare e a comprendere perchè questa “fame di immagini” ci è, forse, scaturita.

ll Volto del ‘900. Da Matisse a Bacon – I grandi Capolavori del Centre Pompidou Palazzo Reale Fino al 9 Febbraio 2014 Prezzi: Intero 11 euro, ridotto 9,5 euro. Lunedì 14.30-19.30; da Martedì a Domenica 9.30-19.30; Giovedì e Sabato: 9.30-22.30

 

 

GLI IRASCIBILI DI NEW YORK

Si è aperta da pochissime ore la prima mostra di quello che è stato già ribattezzato come “l’autunno americano” di Milano. A fare da apripista è niente meno che la celebre Scuola di New York, il movimento conosciuto anche come Espressionismo Astratto. La mostra, intitolata “Pollock e gli Irascibili”, è una panoramica dei lavori degli artisti più significativi che lavorarono in America dagli anni ’30 agli anni ’60, rivoluzionando totalmente il concetto di arte, soprattutto quella americana, e che spostarono quindi il centro d’azione e di interesse dalla vecchia e ormai stanca Parigi, alle sponde della Est Coast di New York e dintorni. Pollock, Kline, Rothko, Motherwell, Still, Newman e tanti altri furono i protagonisti di quegli anni di grandi cambiamenti, artisti profondamente rivoluzionari e determinati nel portare avanti la loro nuova arte.

Ma perché si ricordano spesso con questo appellativo, che è passato alla storia, di Irascibili? Tutto nacque nel 1950, quando il Metropolitan Museum di New York annuncia l’organizzazione di un’importante mostra dedicata all’arte contemporanea americana. Esclusi dagli artisti invitati a esporre sono i pittori che a partire dalla seconda metà degli anni Trenta hanno mosso i primi passi verso un linguaggio pittorico nuovo, libero dal passato e chiamato, tra le diverse etichette date al gruppo, Action Painting. Etichetta però non significa uniformità. Nel gruppo c’è chi pratica una pittura molto libera e dinamica, il dripping di Pollock, e chi invece, come Rothko, usa i colori in modo meditativo e contemplativo; o chi ancora, come de Kooning, pratica un violento Espressionismo.

Ecco dunque che il gruppo, nella sua interezza, si sente rifiutato, e decide quindi di scrivere una lettera al New York Times, in cui gli artisti dichiarano il totale dissenso nei confronti delle posizioni assunte dal museo. Nel gennaio del 1951 la rivista “Life” pubblica l’emblematica fotografia di Nina Leen che ritrae i diciotto “Irascibles” vestiti da banchieri. Al centro Pollock, oltre a de Kooning, Rothko, Newman, Motherwell, Adolph Gottlieb, William Baziotes, James Brooks, Hans Hofmann, Bradley Walker Tomlin, Jimmy Ernst, Weldon Kees, Ad Reinhardt, Richard Pousette-Dart, Fritz Bultman, Theodoros Stamos, Clyfford Still e Hedda Sterne, unica donna a completare il gruppo.

Una protesta che avrà successo. Di lì a poco tempo il Whitney Museum deciderà di tener fede allo scopo per cui era nato, e inizierà a comprare i lavori degli artisti ad appena un paio di anni dal momento in cui vengono conclusi. È una rivoluzione e una vittoria. Il Whitney diventa il museo degli artisti contemporanei, e nel tempo vanterà uno dei nuclei di opere dell’Espressionismo Astratto più importanti e significativi al mondo. Ecco perché le circa 50 tele provengono proprio dalla collezione del Whitney.

Gioiello e immagine-simbolo della mostra non poteva che essere un dripping di Pollock, Number 27, quasi tre metri di tela “sgocciolata”, opera unica e delicata, che occupa una parte centrale dell’allestimento della mostra. Se siete in attesa di andare a vedere la collezione del Whitney Museum a New York, gli Irascibili a Milano sono il giusto compromesso per iniziare a gustare e a capire perché l’Action paiting fu così rivoluzionaria.

Pollock e gli irascibili Palazzo Reale, Milano fino al 16 febbraio 2014, Lunedì: 14.30–19.30 dal martedì alla domenica: 9.30-19.30 Giovedì e sabato: 9.30-22.30 Biglietti: 11,00 intero, 9.50 ridotto

 

 

PORTO POETIC. SOGNI E PROGETTI DI DUE GRANDI MAESTRI

La Triennale di Milano, insieme al Council of Architects – Northern Chapter (OASRN) presentano la mostra Porto Poetic, una panoramica delle maggiori opere di due pilastri dell’architettura portoghese, Álvaro Siza e Eduardo Souto de Moura. L’esposizione, a cura di Roberto Cremascoli, presenta 41 progetti di architettura, 215 pezzi di design, 540 fotografie d’autore e 28 filmati che vanno ad analizzare la scena architettonica portoghese dagli anni Cinquanta a oggi, soffermandosi sulle produzioni dei due maestri, diversi ma con una forte linea di continuità. Porto poetic è un omaggio alla città di Oporto e al Portogallo, Paese che è stato fortemente riqualificato e messo in evidenza, dal punto di visto architettonico, grazie al lavoro operato da Siza e Souto de Moura, maestro e allievo, e che hanno fortemente caratterizzato la cosiddetta Scuola di Porto.

Alvaro Siza, che nel 1986 scrisse”Álvaro Siza, Professione poetica”, fece emerge a livello mondiale la Scuola di Porto, considerata fino ad allora come qualcosa di secondario e regionale, vernacolare. Nella sua celebre premessa alla pubblicazione, scriveva … “Dicono che disegno nei caffè, che sono un architetto di piccole opere (dato che ho provato a fare le altre, penso che, se non mi sbaglio, le piccole sono più difficili).”… “La tradizione è una sfida all’innovazione. È fatta di inserti successivi. Sono conservatore e tradizionalista, cioè mi muovo fra conflitti, compromessi, meticciaggio, trasformazione.”…

Ed è proprio questo mix di innovazione e tradizione, di dialogo con il territorio ma anche di novità, che gli permette di firmare alcune delle opere più significative del suo Paese, opere private ma anche e soprattutto spazi pubblici e per la collettività. Insieme al lavoro di Souto de Moura e ai loro seguaci. Il tracciato della metropolitana, con le stazioni disegnate da Eduardo Souto de Moura e la sua Casa das Artes a Chaves; il Museo di Serralves, la Facoltà di architettura di Porto, l’essenziale chiesa di Santa Maria e le Terme di Vidago, di Álvaro Siza, sono ormai icone della nuova Porto.

Ed è proprio la capitale portoghese che ha festeggiato recentemente la conquista del secondo Premio Pritzker (l’equivalente dei premi Nobel per l’architettura), quello a Eduardo Souto de Moura (2011), premio che Álvaro Siza aveva meritato già nel 1992. La “Porto Poetic” a cui fa riferimento il titolo è allora quella città nuova eppure storica, vitale eppure tradizionalista, che gli architetti della omonima scuola hanno fatto pian piano rivivere e risvegliare.

La mostra, divisa in tre sezioni, Poetic, Community e Design, aiuta a entrare nello spirito e nella mente dei grandi architetti, grazie a interviste, pezzi di arredo autentici, bozzetti, progetti e fotografie, alcune scattate anche da grandi fotografi, come il rimpianto Gabriele Basilico.

Porto poetic Triennale di Milano fino al 27 ottobre costi: 8,00 Euro, 6,50 Euro Orari di apertura Martedì – Domenica 10.30 – 20.30 Giovedì10.30 – 23.00

 

 

I SETTE SAVI DI MELOTTI

Dopo quasi cinquanta anni di assenza tornano a far bella mostra di sé i Sette Savi dello scultore Fausto Melotti. Le sculture, restaurate con il contributo di SEA- Aeroporti di Milano, attenderanno da qui al 10 novembre i viaggiatori e i frequentatori dell’aeroporto di Malpensa presso la Porta di Milano, tra l’ingresso del Terminal principale e la stazione ferroviaria che conduce in città. La Porta, progettata dagli architetti Pierluigi Nicolin, Sonia Calzoni (che hanno curato l’allestimento della mostra), Giuseppe Marinoni e Giuliana De Gregorio, con i suoi effetti d’atmosfera, esalta e valorizza i giganti di pietra di Viggiù scolpiti da Melotti con un forte richiamo alla metafisica dechirichiani.

I Sette Savi hanno una lunga e travagliata storia alle spalle. L’opera fu concepita infatti come un insieme di 12 gessi per la sala disegnata dagli architetti B.B.P.R. (Banfi, Belgiojoso, Peressutti, Rogers) e intitolata “Coerenza dell’uomo” della VI Triennale di Milano. Di queste sculture ne sopravvissero intatte solo sette e questo stesso numero portò Melotti a non volere reintegrare le cinque perdute. L’opera infatti acquisì un nuovo senso, facendo riferimento alla magia del ‘sette’ che da sempre compare nella storia dell’uomo con significati filosofici e religiosi: nel Buddismo è il numero della completezza, nel Cristianesimo sette sono i sacramenti e i doni dello Spirito Santo, nella religione islamica il sette identifica gli attributi fondamentali di Allah. Questo numero ha non solo nella religione, ma anche nella cultura – astronomica, storica, mitologica – un forte significato simbolico. Sette sono le arti liberali, le virtù teologali, i peccati capitali, le meraviglie del mondo e i metalli della trasmutazione alchemica.

Dovendone produrre altre versioni, l’autore decise quindi di creare sempre e solo sette elementi. Ogni scultura è simile ma differente dalle altre, creando un ritmo quasi musicale come era tipico della cultura astratta di Melotti. Lo scopo dei Savi sembra quello di far riflettere sulla compostezza e l’aspetto sacrale di coloro che dedicano la loro vita alla conoscenza, con profonda concentrazione e forza di volontà.

Al grande pubblico era però già possibile vedere “altri” Savi di Melotti in un paio di versioni: quella in gesso, esposta al MART di Rovereto, eseguita nel 1960, e quella in marmo di Carrara creata nel 1981 ed esposta nel giardino del PAC di Milano, visibile anche dalla vetrata interna.

Ma questi giganti di pietra, dove erano finiti per quasi cinquanta anni? I Sette Savi in questione vennero commissionati dal Comune di Milano allo scultore trentino per adornare, nel 1961, il giardino del Liceo Classico Giosuè Carducci di via Beroldo, e l’opera fu selezionata da una commissione composta dagli architetti Piero Portaluppi, Franco Albini e Renzo Gerla, allora consulenti del Comune. Fu pagata 5.805.000 lire, una cifra considerevole per i tempi anche se, visto il valore odierno, fu anche un lungimirante investimento economico.

Nel 1964, due statue vennero danneggiate dagli studenti; e da allora, l’opera giaceva in un deposito del Liceo, in attesa del suo recupero, dimenticata e acciaccata. Dopo un restauro costato 18.000 euro ecco che ora i Savi accoglieranno viaggiatori e passeggeri in transito per Milano, presentandosi come un interessante biglietto da visite della città in vista dell’Expo 2015.

 

 

MILANO ARCHEOLOGICA 2015

In vista dell’Expo 2015 tante sono le attività culturali in programma. Oltre all’ideazione di nuovi progetti, Milano si prenderà (finalmente) cura anche del patrimonio già esistente, restaurando e valorizzando alcuni siti importantissimi per la storia della città e quindi significativi anche a livello turistico. È da poco stata presentata infatti la prima tappa del programma “Milano Archeologia per Expo 2015”, un percorso che restituirà alla città una fetta importante del suo patrimonio storico, quello riguardante l’età romana e imperiale.

Nonostante gli evidenti sviluppi urbanistici e architettonici, Milano conserva ancora tracce importanti di un passato glorioso che va dal I sec. a.c. all’età tardoantica, in cui la città divenne centro e poi una delle capitali più siginificative dell’Impero romano. Resti di questo passato si possono vedere ancora oggi al Museo Archeologico di corso Magenta, con i resti delle mura di Massimiano e la torre di avvistamento, così come, inglobata nel campanile di San Maurizio al Monastero Maggiore sopravvive l’antica torre del circo romano.

Lì accanto invece sono conservati, in via Brisa, a cielo aperto, i resti del monumentale palazzo imperiale, in cui Costantino e Licinio nel 313 emanarono il famoso Editto di tolleranza. I resti più emozionanti forse però si trovano sotto piazza Duomo, con il battistero di San. Giovanni e l’antica basilica di Santa Tecla. Solo per citare le testimonianze più note.

Il progetto “Milano Archeologia” si propone quindi di favorire la conoscenza e la conservazione delle realtà archeologiche presenti nel centro storico di Milano mediante azioni di manutenzione, promozione e comunicazione attraverso un sistema di reti di conoscenze e diffusione delle informazioni.

Un progetto voluto e sostenuto dall’Arcidiocesi, dalla Regione Lombardia, dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici e dal Comune di Milano. Insieme collaboreranno le parrocchie di San Eustorgio, San Simpliciano, San Lorenzo Maggiore e San Nazaro in Brolo, interessate poiché depositarie di importanti resti paleocristiani sui loro “territori”. Infatti verranno restaurate e riqualificate le aree delle sepolture e dei manufatti paleocristiani della necropoli di Sant’Eustorgio; verranno valorizzati i resti di età romana imperiale presso San Nazaro, così come l’area del Foro romano in piazza s. Sepolcro e nei sotterranei della Biblioteca Ambrosiana, per concludere con la torre romana e la torre del circo in via Luini.

A partire dalla celebrazione dei 1700 anni dell’Editto di Costantino e in vista dell’Expo, questo progetto non solo punta a riqualificare e promuovere resti, aree e monumenti, ma anche a elaborare una metodologia che potrò essere replicata per altre realtà non solo milanesi ma anche lombarde.

 

 

LA BIENNALE ENCICLOPEDICA DI GIONI

Il 1 giugno ha aperto la 55º Esposizione internazionale d’arte di Venezia, firmata dal più giovane curatore nella storia della Biennale, Massimiliano Gioni, già direttore artistico della Fondazione Trussardi e direttore associato del New Museum di New York. Il titolo dell’evento è imponente: “Il Palazzo Enciclopedico”, ripresa dichiarata del progetto pensato dall’artista-architetto italoamericano Marino Auriti, che nel 1955 aveva depositato il brevetto per realizzare un edificio di 136 piani destinato a contenere ‘tutto il sapere dell’umanità, collezionando le più grandi scoperte del genere umano, dalla ruota al satellite”.

Un’impresa chiaramente impossibile, rimasta utopica, ma che ha dato spunto a Gioni per creare una Biennale che si preannuncia essere ricca di sorprese e meraviglie. Concentrare in un luogo solo tutto il sapere (artistico) del panorama contemporaneo, con i grandi di ieri e di oggi: una sfida per Gioni, accettata però dai 150 artisti provenienti da 38 Paesi diversi.

Sviluppata come sempre tra il Padiglione Centrale, i Giardini e l’Arsenale, la Biennale è concepita come un museo contemporaneo, e, spiega Gioni “l’esposizione sviluppa un’indagine sui modi in cui le immagini sono utilizzate per organizzare la conoscenza e per dare forma alla nostra esperienza del mondo”. Insomma quel sogno che da sempre rincorre l’uomo di poter arrivare al sapere sommo e totale, viene abbozzato da Gioni nella sua Biennale, chiamando gli artisti a contribuire con un pezzetto di arte, a questa utopia.

Un percorso e un allestimento che si preannunciano in stile Wunderkammer, le celebri camere delle meraviglie in voga tra 1500 e 1600, destinato a suscitare stupore e sorpresa, ma anche a far riflettere sul senso dell’arte oggi, secondo una progressione di forme naturali e artificiali, messe insieme per strabiliare lo spettatore. “Il Palazzo Enciclopedico è una mostra sulle ossessioni e sul potere trasformativo dell’immaginazione e si apre al Padiglione Centrale ai Giardini con una presentazione del Libro Rosso di Carl Gustav Jung” – dice Gioni, riferendosi al manoscritto illustrato al quale lo psicologo lavorò per sedici anni, posto in apertura del Padiglione Centrale.

Un lavoro che stimola la riflessione sulle immagini, soprattutto interiori e sui sogni in chiave psicanalitica, cancellando le distinzioni “tra artisti professionisti e dilettanti, tra outsider e insider” – dice ancora Gioni – “l’esposizione adotta un approccio antropologico allo studio delle immagini, concentrandoci in particolare sulle funzioni dell’immaginazione e sul dominio dell’immaginario”.

La Mostra sarà affiancata da 88 partecipazioni nazionali negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia, con ben dieci Paesi new entry: Angola, Bahamas, Regno del Bahrain, Costa d’Avorio, Repubblica del Kosovo, Kuwait, Maldive, Paraguay, Tuvalu e Santa Sede. E la partecipazione di quest’ultima è forse la novità più forte, con una mostra allestita nelle Sale d’Armi, fortemente voluta dal cardinal Bagnasco.

E il sempre chiacchieratissimo Padiglione Italia? Quest’anno il compito curatoriale è toccato a Bartolomeo Pietromarchi, che ha deciso di lavorare sugli opposti, con “Vice versa”, titolo scelto riprendendo un concetto teorizzato da Giorgio Agamben nel volume “Categorie italiane. Studi di Poetica” (1996), in cui il filosofo sosteneva che per interpretare la cultura italiana fosse necessario individuare una “serie di concetti polarmente coniugati” capaci di descriverne le caratteristiche di fondo. Binomi quali tragedia/commedia o velocità/leggerezza divengono così originali chiavi di lettura di opere e autori fondanti della nostra storia culturale. Una attitudine al doppio e alla dialettica che è particolarmente cara alle dinamiche dell’arte contemporanea italiana.

Quattordici gli artisti invitati e ospitati in sette stanze: Francesco Arena, Massimo Bartolini Gianfranco Baruchello, Elisabetta Benassi, Flavio Favelli, Luigi Ghirri, Piero Golia, Francesca Grilli, Marcello Maloberti, Fabio Mauri, Giulio Paolini, Marco Tirelli, Luca Vitone, Sislej Xhafa. Gli artisti, in un dialogo di coppia, compongono un viaggio nell’arte italiana di ieri e di oggi, letto però non come una contrapposizione di stili, forme o correnti, ma piuttosto come un atlante del tempo recente che racconta una storia tutta nazionale.

Insieme ai tantissimi eventi collaterali sparsi per la città, non resta che scoprire, vivendola dal vivo, questa promettente, e ricca di citazioni, Biennale.

 

 

IL NAPOLEONE RESTAURATO

Dal 1859 sorveglia l’Accademia e la Pinacoteca di Brera. In un secolo e mezzo di vita ha visto passare artisti, personalità illustri, studenti e appassionati d’arte. Ora, finalmente, si concede un meritato restauro. Protagonista di un intervento che durerà 12 mesi è proprio il Napoleone come Marte Pacificatore di Antonio Canova, statua bronzea che troneggia al centro del grande cortile d’onore in omaggio a colui che, nel 1809, fondò la Real Galleria di Brera.

Dal prossimo giugno l’imponente scultura sarà circondata da una teca di vetro, attraverso la quale si potranno seguire, passo dopo passo, i progressi compiuti sul grande bronzo, proprio come è consuetudine per i restauri sui dipinti della Pinacoteca, esposti al centro del percorso museale in un laboratorio di vetro. Sistemati, ripuliti e messi a nuovo da abili restauratori che lavorano sotto gli occhi (curiosi) di tutti. Pannelli illustrativi e attività didattiche per scuole e appassionati accompagneranno i restauri, sponsorizzati da Bank of America Merrill Lynch, dall’Associazione Amici di Brera e dei Musei Milanesi e dalla Soprintendenza per i beni storici artistici e etnoantropologici di Milano.

Che fosse necessario un restauro era evidente da tempo: la superficie ha subito alterazioni causate da fattori metereologici e dall’inquinamento atmosferico, così come sono visibili distacchi e cadute di frammenti e crepe nel marmo posizionato sotto il piedistallo della statua. Un Napoleone che ha avuto vita non facile, fin dall’inizio. L’opera fu commissionata nel 1807 da Eugenio di Beauharnais, vicerè del Regno d’Italia, allo scultore Antonio Canova, ma non essendo ancora pronta, per problemi con la fusione, nel 1809, per l’inaugurazione della Pinacoteca di Brera, Beauharnais acquisì a Padova il calco in gesso, da esporre in quella occasione. Il gesso, depositato in un’aula dell’Accademia, è stato riesposto in uno dei saloni della stessa Pinacoteca, in concomitanza con le celebrazioni dei duecento anni dell’istituzione museale, avvenuti nel 2009.

Dopo il declino della fortuna e del comando di Napoleone, la statua in bronzo, che a Milano non aveva mai trovato collocazione in luogo pubblico, fu abbandonata nei depositi del palazzo di Brera. Riemerse alla luce all’epoca dell’arrivo in Lombardia di Napoleone III, a conclusione della seconda guerra di indipendenza italiana. Nel 1859 la statua fu eretta su un basamento temporaneo nel cortile principale di Brera. Solo nel 1864 fu inaugurato l’attuale basamento in granito e in marmo di Carrara progettato da Luigi Bisi, docente di prospettiva all’Accademia di Brera, ornato con aquile e fregi di bronzo.

La statua in bronzo fu ottenuta con un’unica fusione (ad eccezione dell’asta e della vittoria alata) tenendo conto delle prescrizioni dettate dallo stesso Canova: l’asta tenuta nella mano sinistra è composta da due elementi avvitati; la vittoria alata, che però fu rubata, è stata all’inizio degli anni ’80 ricostruita basandosi su documentazione fotografica. Una curiosità: il bronzo utilizzato per la fusione proviene da cannoni in disuso di Castel Sant’Angelo a Roma.

Un restauro iniziato in un momento non causale: il progetto è parte del lavoro di valorizzazione che la Pinacoteca di Brera ha avviato in preparazione dell’EXPO 2015, in cui giocherà un ruolo fondamentale sulla scena culturale non solo milanese ma anche internazionale.

 

 

LEONARDO E LE MACCHINE RICOSTRUITE

Come faceva Leonardo Da Vinci a progettare le sue macchine volanti? Potevano davvero volare? Che cos’era il famoso Leone Meccanico? Perché non venne mai portato a termine il colossale monumento equestre di Francesco Sforza? Queste sono solo alcune delle domande che potranno avere risposta grazie all’innovativa – e unica nel suo genere – mostra che si è appena aperta in una location d’eccezione: gli Appartamenti del Re nella Galleria Vittorio Emanuele.

Tutto nasce dall’idea di tre studiosi ed esperti, Mario Taddei, Edoardo Zanon e Massimilano Lisa, che hanno saputo mettere insieme e creare un centro studi e ricerca dedicato a Leonardo, alle sue invenzioni e alla sua attività, con risultati sorprendenti sia sul fronte delle esposizioni, sia su quello della divulgazione.

Leonardo3 (L3) è parte di un progetto più ampio, di un innovativo centro di ricerca la cui missione è quella di studiare, interpretare e rendere fruibili al grande pubblico i beni culturali, impiegando metodologie e tecnologie all’avanguardia. Sia i laboratori di ricerca sia tutte le produzioni L3 (modelli fisici e tridimensionali, libri, supporti multimediali, documentari, mostre e musei) sono dedicati all’opera di Leonardo da Vinci. E i risultati sono stati straordinari: L3 ha realizzato il primo prototipo funzionante al mondo dell’Automobile di Leonardo, hanno ricostruito il Grande Nibbio e la Clavi-Viola, il primo modello fisico della Bombarda Multipla, il primo vero modello del Pipistrello Meccanico, il Leone Meccanico e il Cavaliere Robot, oltre a interpretazioni virtuali e fisiche inedite di innumerevoli altre macchine del genio vinciano.

Non solo macchine però. Fondamentali per la riscoperta e la creazione dei prototipi sono stati i tanti codici leonardeschi, tra cui il famoso Codice Atlantico interamente digitalizzato, così come il Codice del Volo, presentato in Alta Definizione, in cui ogni singolo elemento è interattivo. E queste tecnologie diventeranno, in futuro, sempre più utili per studiare manoscritti antichi e fragilissimi, come i diversi Codici e taccuini, già molto rovinati dall’usura e dal passare dei secoli.

Una mostra che divertirà grandi e bambini, che potranno toccare con mano le macchine e i modellini ricostruiti, testarsi sui touch screen per comporre, sezionare o vedere nel dettaglio, tramite le ricostruzioni 3D, i vari pezzi delle macchine di Leonardo, far suonare la Clavi-Viola e costruire, davvero, un mini ponte autoportante.

Una delle ultime sezioni è poi dedicata ai dipinti di Leonardo, su tutti la famosa Ultima Cena. Una ricostruzione digitale e una prospettica permettono di ricostruirne strutture e ambienti, di capirne perché Leonardo “sbagliò” di proposito la prospettiva e di approfondire alcuni dettagli. I modelli sono stati costruiti rispettando rigidamente il progetto originale di Leonardo contenuto nei manoscritti composti da migliaia di pagine, appunti e disegni. Il visitatore avrà anche la possibilità di leggere i testi di Leonardo “invertendo” la sua tipica modalità di scrittura inversa (da destra a sinistra).

L3 si è già fatto conoscere nel mondo, le mostre sono state visitate da centinaia di migliaia di persone in città e Paesi come Torino, Livorno, Vigevano, Tokyo, Chicago, New York, Philadelphia, Qatar, Arabia Saudita e Brasile. Occasione imperdibile.

Leonardo3 – Il Mondo di
Leonardo – piazza della Scala, ingresso Galleria Vittorio Emanuele II, fino al 28 febbraio 2014, orari: tutti i giorni dalle ore 10:00 alle ore 23:00, biglietti: € 12 intero, € 11 studenti e riduzioni, € 10 gruppi, € 9 bambini e ragazzi, € 6 gruppi scolastici.

 

 

questa rubrica è a cura di Virginia Colombo

rubriche@arcipelagomilano.org

 


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